Non passò molto tempo e Cash cominciò a farsi degli amici, cosa che portò un po’ di serenità anche tra le pareti di casa, dove Grazia e Nino lo vedevano finalmente più sorridente e tranquillo.
D’estate la famiglia scendeva compatta in Puglia, per trascorrere un paio di settimane dai parenti. Il ritorno al Nord, per l’inizio delle scuole, ridava fuoco alla malinconia. Fu alla fine di una di quelle estati che Cash si trovò davanti, nella piazza del paese ai confini di Milano, una fanciulla, la quale, senza parere, cercava la sua attenzione. Capelli neri, lunghissimi, un vestitino leggero di pallido azzurro, ballerine ai piedi. Aveva l’altezzosità dell’adolescenza femminile e, insieme, la remissività di un cucciolo. Cash, da allora, continuò a incontrarla senza mai avvicinarla. Si riconoscevano, non si salutavano, e aspettavano un segno.
Nino era un meccanico eccezionale: le officine della zona facevano a gara per accaparrarsi la sua bravura. Faceva il bidello la mattina e nel pomeriggio si spostava nell’officina che gli offriva il miglior compenso. A chi lo chiamava diceva sempre: “Decidilo tu quanto valgo”.
Gli anni passavano e il doppio lavoro gli permise di lasciare il monolocale e affittare una casa più grande. La nuova abitazione si trovava all’interno di una corte che, con l’aiuto dei due figli maschi, Cash e Gerry, Nino ristrutturò in poco tempo. Era provvista anche di un piccolo garage, che aveva attrezzato a officina privata.
Certo, l’appartamento non era enorme, ma ora Grazia e Nino potevano dormire in una vera camera matrimoniale, mentre i ragazzi si sistemarono tutti e cinque nell’altra stanza, provvista di due letti a castello e uno singolo. C’era lo spazio sufficiente perché gli odori della cucina non impregnassero ogni angolo della vita in comune.
Cash non arrivò mai ad amare la scuola, e infatti si fermò alla terza media, ma non era affatto un tipo capace di stare fermo, tutt’altro. Gli piaceva lavorare e sognava una bella vita. Non sarebbe mai diventato ricco, ma avrebbe vissuto dignitosamente, senza farsi mancare nulla, di questo ne era certo.
Fu dopo la terza media che Cash avvicinò la ragazza dai lunghi capelli neri. Si videro alla stazione della metropolitana che porta a Milano. “Smetto la scuola” disse lui, come se avesse detto ciao buongiorno. E lei rispose: “Io pure”, come se gli avesse detto ti voglio bene. “Come ti chiami?” chiese, e lei: “Samantha”, e continuò: “È stato mio padre”, come se si giustificasse, “c’era una canzone ai tempi suoi”. Cash prese la palla al balzo e si sgolò: “Samantha, mia Samantha, la conosco!”. Si frequentarono e finirono col fidanzarsi prestissimo. Dopo dieci anni, andarono a vivere insieme in un piccolo appartamento in affitto a Cassina de’ Pecchi, sulla linea metropolitana verde. Lei aveva un impiego fisso, statale, con uno stipendio modesto, mentre Cash, che non sopportava l’idea di stare sempre nello stesso posto, alternava tre lavori contemporaneamente, anche se ciò comportava non pochi sacrifici. Faceva il fattorino, il mulettista e vendeva il pesce alla bancarella del suo amico Vittorio al mercato rionale.
Quelli che gli davano da lavorare sapevano quanto fosse bravo in ogni cosa che faceva e se lo contendevano per tenerlo occupato a tempo pieno. Ma Cash non ne voleva sapere, era uno spirito libero.
Il posto in cui si trovava meglio era indubbiamente il mercato, dove con la sua canottiera bianca dava spettacolo ogni venerdì mattina. Aveva una faccia che metteva il buon umore, era uno di quelli che stanno bene in mezzo alla gente. Le signore anziane che frequentavano la bancarella di Vittorio lo adoravano. Ce n’era una, Annabella, che gli voleva bene in modo particolare. Era siciliana e, dopo essersi fatta servire, andava sempre dietro al bancone per abbracciarlo e dargli un bacio.
“Guarda cosa ti ho fatto arrivare, Annabe’! Questi sono della Sicilia” e Cash sollevava un mazzo di polpi sgocciolanti.
