Cent'anni da leoni
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Cent'anni da leoni

  1. 204 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Cent'anni da leoni

Informazioni su questo libro

Come conciliare i principi di una vita sana con la nostra quotidianità, fatta di spuntini veloci, scarsa attività fisica, stress da multitasking, intossicazione digitale, aperitivi alcolici, cene fuori con gli amici e nottate da leoni?

Basandosi sui risultati dei più recenti e attendibili studi scientifici, Paolo Soffientini, ricercatore IFOM - centro di ricerca dedicato allo studio dei meccanismi molecolari alla base della formazione e dello sviluppo dei tumori, fondato da FIRC e AIRC - svela quali sono le regole da seguire e le buone pratiche da introdurre per vivere in modo sano senza però rinunciare alla socialità e ai piaceri della vita.

Passando in rassegna diversi stili di vita, Soffientini ci spiega perché le cose che amiamo possono farci del male e ci indica in che modo possiamo toglierci di dosso alcune vecchie abitudini sbagliate. Ci mostra quali sono i limiti scientificamente tollerabili dal nostro organismo per ogni sostanza con cui interagiamo, volontariamente o meno, delineando il confine tra il giusto e il troppo.

E, quando non si può fare a meno di peccare, propone di adottare una "dieta di compensazione" compatibile con la vita reale, da pianificare su un arco di tempo che non si limiti al singolo pasto ma ai giorni precedenti e seguenti: un'organizzazione settimanale che prevede alcuni accorgimenti, di cui godremo gli effetti quando, inevitabilmente, ci capiterà di cedere alle tentazioni. Potremo così toglierci qualche sfizio quando si presenta l'occasione, tranquilli di poterlo compensare al meglio senza preoccupazioni.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
Print ISBN
9788804701484
eBook ISBN
9788852089930
1

