Il crollo della Baliverna
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Il crollo della Baliverna

  1. 280 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il crollo della Baliverna

Informazioni su questo libro

Terza raccolta di racconti di Buzzati (apparve nel 1954, dopo I sette messaggeri e Paura alla Scala ), Il crollo della Baliverna evidenzia due dei temi fondamentali dello scrittore: il gioco del destino e delle coincidenze che imbrigliano l'uomo senza lasciargli scampo e la dimensione religiosa - sempre presente anche quando non è esplicitata nell'opera buzzatiana - intesa non come "fede", ma come unica possibilità per penetrare il mistero dell'essere. In questi trentasette racconti l'autore dà voce alle contraddizioni umane, alle infinite sfumature della libertà del singolo, senza trascurare l'influenza di altre potenze: con la sua complessa intuizione fantastica, arriva così a sondare la realtà in tutto il suo spessore.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
Print ISBN
9788804705208

Il cane che ha visto Dio

I

Per pura malignità, il vecchio Spirito, ricco fornaio del paese di Tis, lasciò in eredità il suo patrimonio al nipote Defendente Sapori con una condizione: per cinque anni, ogni mattina, egli doveva distribuire ai poveri, in località pubblica, cinquanta chilogrammi di pane fresco. All’idea che il massiccio nipote, miscredente e bestemmiatore tra i primi in un paese di scomunicati, si dedicasse sotto gli sguardi della gente a un’opera cosiddetta di bene, a questa idea lo zio doveva essersi fatto, anche prima di morire, molte risate clandestine.
Defendente, unico erede, aveva lavorato nel forno fin da ragazzo e non aveva mai dubitato che la sostanza di Spirito toccasse a lui quasi di diritto. Quella condizione lo esasperava. Ma che fare? Buttar via tutta quella grazia di Dio, forno compreso? Si adattò, maledicendo. Per località pubblica scelse la meno esposta: l’atrio del cortiletto che si apriva dietro il forno. E qui lo si vide ogni mattina di buon’ora pesare il pane stabilito (come prescriveva il testamento), ammucchiarlo in una grande cesta e quindi distribuirlo a una turba vorace di poveri, accompagnando l’offerta con parolacce e scherzi irriverenti all’indirizzo dello zio defunto. Cinquanta chili al giorno! Gli pareva stolto e immorale.
L’esecutore testamentario, ch’era il notaio Stiffolo, veniva ben di rado, in un’ora così mattutina, a godersi lo spettacolo. La sua presenza del resto era superflua. Nessuno avrebbe potuto controllare la fedeltà ai patti meglio degli stessi accattoni. Tuttavia Defendente finì per escogitare un parziale rimedio. La grande cesta in cui il mezzo quintale di pagnotte si ammucchiava veniva messa a ridosso di un muro. Il Sapori di nascosto vi tagliò una specie di sportellino che, rinchiuso, non si poteva distinguere. Iniziata personalmente la distribuzione, prese l’abitudine di andarsene, lasciando la moglie e un garzoncello a esaurire il lavoro: il forno e il negozio, diceva, avevano bisogno di lui. In realtà si affrettava in cantina, saliva su una sedia, apriva in silenzio la grata di una finestrella al filo del pavimento del cortile contro la quale era collocata la cesta; aperto poi lo sportellino di paglia, sottraeva dal fondo quanti più pani era possibile. Il livello così calava rapidamente. Ma i poveri come potevano capire? Con la velocità con cui venivano consegnate le pagnotte, logico che la cesta si vuotasse in fretta.
Nei primi giorni gli amici di Defendente anticiparono apposta la sveglia per andarlo ad ammirare nelle sue nuove funzioni. Fermi in gruppetto sulla porta del cortile lo osservavano beffardi. «Che Dio te ne rimeriti!» erano i loro commenti. «Te lo prepari, eh, un posto in Paradiso? E bravo il nostro filantropo!»
«All’anima di quella carogna!» rispondeva lui lanciando le pagnotte in mezzo alla calca dei pezzenti che le afferravano a volo. E sogghignava al pensiero del bellissimo trucco per frodare quei disgraziati e insieme l’anima dello zio defunto.

