Lei che divenne il sole
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Lei che divenne il sole

  1. 408 pagine
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Lei che divenne il sole

Informazioni su questo libro

Una piana polverosa, un villaggio tormentato dalla siccità, un indovino. È così che due bambini apprendono il loro fato: per il maschio si prepara un futuro di eccellenza; per la femmina, nulla.

Ma nella Cina del 1345, che soggiace irrequieta al gioco della dominazione mongola, l'unica "eccellenza" che i contadini possono immaginare è negli antichi racconti e il vecchio Zhu non sa proprio come suo figlio, Chongba, potrà avere successo. Viceversa, la sorte della figlia, per quanto intelligente e capace, non stupisce nessuno.

Quando un'incursione di banditi devasta la loro casa e li rende orfani, però, è Chongba che si arrende alla disperazione e muore. La sorella decide invece di combattere contro il suo destino: assume l'identità del fratello e inizia il suo viaggio, in una terra in cui si è accesa la fiamma della rivolta. Riuscirà a sfuggire a ciò che è scritto nelle stelle? Potrà rivendicare per sé la grandezza promessa al fratello e sollevarsi oltre i suoi stessi sogni?

In questo acclamato fantasy storico Shelley Parker-Chan riscrive la vicenda di Zhu Yuanzhang, il contadino ribelle che nella Cina del XIV secolo cacciò i mongoli, unificò il Paese e divenne il primo imperatore della gloriosa dinastia Ming.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
Print ISBN
9788804746072
eBook ISBN
9788835713883
SECONDA PARTE