Minuti bruciati

Il fumo fa male. Questo lo sappiamo molto bene, lo leggiamo ovunque, ce lo raccontano di continuo. Dai messaggi sui pacchetti di sigarette, scritti in nero su sfondo bianco, lapidari: “Il fumo uccide”, “Il fumo provoca il cancro”, “Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta attorno”, fino al tentativo di risvegliare in noi un senso di responsabilità con il monito “Il fumo è nocivo per i tuoi bambini”. Niente.
Su tutti i pacchetti di sigarette, tabacco e sigari campeggiano foto inquietanti, persone tracheotomizzate legate a respiratori ausiliari, l’immagine dei nostri polmoni completamente anneriti, arti mutilati o prossimi alla cancrena. Una ragazza bionda vomita sangue su un fazzoletto bianco, una giovane coppia piange il figlio che ha perso perché “Il fumo è nocivo per il bambino che hai in grembo”. Ancora niente.
Hanno provato a toccarci su uno dei perni fondamentali del nostro tempo, la sessualità: due dita appoggiate a simulare un paio di gambe e tra queste un mozzicone ormai consumato a dire chiaramente che il fumo provoca problemi di erezione. Neanche così funziona.
È di questi giorni la campagna di sensibilizzazione sul fatto che anche i nostri animali da compagnia, quelli che vestiamo con cappottini e mettiamo in borsette per portarli in giro più comodamente, quelli con cui parliamo come se capissero di poesia, quelli che chiamiamo i nostri “bambini”, quelli per cui ci schieriamo sui social in campagne degne della rivoluzione armata, quelli per cui saremmo disposti a ipotecare la casa, quelli insomma, avete capito, anche loro sono vittime del fumo delle nostre sigarette, e questo dovrebbe, una volta per tutte, convincerci a smettere. Riprovateci, sarete più fortunati.
A nulla è servito vietare il fumo nei locali pubblici. Certamente, quando nel 2003 venne applicata la legge contro il fumo, si registrò un calo nel consumo. Ma durò poco. L’uomo, si sa, non è soggetto a una selezione adattativa ma culturale. L’evoluzione darwiniana prevede che, se ad esempio le temperature si dovessero abbassare, verrebbero selezionati animali con pelo più folto e riserve di grasso maggiori per adattarsi alle nuove condizioni climatiche o ancora, in risposta a cambiamenti ambientali si modificherebbe il fenotipo, come nel caso della falena Biston betularia che viveva nelle zone industriali di Manchester.
Originariamente di colore bianco, queste falene si potevano mimetizzare e riprodurre sugli alberi della zona ricoperti di licheni. L’avvento delle industrie e, conseguentemente, della fuliggine rilasciata dalle ciminiere uccise i licheni, lasciando nudi i tronchi degli alberi, che incominciarono a scurirsi. Le farfalle bianche sui tronchi neri divennero facilmente bersaglio degli uccelli predatori che, nel giro di poco tempo, le avrebbero decimate fino a portarle all’estinzione. Questo se l’evoluzione non avesse selezionato una variante della Biston betularia di colore nero. Le falene nere erano sempre esistite nella popolazione come una variante naturale, ma in proporzioni minori. Ora, invece, si potevano mimetizzare meglio rispetto a quelle bianche e così sfuggire agli uccelli insettivori. Ed erano quindi libere di riprodursi aumentando in maniera consistente il numero di falene nere a discapito di quelle bianche.
Questa è la selezione naturale. L’ambiente tende sempre a favorire la sopravvivenza e la riproduzione degli organismi più forti o meglio integrati nel loro habitat rispetto ad altri la cui linea evolutiva, meno adatta, può andare incontro a estinzione. Chiaramente, la pressione evolutiva e adattativa dipende dal tempo in cui una specie è in grado di rispondere. L’uomo si evolve troppo lentamente perché si possa apprezzare un’evoluzione di tipo adattativo, ma segue un altro tipo di evoluzione, quella culturale. Vietarono l’utilizzo di sigarette nei locali e l’uomo si armò di giacche più pesanti e uscì all’aperto a fumare.
Nemmeno l’aumento del prezzo del tabacco e dei suoi lavorati ha funzionato. Si calcola che il consumo medio, in Italia, sia di 13 sigarette al giorno, che equivale a una spesa di circa 100 euro al mese, 1200 euro all’anno. Una cifra che siamo disposti a pagare per alimentare il nostro vizio.
Ma cosa è davvero dannoso nel fumo e cosa crea realmente dipendenza nei fumatori? Il tabacco è una miscela complessa di oltre 7000 composti, dei quali 81 sono considerati cancerogeni o potenzialmente tali per l’uomo1 e vengono denominati “Tar”. Tra queste sostanze non rientra ovviamente l’acqua, che è un prodotto di combustione del tabacco e di cui parleremo più tardi, ma nemmeno la nicotina, che provoca dipendenza ma non è a tutti gli effetti cancerogena. Al contrario, sostanze come il benzo[a]pirene, o l’NNK, tra i principali responsabili del cancro al polmone, al pancreas e al cavo orale, ma anche di problemi di arteriosclerosi, rientrano ovviamente nella lista dei Tar.2 Le statistiche che generalmente vengono condotte sul fumo considerano qualunque sigaretta o prodotto del tabacco alla stessa stregua. In realtà, gli studi sui Tar hanno evidenziato differenti emissioni non solo tra sigarette con e senza filtro, ma anche tra diverse marche.3 Ciò nonostante, la letteratura scientifica sulle relazioni tra il contenuto in Tar delle sigarette e la salute ha concluso che sigarette a basso Tar, le così dette light o ultralight, non riducono il rischio di tumore al polmone e non possono essere considerate come un’alternativa salutare a quelle con un contenuto maggiore di Tar.