II

Nella stessa estate il vecchio eremita Silvestro, saputo che di Dio in quel paese ce n’era poco, venne a stabilirsi nelle vicinanze. A una decina di chilometri da Tis c’era, su una collinetta solitaria, il rudere di una cappella antica: pietre, più che altro. Qui si pose Silvestro, trovando acqua in una fonte vicina, dormendo in un angolo riparato da un resto di volta, mangiando erbe e carrube; e di giorno spesso saliva ad inginocchiarsi in cima a un grosso macigno per la contemplazione di Dio.
Di quassù egli scorgeva le case di Tis e i tetti di alcuni casolari più vicini: tra cui le frazioni della Fossa, di Andron e di Limena. Ma invano aspettò che qualcuno comparisse. Le sue calde preghiere per le anime di quei peccatori salivano al cielo senza frutto. Silvestro continuava però ad adorare il Creatore, praticando digiuni e chiacchierando, quando era triste, con gli uccelli. Nessun uomo veniva. Una sera scorse, è vero, due ragazzetti che di lontano lo spiavano. Li chiamò amabilmente. Quelli scapparono.

III

Ma nottetempo, in direzione della cappella abbandonata, i contadini della zona cominciarono a scorgere strane luci. Pareva l’incendio di un bosco ma il bagliore era bianco e palpitava dolcemente. Il Frigimelica, quello della fornace, andò una sera, per curiosità, a vedere. A metà strada, però, la sua motocicletta ebbe una panne. Chissà perché, egli non si arrischiò di continuare a piedi. Ritornato, disse che un alone di luce si diffondeva dalla collinetta dell’eremita; e non era luce di fuoco o di lampada. Senza difficoltà i contadini dedussero che quella era la luce di Dio.
Anche da Tis alcune notti si scorgeva il riverbero. Ma la venuta dell’eremita, le sue stravaganze e poi le sue luci notturne affondarono nella solita indifferenza dei paesani per tutto ciò che riguardasse anche da lontano la religione. Se veniva il discorso, ne parlavano come di fatti già da lungo tempo noti, non si insisteva per trovare spiegazioni e la frase: “L’eremita fa i fuochi” divenne di uso corrente come dire: stanotte piove o tira vento.
Che tanta indifferenza fosse del tutto sincera lo confermò la solitudine in cui venne lasciato Silvestro. L’idea di andare da lui in pellegrinaggio sarebbe parsa il colmo del ridicolo.

IV

Un mattino Defendente Sapori stava distribuendo le pagnotte ai poveri quando un cane entra nel cortiletto. Era una bestia apparentemente randagia, abbastanza grossa, pelo ispido e volto mansueto. Sguscia fra gli accattoni in attesa, raggiunge la cesta, afferra un pane e se ne va lemme lemme. Non come un ladro, piuttosto come uno che sia venuto a prendersi del suo.
«Ehi, Fido, qua, brutta bestiaccia!» urla Defendente, tentando un nome; e balza alla rincorsa. «Son già troppi questi lazzaroni. Non mancano che i cani, adesso!» Ma l’animale è già fuori tiro.
La stessa scena il giorno dopo: il medesimo cane, la medesima manovra. Questa volta il fornaio insegue la bestia fin sulla strada, gli lancia pietre senza prenderlo.
Il bello è che il furto va ripetendosi puntualmente ogni mattina. Meravigliosa la furberia del cane nello scegliere il momento giusto; così giusto che per lui non c’è neppure bisogno di affrettarsi. Né i proiettili lanciatigli dietro arrivano mai al segno. Uno sguaiato coro di risa si leva ogni volta dalla turba dei pezzenti, e il fornaio va in furore.
Imbestialito, il giorno successivo Defendente si apposta sulla soglia del cortile, nascosto dietro lo stipite, in mano un randello. Inutile. Mescolandosi forse alla calca dei poveretti, che godono della beffa e non hanno perciò motivo di tradirlo, il cane entra ed esce impunemente.
«Eh, anche oggi ce l’ha fatta!» avverte qualche accattone stazionante sulla strada. «Dove? dove?» chiede Defendente balzando fuori dal nascondiglio. «Guardi, guardi come se la batte!» indica ridendo il miserabile, deliziato dall’ira del fornaio.
In verità il cane non se la batte in alcun modo; tenendo fra i denti la pagnotta si allontana col passo dinoccolato e tranquillo di chi ha a posto la coscienza.
Chiudere un occhio? No, Defendente non sopporta questi scherzi. Poiché nel cortile non riesce a imbottigliarlo, alla prossima occasione favorevole darà la caccia al cane per la via. Può anche darsi che il cane non sia del tutto randagio, forse ha un rifugio a carattere stabile, forse ha un padrone a cui si può chiedere un compenso. Così non si può certo andare avanti. Per badare a quella bestiaccia, negli ultimi giorni il Sapori ha tardato a scendere in cantina e ha recuperato molto meno pane del solito: soldi che se ne vanno.
Anche il tentativo di sistemare la bestia con una pagnotta avvelenata, messa per terra all’ingresso del cortile, non ha avuto fortuna. Il cane l’ha annusata un istante, è subito proseguito verso la cesta: così almeno hanno poi riferito testimoni.