1354-1355

5

PIANURE DEL FIUME HUAI, DECIMO MESE

Le mattine d’autunno sulle pianure erano fresche e grigie. Sotto la cappa di fumo di letame, l’accampamento dell’esercito del Principe di Henan ribolliva di attività. Il generale eunuco Ouyang e il suo secondo, il comandante anziano Shao Ge, cavalcavano verso i battaglioni di fanteria. Il campo era tanto vasto che andare a piedi avrebbe richiesto troppo tempo. Lasciando il centro, dove i capi dell’esercito avevano i loro ger di feltro rotondi, superarono le tende dei forestieri semu, che fornivano la loro competenza in ingegneria e macchine d’assedio all’esercito, poi i carri di vettovaglie e le mandrie di bestiame, e solo allora giunsero alla parte periferica e alla fanteria: circa sessantamila coscritti e volontari reclutati dalle classi sociali inferiori dello Yuan. Quegli uomini, chiamati nanren secondo il nome ufficiale della loro casta, erano gli ex sudditi degli imperatori nativi del Sud che erano stati spodestati. I mongoli li chiamavano più spesso manji: barbari.
«Tradire il Grande Yuan per unirsi ai ribelli» disse Ouyang mentre cavalcavano. «Era un buon generale; non so perché l’abbia fatto. Doveva sapere come sarebbe finita.»
Fino alla settimana precedente, i ribelli delle pianure, chiamati di recente Turbanti Rossi, erano stati guidati dal generale Ma, un ufficiale veterano yuan che aveva disertato alcuni anni prima. Adesso era morto. Ouyang, che aveva ucciso parecchi uomini nel corso della sua carriera, scoprì che la faccia del vecchio generale era rimasta con lui più di molte altre. L’ultima espressione di Ma era stata una disperata consapevolezza dell’inevitabile. Per quanto Ouyang sarebbe stato lusingato di rappresentare quell’inevitabilità, sospettava che Ma stesse pensando ad altro.
«È stata una buona vittoria» disse Shao in han’er. Dato che erano tra i rari capi nanren in un esercito mongolo, Shao aveva preso l’abitudine di usare l’han’er quando erano da soli. Era una familiarità che Ouyang disprezzava. «Pensavo che avremmo avuto sfortuna dopo che hai raso al suolo quel monastero, ma sembra che il Cielo non abbia ancora deciso di farti mangiare amaro. Deve risparmiarselo per dopo.» Rivolse a Ouyang un beffardo sorriso di traverso.
Ouyang si ricordò che non solo non gradiva la confidenza di Shao, ma l’ufficiale stesso. Purtroppo, a volte era necessario tollerare ciò che si disprezzava. Era qualcosa in cui Ouyang era esperto. Usando di proposito la lingua mongola, disse: «È andata più liscia del previsto». Stranamente liscia, considerato quanto erano stati lenti i loro progressi contro i Turbanti Rossi nelle stagioni precedenti. Il generale Ma non era stato un fannullone.
Shao parve risentito: aveva compreso il rimprovero. In mongolo disse: «Saranno una sfida ancora più facile senza il generale Ma. Dovremmo riuscire ad attraversare lo Huai e a prendere Anfeng prima dell’inverno». Anfeng, una cittadina dalle mura di terra annidata in un’ansa del fiume Huai, era la base dei Turbanti Rossi, anche se ai ribelli piaceva definirla una capitale. «E una volta che il Principe Splendente non ci sarà più, per loro sarà la fine.»
Ouyang grugnì con aria evasiva. Il Principe Splendente aveva attirato un sostegno popolare come nessun altro capo ribelle in precedenza, ma c’erano state rivolte prima di lui e senza dubbio ce ne sarebbero state anche dopo. Ouyang dentro di sé pensava che si sarebbero verificate finché fossero esistiti i contadini. E se c’era una cosa che al Sud non era mai mancata, erano proprio loro.
Arrivarono dove il battaglione di fanteria del comandante Altan-Baatar era acquartierato lungo il fiume sul confine meridionale del campo. Era già in corso un’esercitazione. Alla testa di ogni reggimento da mille uomini c’erano sottufficiali che urlavano la conta. Il movimento di migliaia di piedi sulla terra ne sollevava lo strato superiore in pennacchi che formavano cortine sospese di polvere gialla. I soldati nanren, ammassati con le loro armature identiche, ruotavano in quella coltre come uno stormo di uccelli.
Altan si avvicinò a cavallo. «Saluti al miglior generale dello Yuan» disse con una punta di derisione nella voce. Era abbastanza audace da essere irriverente, perché era imparentato con il Principe di Henan ed era figlio del ricco governatore militare di Shanxi; perché sua sorella era imperatrice; e perché aveva diciassette anni.
«Continua» disse Ouyang, ignorando il tono di Altan. Il ragazzo era solo poco meno sottile rispetto a quelli più vecchi di lui nell’esporre la sua convinzione che un generale dovesse avere qualifiche migliori, sia di corpo, sia di sangue. Ma a differenza di quegli uomini temprati, Altan era ancora impaziente di dare dimostrazione delle proprie capacità ai suoi superiori. Come ogni giovane privilegiato, si era aspettato di far bene, di essere riconosciuto e innalzato al suo giusto posto in cima al mondo. Ouyang guardò il groppo alla gola di Altan, punteggiato di follicoli a pelle di gallina attraverso cui sporgeva una barba acerba e provò repulsione.