Quali e quanti sono i tipi di cancro correlati al fumo, oltre a quello al polmone di cui si parla più spesso poiché ha una prognosi infausta, un decorso medio di soli cinque anni e una percentuale di sopravvivenza molto bassa, 16 per cento negli Stati Uniti e 10 per cento nel Regno Unito? Nell’ordine, bocca, lingua, parte superiore della gola, laringe, esofago, fegato, pancreas, stomaco, reni, intestino, vescica, ovaie e cervice sono tutti organi potenzialmente implicati in forme di cancro associato al fumo. Se a questi aggiungiamo le leucemie, cioè i tumori delle cellule del sangue, e altre forme di malattie come quelle cardiovascolari, problemi alle coronarie e circolatori, è facile capire perché le campagne di tutto il mondo ci invitano a smettere completamente di fumare il prima possibile. Se inoltre consideriamo che studi sul fumo passivo, secondhand smoke in inglese, hanno dimostrato livelli sproporzionati di due marcatori di rischio di disfunzioni cardiovascolari, il fibrinogeno e l’omocisteina, in persone esposte a fumo passivo, così come al thirdhand smoke, ovvero ai residui di combustione del tabacco che si accumulano negli ambienti dove normalmente si fuma, come l’automobile o i locali, e per i quali è dimostrata la tossicità, specialmente nei bambini, poiché inducono asma, infezioni alle vie aeree e hanno un potenziale cancerogeno dato che arrecano danni al DNA, è facile capire come non solo dovremmo smettere di fumare, ma dovremmo anche convincere chi ci circonda a farlo.4
Eppure questo non succede. Al contrario, sta ritornando l’usanza di fumare anche nei locali dove dovrebbe essere vietato per legge. Mi è capitato di recente, ed è solo uno dei tanti casi nell’ultimo anno, di trovarmi ad assistere a un concerto rock. Diciamo che ci saranno state circa tremila persone e la serata prevedeva un dj-set a fine concerto. Quindi, verso la mezzanotte, al flusso del pubblico in uscita si contrapponeva quello delle persone in entrata. Risultato, un ingorgo impraticabile. Data l’eccessiva calca ho cercato una via alternativa passando per l’area fumatori, che nella mia testa doveva essere all’aperto, e invece era una specie di recinto dove l’homo fumator poteva, in cattività, aggirarsi assieme ai suoi simili ed espletare la sua necessità primaria, un po’ come accade negli aeroporti orientali, dove in minuscole stanze di vetro, dal cui esterno si intravede solo una nebbia densa e fitta, sono racchiuse decine di incalliti fumatori, ognuno con lo sguardo fisso nel vuoto e pronto ad accendersi una nuova sigaretta con il mozzicone della precedente. Una volta varcata la porta a vetri che separava questa zona, diretto verso l’uscita di sicurezza mi sono in realtà trovato in una sala piena di persone intente a ballare. C’erano un bar, una pedana con consolle da cui un dj suonava un reggaeton, in verità orrendo, tavolini e divanetti con gente seduta. A tutti gli effetti era la sala di un locale, se non fosse che l’aria era densa di fumo, irrespirabile. Tutti avevano una sigaretta in bocca, tutti fumavano attivamente e passivamente come se fosse la cosa più naturale. L’età media era di vent’anni al massimo, e anche a me è sembrato di tornare indietro di vent’anni. Saranno stati in quella sala già da almeno un’ora e ci sarebbero rimasti come minimo fino alle 3 del mattino, respirando e producendo a loro volta fumo, e non è ovviamente per bigottismo che questa scena mi ha colpito.
Ricordo serate, quando avevo quella stessa età, in cui, tornando dai concerti in alcuni centri sociali, i vestiti mandavano un olezzo insopportabile di fumo. Far credere ai genitori che non fumavi era più difficile che non convincerli di saper volare. Era un segno di appartenenza. Sapevano perfettamente nome e indirizzo del posto dove eri stato la sera prima dall’odore di fumo che ti portavi addosso. Quello che mi ha colpito è però il fatto che al tempo dei miei vent’anni nei locali pubblici non era vietato fumare, anche se era già ben noto che facesse male, e le campagne contro il fumo non erano insistenti come quelle di oggi. Oggi non si può fingere di non saperlo. Fin da piccoli ce lo raccontano, e anche a scuola si tengono lezioni di sensibilizzazione molto più mirate rispetto a quando ero bambino io. Ricordo quel poster appeso nei corridoi del mio istituto, il disegno di un ragazzino con una sigaretta in bocca intento a misurare la sua altezza e una scritta: “Fumare non ti rende più grande”. Ovviamente il messaggio che voleva trasmettere era chiaro, ma la ragione per cui me lo ricordo così bene è solo perché era disegnato male. E di certo non mi ha demotivato dall’accendermi le mie prime sigarette.
Ma allora per quale ragione, con tutte le informazioni che abbiamo, non si riesce a non iniziare a fumare, oppure a smettere con facilità, o ancora non si evita di frequentare locali dove si fuma?
Per rispondere a queste domande dobbiamo innanzitutto guardare la chimica e la biologia alla base della dipendenza. Le particelle di fumo trasportano la nicotina nei polmoni dove viene rapidamente assorbita dal sistema circolatorio venoso. Da qui passa al sistema arterioso e si muove rapidamente dai polmoni al cervello dove lega i recettori colinergici, anche detti recettori nicotinici. Il legame apre un canale che permette l’ingresso nelle cellule neuronali di calcio e sodio, che a loro volta attivano canali voltaggio-dipendenti per l’ingresso di ulteriore calcio. L’effetto finale è il rilascio di neurotrasmettitori nelle aree mesolimbiche, nel corpo striato e nella corteccia frontale del cervello, tra cui la dopamina, di cui parleremo anche in altri capitoli, che segnala al corpo uno stato piacevole di rilassatezza, inibisce l’appetito e genera il bisogno di riassumere nicotina attraverso un meccanismo neuronale di piacere-ricompensa. La nicotina, inoltre, aumenta il rilascio di glutammato, che a sua volta modula i livelli di dopamina e inizia un gioco di regolazione a feedback dell’acido γ-aminobutirrico (GABA) che, di per sé, dovrebbe diminuire la quantità di dopamina. Il meccanismo è complesso ma il risultato finale è che il nostro organismo ne vuole sempre di più, ma alla fine ne ricava sempre meno piacere. E, al contrario, la carenza di nicotina provoca ansia, stress, anedonia e diminuzione di concentrazione.5