V

Per far le cose bene Defendente Sapori si mise alla posta dall’altra parte della strada, sotto un portone, con la bicicletta e il fucile da caccia: la bicicletta per inseguire la bestia, la doppietta per ammazzarla se avesse constatato che non esisteva un padrone a cui poter chiedere indennizzo. Gli doleva solo il pensiero che quel mattino la cesta sarebbe stata vuotata a esclusivo beneficio dei poveri.
Da che parte e in che modo venne il cane? Proprio un mistero. Il fornaio, che pur stava con gli occhi spalancati, non riuscì ad avvistarlo. Lo scorse più tardi che usciva, placido, la pagnotta tra i denti. Dal cortile giungevano echi di alte risate. Defendente aspettò che l’animale si allontanasse un poco, per non metterlo in allarme. Poi balzò sul sellino e dietro.
Il fornaio si aspettava, come prima ipotesi, che il cane si fermasse poco dopo a divorare la pagnotta. Il cane non si fermò. Aveva anche immaginato che, dopo breve cammino, si infilasse nella porta di una casa. E invece niente. Il suo pane tra i denti, la bestia trotterellava lungo i muri con passo regolare né mai sostava per annusare, o fare la piscia, o curiosare come è abitudine dei cani. Dove dunque si sarebbe fermato? Il Sapori guardava il cielo grigio. Niente da meravigliarsi se si fosse messo a piovere.
Passarono la piazzetta di Sant’Agnese, passarono le scuole elementari, la stazione, il lavatoio pubblico. Ormai erano ai margini del paese. Si lasciarono finalmente alle spalle anche il campo sportivo e si inoltrarono nella campagna. Da quando era uscito dal cortile, il cane non si era mai voltato indietro. Forse ignorava di essere inseguito.
Ormai c’era da abbandonare la speranza che l’animale avesse un padrone che potesse rispondere per lui. Era proprio un cane randagio, una di quelle bestiacce che infestano le aie dei contadini, rubano i polli, addentano i vitelli, spaventano le vecchie e poi finiscono in città a diffondere sporche malattie.
Forse l’unica era di sparargli. Ma per sparargli occorreva fermarsi, scendere di bicicletta, togliersi la doppietta di spalla. Tanto bastava perché la bestia, pur senza accelerare il passo, si mettesse fuori tiro. Il Sapori continuò l’inseguimento.