Gli uomini completarono l’esercitazione. Era stata utile: gli altri battaglioni di fanteria si erano comportati altrettanto bene.
«Insufficiente. Di nuovo» disse Ouyang.
Quanto era trasparente Altan. Tutte quelle aspettative messe in mostra senza la minima idea che potessero odiarlo per esse. Osservò le emozioni scorrere sulla faccia del ragazzo come nuvole: sorpresa, incredulità, risentimento. L’ultimo fu particolarmente appagante.
I sottufficiali li stavano osservando. Accigliandosi di proposito, Altan voltò le spalle a Ouyang per trasmettere l’ordine.
L’esercitazione fu eseguita ancora una volta.
«Di nuovo» insistette Ouyang. Indirizzò lo sguardo sugli uomini, ignorando deliberatamente l’espressione di evidente oltraggio sul volto di Altan. «E puoi continuare finché non lo farete nel modo corretto.»
«Forse se mi diceste con esattezza cosa state cercando, generale!» La voce di Altan tremolava dalla rabbia. Ouyang sapeva che si riteneva tradito. Stando all’accordo tacito tra la gerarchia mongola, gli sforzi di un giovane comandante avrebbero dovuto essere ricompensati.
Ouyang gli scoccò un’occhiata sprezzante. Lui stesso pensava di non essere mai stato così giovane. «Dato che questa esercitazione è troppo gravosa per la tua attuale competenza, forse dovremmo provarne un’altra.» Lanciò un’occhiata al fiume. «Porta il tuo battaglione sull’altro lato.»
Altan sgranò gli occhi. Il fiume era largo almeno mezzo volo di freccia, profondo quanto il petto di un uomo al centro, e la giornata era gelida.
«Cosa?»
«Mi hai sentito benissimo.» Lasciò che il ragazzo covasse la sua rabbia ancora per un attimo, poi aggiunse: «E che abbiano le mani legate davanti, per mettere alla prova il loro equilibrio».
Dopo un lungo silenzio, Altan disse in tono rigido: «Ci saranno perdite».
«Meno se sono stati addestrati bene. Procedi.»
La gola del ragazzo si mosse per un momento, poi strattonò le redini del suo cavallo per girarlo verso i sottufficiali in attesa. Nel ricevere le istruzioni, uno o due degli uomini lanciarono un’occhiata verso il punto che Ouyang e Shao stavano osservando. Da lontano era impossibile distinguere le loro espressioni.
L’esercitazione era crudele. Ouyang aveva voluto che lo fosse. Spronati dalle urla dei loro sottufficiali, rannicchiandosi sotto i colpi delle fruste, i reggimenti si misero a guadare il fiume. Forse in una giornata più calda sarebbe stato più semplice, ma gli uomini avevano freddo e paura. Nel punto più profondo del fiume, non pochi furono presi dal panico, inciamparono e andarono a fondo. I migliori sottufficiali, che avevano accompagnato nel fiume i loro uomini, li ritirarono su e li incitarono con parole di incoraggiamento. I peggiori sbraitarono dalla riva. Altan, con il cavallo immerso nell’acqua fino al petto, cavalcava avanti e indietro lungo le file. La sua faccia brillava dalla rabbia.
Ouyang e Shao cavalcarono fino all’altra sponda, tenendosi a distanza di sicurezza dal trambusto. Quando tutti gli uomini si furono uniti a loro sulla riva opposta e gli sfortunati ripescati e rianimati, Ouyang disse: «Troppo lento. Ancora».
Quando tornarono alla prima sponda ordinò: «E ancora».
La resistenza degli uomini raggiunse l’apice al terzo attraversamento; ormai esausti, era entrata in gioco una certa acquiescenza meccanica. Quelli con la tendenza a farsi prendere dal panico si erano già spaventati ed erano stati allontanati, mentre per gli altri la terrificante novità dell’immersione era diventata semplicemente spiacevole. «Ancora.»
A mezzogiorno diede l’ordine di interrompere l’esercitazione. Di fronte ai suoi sottufficiali, Altan fissò Ouyang con espressione furiosa. Molti dei sottufficiali gocciolavano fango; una piccola parte era asciutta. Ouyang fissò proprio quelli. «Tu» disse a un mongolo particolarmente tronfio. «La prestazione del tuo reggimento è stata scarsa e hai perso diversi uomini. Perché?»
Il sottufficiale gli rivolse il saluto. «Generale! Gli uomini non sono abituati a queste esercitazioni. La paura li rende lenti. Il problema sono i manji. Sono codardi di natura. Rimpiango di non aver ancora avuto l’opportunità di rimediare a questa loro mancanza.»
Ouyang emise un rumore per spronarlo.
«Hanno paura dell’acqua fredda e del duro lavoro» precisò il sottufficiale.
Ouyang assunse un’espressione meditabonda. Poi disse: «Sottufficiale, ho notato che sei rimasto sul tuo cavallo per tutto il tempo».
«Generale!» esclamò l’uomo, perplesso.
«Li critichi per aver paura dell’acqua fredda e del duro lavoro, eppure non vedo alcuna prova dell’opposto nelle tue stesse azioni. Sei riuscito a rimanere sorprendentemente asciutto mentre diversi tuoi uomini affogavano. Li hai visti dibattersi e non hai pensato a darti una mossa per salvarli?» Malgrado l’autocontrollo, alcuni sentimenti spontanei trapelarono; udì la freddezza nella propria voce. «Il loro valore come codardi di natura è troppo basso?»