Vittorio, un uomo sulla cinquantina bello rotondo, controbatteva puntualmente: “Non gli dia retta signora, quelli li ha pescati stamattina nel naviglio”.
Annabella rideva divertita, ma poi prendeva subito le difese del suo beniamino.
“Ma quale naviglio. Siculi sono, lo dicono con gli occhi. Questo ragazzo ha il cuore d’oro!”
Verso la mezza Cash finiva il suo lavoro al banco e l’ultimo venerdì del mese riceveva lo stipendio.
“Sono duecento euro. E questi cento te li regalo io, un piccolo extra: vatti a divertire con Samantha stasera. Ti ho incartato anche due spigole, puoi mangiarle pure domani, sono freschissime.”
Cash, proprio come suo padre, non chiedeva mai niente: ringraziava, sorrideva e, sorridendo, stabiliva confini gentili, al di là dei quali vibrava la dolcezza di un giovane uomo con un vivo senso dello stare al mondo. L’anima gli rimbalzava negli occhi e gli occhi dilatavano trasparenze. Non cercava chissà cosa dalla vita, ma non gli piaceva neppure accontentarsi. Oltre la gratitudine, oltre il bene si aprivano orizzonti di cui lui solo conosceva la profondità. Non gli piaceva chi si rassegnava, chi si tirava di lato, chi non voleva vedere.
Aveva maturato nel tempo un esacerbato senso della giustizia, che nessuno gli aveva insegnato. La sua bontà confinava senza cuscinetti di protezione con la furia selvaggia delle emozioni – emozioni che si traducevano puntualmente in rabbia e in azione. Il suo “cuore d’oro” non era consapevole della forza delle sue braccia. Così, quando l’ingiustizia gli oscurava la vista, le braccia agivano da sole e combinavano disastri. Gli piaceva fare, tradurre in pratica, muovere la realtà: in lui era diventato carattere quello che in altri sarebbe sembrata una anomalia, un eccesso. A spanne, Cash lo sapeva, ma il saperlo non aveva messo radici, non era diventato consapevolezza, cosa che giocava a suo vantaggio. Le donne se lo mangiavano con gli occhi, e lo potevano fare perché lui si limitava a scivolarci in mezzo, senza ambiguità. Aveva cominciato con Samantha e Samantha era la sua donna: non ne faceva questione di fedeltà, bensì di destino.
Vittorio provava ogni volta a convincerlo a restare, a seguire insieme tutti i mercati in giro per la città, ma non c’era nulla da fare. Mentre Cash si avviava sul suo scooter verso il magazzino dove faceva il mulettista, lui gli urlava dietro: “Prima o poi ti convincerò, lo so. Fai il bravo, Cash!”.
Una volta arrivato al capannone di Beppe, si toglieva il giubbotto di jeans e rimaneva in canottiera, la sua amata canottiera bianca.
Non era un semplice indumento, era un vero stile di vita. Sia chiaro, ci teneva moltissimo a vestirsi bene quando usciva la sera, ma quando lavorava e quando si rilassava sul divano di casa si teneva addosso sempre la sua canottiera bianca.
“Dove cazzo eri finito, Cash? È l’una, dovevi cominciare a mezzogiorno e mezza.”
E lui sdrammatizzava: “Tranquillo Beppe, lo sai che poi recupero. Sono Schumacher col muletto”.
Beppe lo prendeva per la collottola: “Tu la devi piantare, hai capito?”. Lo squadrava quasi con rabbia. “Tu sei troppo buono. La bontà non ti porta da nessuna parte.” E, liberandolo dalla stretta, gli diceva piano nell’orecchio: “Vuoi che te lo dica? La bontà mi fa schifo”.
Era un tipo incazzoso, Beppe, ma voleva bene a Cash come se fosse suo figlio. Glielo aveva presentato Nino, dopo avergli risolto un problema alla sua auto senza chiedergli niente.
Un po’ per il fatto che il padre con i motori ci lavorava, e un po’ per essere cresciuto a Cerignola, dove sono tutti già piloti sin da piccoli, Cash aveva sempre avuto una grande passione per qualunque cosa con almeno una ruota. Una ruota che lo portasse in giro.