VI

Cammina cammina, ecco che cominciano i boschi. Il cane zampetta via per una strada laterale e poi in un’altra ancora più stretta ma liscia ed agevole.
Quanta strada hanno già percorsa? Forse otto, nove chilometri. E perché il cane non si ferma a mangiare? Che cosa aspetta? Oppure porta il pane a qualcuno? Quand’ecco, il terreno facendosi sempre più ripido, il cane svolta in un sentierino e la bicicletta non può più proseguire. Per fortuna anche la bestia, per la forte pendenza, rallenta un poco il passo. Defendente balza dal velocipide e continua l’inseguimento a piedi. Ma il cane a mano a mano lo distanzia.
Già esasperato, sta per tentare una schioppettata quando, in cima a un arido declivo, vede un grande macigno: sopra il macigno è inginocchiato un uomo. E allora gli torna alla mente l’eremita, le luci notturne, tutte quelle ridicole fandonie. Il cane trotterella placido su per il magro prato.
Defendente, il fucile già in mano, si ferma a una cinquantina di metri. Vede l’eremita interrompere la preghiera e calarsi giù dal macigno con singolare agilità verso il cane che scodinzola e gli depone il pane ai piedi. Raccolta da terra la pagnotta, l’eremita ne spicca un pezzettino e lo ripone in una bisaccia che porta a tracolla. Il resto lo restituisce al cane con un sorriso.
L’anacoreta è piccolo e segaligno, vestito con una specie di saio; la faccia si mostra simpatica, non priva di una astuzia fanciullesca. Allora il fornaio si fa avanti, deciso a far valere le sue ragioni.
«Benvenuto, fratello» lo previene Silvestro, vedendolo avvicinare. «Come mai da queste parti? Sei forse in giro per caccia?»
«A dir la verità» risponde duro il Sapori «andavo a caccia di… di una certa bestiaccia che ogni giorno…» «Ah, sei tu?» lo interrompe il vecchio. «Sei tu che mi procuri ogni giorno questo buon pane?… un pane da signori questo… un lusso che non sapevo di meritare!…»
«Buono? Sfido che è buono! Fresco tolto dal forno… il mio mestiere lo conosco, caro il mio signore… ma non è fatto per rubare il mio pane!»
Silvestro abbassa il capo fissando l’erba: «Capisco» dice con una certa tristezza. «Tu hai ragione di lamentarti, ma io non sapevo… Vuol dire che Galeone non andrà più in paese… lo terrò sempre qui con me… anche un cane non deve avere rimorsi… Non verrà più, te lo prometto.»
«Oh be’» dice il fornaio un poco calmato «quand’è così può anche venire il cane. C’è una maledetta faccenda di testamento, e io sono obbligato a buttar via ogni giorno cinquanta chili di pane… ai poveri devo darli, a quei bastardi senza arte né parte… Anche se una pagnotta verrà a finire quassù… povero più povero meno…»
«Dio te ne renderà merito, fratello… Testamento o no, tu fai opera di misericordia.»
«Ma ne farei molto volentieri a meno.»
«Lo so perché parli così… C’è ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. di Fausto Gianfranceschi
  4. IL CROLLO DELLA BALIVERNA
  5. Il crollo della Baliverna
  6. Il cane che ha visto Dio
  7. Fino all’ultima goccia di sangue
  8. Autorimessa Erebus
  9. Qualcosa era successo
  10. La grande biscia
  11. Il fratello cambiato
  12. Sic transit
  13. Un verme in casa
  14. La macchina che fermava il tempo
  15. I topi
  16. Un corvo in Vaticano
  17. Appuntamento con Einstein
  18. Il buio
  19. La bambina dimenticata
  20. Gli amici
  21. I reziarii
  22. Il delatore
  23. All’idrogeno
  24. L’uomo che volle guarire
  25. 24 marzo 1958
  26. L’epidemia
  27. Le tentazioni di sant’Antonio
  28. Il provocatore
  29. Il bambino tiranno
  30. Trionfo
  31. Il delitto del cavaliere Imbriani
  32. Rigoletto
  33. I cinque fratelli
  34. Processo per idolatria
  35. Il musicista invidioso
  36. La macchina
  37. Il caso di Aziz Maio
  38. Notte d’inverno a Filadelfia
  39. La frana
  40. Non aspettavano altro
  41. Il disco si posò
  42. Copyright