Dobbiamo poi considerare il condizionamento psicologico. Un fumatore è portato ad associare la sigaretta alla fine di un pranzo, a una tazza di caffè o a un alcolico, al termine della giornata di lavoro o a un momento di svago con amici. Quando vengono ripetute molte volte, queste situazioni diventano potenti segnali di dipendenza inconsapevole. Al verificarsi di uno di questi eventi seguirà inevitabilmente la voglia irrazionale di mettersi in bocca una sigaretta. Così funziona il nostro cervello.
E lo stesso vale per eventi e stati d’animo considerati sgradevoli. Situazioni che ci mettono sotto stress – il minuto prima di salire su un palcoscenico o l’attesa di un autobus in ritardo – sono causa di tensioni che solo una sigaretta può alleviare. O, almeno, così ci sembra. Ma anche questa è chimica, non psicologia. Studi funzionali di microscopia hanno evidenziato come a simili segnali corrisponda un’attivazione di regioni corticali del cervello, tra cui l’insula, l’area associata alle emozioni basilari. Pazienti che hanno subìto danni cerebrali all’insula non sentono la necessità di tornare a fumare rispetto a pazienti che hanno subìto danni in altre parti del cervello. Ovviamente, ci tengo a dirlo, non sto proponendo il danno cerebrale come terapia per smettere di fumare, ma nel dubbio è meglio sottolinearlo.
Quindi, se la dipendenza è legata solo alla nicotina, perché non la assumiamo in altri modi, come ad esempio con i cerotti a lento rilascio, e smettiamo di assorbire le altre 81 sostanze cancerogene presenti nel tabacco? La dipendenza da nicotina, da un punto di vista chimico, dura 72 ore. Tre giorni, certo, che possono apparire come un supplizio per l’insorgenza di ansia, rabbia, irritazione, diminuzione delle facoltà di concentrazione, mal di testa, vertigini, aumento dell’appetito, costipazione, crampi addominali, affaticamento e insonnia, a cui si aggiungono difficoltà respiratorie, tosse e un aumento di muco e catarro, tutti sintomi che il nostro organismo sta iniziando a reagire, rimuovendo gli irritanti a cui era sottoposto.6 Solo tre giorni. In alcuni studi ne sono risultati necessari di più, sette, ma scomodando Platone, cosa sono sette giorni di sofferenza rispetto all’immortalità dell’anima? Anche considerando che oltre alla nicotina sono presenti nel tabacco altre sostanze in grado di generare dipendenza come le pirazine, additivi importanti per conferire un aroma dolciastro, questo non può giustificare la difficoltà generalizzata a smettere di fumare.
Le vere cause vanno quindi ricercate altrove. So per certo che qualcuno, leggendo quanto ho appena scritto sulle 72 ore di dipendenza chimica, storcerà il naso incredulo. Ma è la verità. Mi rendo conto che sembra impossibile che una delle dipendenze più radicate del nostro secolo abbia realmente una durata chimica di così poche ore, ma il vero motivo per cui non riusciamo a smettere di fumare è una dipendenza psicologica legata al fumo. La stessa per cui incominciamo a fumare.
Cina, India, Indonesia, Bangladesh, Filippine, Europa dell’Est, Stati Uniti, Russia e Africa Subsahariana contano più del 63,6 per cento dei fumatori del mondo. I paesi in cui si è registrato negli ultimi dieci anni un calo significativo nel consumo sono stati invece Australia, Brasile, Panama, Danimarca, Repubblica Dominicana, Islanda, Kenya, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia e Svizzera. Questa riduzione è il risultato concertato di campagne di informazione, di un aumento della tassazione sui prodotti legati al tabacco con conseguente incremento dei prezzi e di una presa di coscienza collettiva dei rischi legati al fumo.7 Ma non è ancora sufficiente e lascia trasparire un’altra forma di debolezza umana, la fascinazione per il simbolo.
Se in tutti i paesi economicamente in espansione le sigarette sono fortemente pubblicizzate con un’associazione socialmente vincente tra fumo, gioventù, successo, divertimento, virilità e benessere, nei paesi dove questo avveniva fino a trent’anni fa e che oggi godono di una situazione economica stabile, è la trasgressione, insieme al piacere e alla rilassatezza, a costituire la chiave del successo del fumo.
Così, se è ancora vivo il ricordo del sigaro di lewinskiana memoria come simbolo di potere, dall’altra parte è sufficiente googlare “writers smokin...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Cent’anni da leoni
  4. Perché?
  5. 1. Minuti bruciati
  6. 2. Ventiquattrosette
  7. 3. Vuoi mettere una bella grigliata?
  8. 4. Sempre connessi
  9. 5. Fatti e miss-fatte
  10. 6. Esposizione massima
  11. 7. Forma e sostanze
  12. 8. Stili di vita, vita con stile
  13. 9. Una settimana tipo. La dieta di compensazione
  14. 10. La cattiva scienza e le leggende metropolitane
  15. Dannatamente sani
  16. Note
  17. Ringraziamenti
  18. Copyright