La piccola bicicletta di Cerignola, che sogno! E non era neanche sua, ma ci aveva girato tutte le campagne, anche da solo, che quando lo vedevano, quelli delle masserie menavano il braccio e gli gridavano di tornare a casa.
A sette anni guidava già la macchina e a dieci si faceva i quattro chilometri fra Cassina de’ Pecchi e Gorgonzola su una ruota sola, con qualunque ciclomotore gli mettessero sotto il culo.
“Sì, Schumacher il pescivendolo…” lo sfotteva Beppe. “Ma che cazzo hai combinato? Hai fatto il bagno con le sarde? Mamma mia che puzza, io non l’ho mai sopportato, il pesce.”
L’odore arrivava dal sacchetto che gli aveva dato Vittorio, quello con dentro le spigole, ma Cash prendeva tutto con il sorriso. E Beppe era un bruto dal cuore tenero. Dietro al suo cipiglio, guardava in fondo all’anima e poi si perdeva a osservare con che destrezza Cash muovesse e facesse muovere la merce.
Verso sera, alla fine di ogni mese, si ripeteva sempre lo stesso rito.
“Allora Cash, hai lavorato tutti i venerdì pomeriggio del mese, i lunedì e i martedì. Sono cinquecento euro.”
Cash sorrideva soddisfatto mentre accendeva la sigaretta già in sella allo scooter, ma non partiva mai prima di sentire la solita frase: “Quando ti convincerai a lavorare qui? Ti metto in regola e ti pago il doppio di quello che ti pago adesso”.
A Cash piaceva provocare l’amico e, sgommando, fingeva sempre di non sentire, o gli rispondeva qualcosa che non c’entrava nulla.
“Oh Beppe, mi sa che devo cambiare televisore in casa!”
A quel punto dava tutto il gas facendolo incazzare come una bestia. “Vaffanculo Cash, mi hai sentito? VAI A FARE IN CULO!”
Poi passava con le paghe da Nino e Grazia, prima di tornare a casa da Samantha.
Quella sera, con in mano il sacchetto di plastica delle spigole, si avviò lungo la corte fino a raggiungere la scala esterna che portava all’ingresso dell’appartamento dei genitori. Dopo due scalini si fermò notando qualcosa di strano. La luce del laboratorio di Nino era accesa.
Il garage era pieno di motori, pezzi di auto, motorini e attrezzi di ogni tipo sparsi ovunque. Sul banco da lavoro, tra carburatori e chiavi, c’era Nino, che russava pesantemente con la testa di ricci brizzolati sulle braccia. Ormai si era ritirato dalla scuola e l’officina era l’unica altra fonte d’entrata della famiglia. Del resto, la sola pensione minima non bastava. I tempi erano cambiati, l’inflazione negli anni si era fatta sentire, e i fratelli di Cash non contribuivano con regolarità al bilancio familiare. Quando c’era da coprire il buco di uno dei figli, Nino interveniva sempre come meglio poteva.
Cash entrò e guardò il padre, intenerito. Senza indugiare oltre lo prese in braccio, nemmeno fosse un bambino, attento a non svegliarlo.
Salì per le scale cercando di fare piano e di non perdere il sacchetto con le spigole. In quel momento gli suonò il telefono, in tasca. Era Samantha. Cercò di spegnerlo, ma con il padre in braccio non ci riuscì, e tutto quello che poté fare fu sperare che non lo disturbasse.
Grazia, intanto, seduta al tavolo della cucina, teneva in mano il rosario e pregava insieme alle voci che venivano dalla vecchia radio sintonizzata sulle frequenze di un canale religioso.
“Santa Maria madre di Dio / prega per noi peccatori / adesso e nell’ora della nostra morte, Amen.”
Sentì il rumore della tenda a frangia. Si voltò e vide Cash con in braccio Nino che continuava beatamente a russare.
“N’altra volta s’addormentato? Pure ieri sera.”
“Saranno le pillole, mamma, quelle lo sdraiano.”
Da un po’ di tempo Nino aveva qualche problema al cuore e doveva prendere delle pillole che gli davano sonnolenza. Cash si avviò verso la camera e Grazia lo seguì per aiutarlo a stenderlo sul letto.
Una volta sistemato il padre, Cash porse a Grazia il sacchetto di Vittorio. “È fresco, lo puoi fare anche domani.”
“Ma no amore di mamma, portatelo a casa tu.”...