Il sottufficiale aprì la bocca, ma Altan lo interruppe: «Generale, l’ho promosso solo da poco. È nuovo nella sua posizione».
«Di certo una promozione sulla base di capacità che già possedeva? Altrimenti per cosa, mi domando.» Ouyang sorrise ad Altan: una lama che scivolava sotto l’armatura. «No, non credo che abbia la stoffa per comandare.» Si voltò verso Shao. «Rimpiazzalo.»
«Non potete semplicemente rimpiazzare i miei ufficiali!» quasi urlò Altan.
«E invece sì.» Ouyang provò un’impennata di maligno piacere. Sapeva che era meschino nel modo che la gente reputava caratteristico degli eunuchi, ma a volte era difficile non concederselo. «Raccogliete i morti. Fa’ tutto il necessario per predisporre il tuo battaglione. State pronti a cavalcare tra due giorni all’ordine di lord Esen!»
Riuscì a udire le imprecazioni borbottate da Altan mentre se ne andava, ma sapeva che non c’era nulla di nuovo. «Che si fottano diciotto generazioni dei cani antenati di quel bastardo! Come osa comportarsi così quando lui non è altro che una cosa?»
Il ger che apparteneva a lord Esen-Temur, erede del Principe di Henan e condottiero degli eserciti del Grande Yuan al Sud, risplendeva al centro dell’accampamento come una nave di notte. Dalle sue pareti tonde provenivano risate. Ouyang non si sarebbe aspettato nulla di diverso: il suo padrone era socievole di natura e preferiva sempre la compagnia ai contenuti dei suoi stessi pensieri. Rivolse un rapido cenno del capo alle guardie e scivolò sotto il lembo della tenda.
Esen, stravaccato in mezzo a un gruppo di comandanti, alzò lo sguardo. Alto e muscoloso, con una bocca ben fatta sotto la barba, era un esempio così perfetto di guerriero mongolo che assomigliava ai ritratti agiografici dei gran khan ancor più degli uomini in carne e ossa. «Era ora!» disse, agitando una mano in un gesto sbrigativo per congedare gli altri.
«Mio signore?» Ouyang sollevò le sopracciglia e si sedette. Come al solito, il suo movimento provocò un soffio d’aria che fece inclinare le fiamme nel focolare centrale lontano da lui. Tempo fa, un medico l’aveva attribuito al fatto che Ouyang avesse un eccesso di scura, umida energia femminile yin, anche se quella era una diagnosi che ogni sciocco avrebbe potuto fare su un eunuco. «Mi avete convocato?» Quando allungò una mano verso la borsa di latte fermentato airag al fianco di Esen, l’altro gliela passò con un sorriso.
«Le convocazioni si addicono a un lacchè che si rivolge a me usando il titolo. Invece mi aspettavo il piacere della compagnia di un amico.»
Il diverbio sul parlare in modo informale era una vecchia questione tra loro. Durante l’ascesa di Ouyang da schiavo a guardia del corpo fino a generale e compagno più fidato di Esen, quest’ultimo aveva insistito per cambiare il linguaggio con cui comunicavano, trovando un’opposizione ugualmente forte da parte di Ouyang sulla base di ciò che riteneva consono. Alla fine Esen aveva ammesso la sconfitta, ma continuava a tirar fuori la faccenda ogni volta che poteva.
«Vi aspettavate?» disse Ouyang. «Avreste potuto rimanere deluso. Sarei potuto andare a darmi prima una rinfrescata, invece di precipitarmi a farvi rapporto. Oppure avremmo potuto parlare domani, cosa che avrebbe evitato che interrompessi la vostra riunione.»
«Non me ne pento: il piacere della tua compagnia vale tre volte tanto.»
«Dovrei aspettarmi una triplice ricompensa per averlo fornito?»
«Qualunque cosa» disse Esen pigramente. «So che sei affezionato alla tua armatura e che ci dormiresti dentro, se potessi, ma puzza. Te ne darò una nuova.»
Ouyang aveva una vena di vanità quando si trattava dell’armatura: le piastre a specchio che preferiva erano straordinariamente riconoscibili, un’audace dichiarazione della sua posizione come temuto generale dello Yuan. Disse aspramente: «Le mie scuse per aver offeso la delicata sensibilità del mio signore. Sembra che avreste preferito che mi cambiassi».
«Ah! Avresti semplicemente indossato così tanti vestiti che ti avrebbero protetto contro le frecce come una vera armatura. Abbi pietà e togliti l’elmo; sento caldo solo a guardarti.»
Ouyang fece una smorfia e lo rimosse. Era vero che, quando non portava l’armatura, gli piaceva accumulare strati. Il motivo più semplice era che sentiva freddo facilmente, non avendo antenati provenienti da qualche triste steppa congelata. L’altra era una ragione a cui preferiva non pensare.
Esen stesso si era appena pulito a fondo. La sua intensa abbronzatura nascondeva la carnagione dalla pelle chiara naturalmente arrossata della steppa, ma il suo torace, visibile attraverso l’apertura della vestaglia, scintillava come avorio alla luce del fuoco. Era sdraiato comodamente sui cuscini sparsi per il pavimento di feltro ricoperto di tappeti. Ouyang si sedette con...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Lei che divenne il sole
  4. PRIMA PARTE. 1345-1354
  5. SECONDA PARTE. 1354-1355
  6. TERZA PARTE. 1355-1356
  7. RINGRAZIAMENTI
  8. Copyright