Una cosa sull'amore
eBook - ePub

Una cosa sull'amore

  1. 300 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Una cosa sull'amore

Informazioni su questo libro

La scoperta della propria sessualità, il tumulto dell'adolescenza, l'amore dentro e fuori la famiglia: sono i temi che hanno fatto la fortuna dei romanzi di Jeffrey Eugenides e che ora tornano in questa prima, straordinaria raccolta di racconti. Una cosa sull'amore ha per protagonisti uomini e donne nel mezzo di una crisi personale o del mondo che li circonda, del loro paese. Un poeta fallito e roso dall'invidia che si trasforma in abile truffatore negli anni della bolla immobiliare. Un suonatore di clavicordo costretto ad accantonare la sua passione per l'arte in nome della moglie e dei figli; il docente universitario piuttosto confuso sulla sua identità sessuale e la studentessa indiana che, per sfuggire alle imposizioni della sua famiglia, arriva a compromettere la vita privata e la carriera di un professore di mezza età.

Con una forza narrativa dirompente e una straordinaria bravura nel creare personaggi memorabili, questi racconti mostrano il percorso e l'enorme talento di uno dei più grandi scrittori americani.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
Print ISBN
9788804688112
eBook ISBN
9788852089022

DENUNCIA TEMPESTIVA

Quando Matthew viene a sapere che le accuse sono state ritirate – non sarà estradato né processato – si trova in Inghilterra da quattro mesi. Ruth e Jim hanno comprato una casa a Dorset, vicino al mare. È molto più piccola della casa in cui lui e la sorella sono cresciuti, quando Ruth era sposata con il loro padre. Ma è piena di cose che gli ricordano la sua infanzia a Londra. Quando la sera sale nella camera degli ospiti o quando esce dalla porta su retro per andare al pub, gli balzano agli occhi oggetti familiari: la statuetta intagliata dell’escursionista alpino, con i Lederhosen, comprata durante un viaggio della famiglia in Svizzera, nel 1977; o i reggilibri di cristallo che un tempo erano nello studio di papà: blocchi solidi di trasparenza, ognuno contenente una mela d’oro che ai suoi occhi di bambino sembrava sospesa per magia. Adesso sono in cucina, reggono i libri di ricette di Ruth.
La porta si apre su un viottolo acciottolato che si snoda sul retro delle case dei vicini, oltre una chiesa e un cimitero, fino al centro della cittadina. Il pub è di fronte alla farmacia e a un negozio H&M. Matthew è un cliente fisso. Alcuni frequentatori del pub a volte gli chiedono come mai sia tornato in Inghilterra, e le ragioni che fornisce – problemi con il permesso di lavoro e complicazioni fiscali – sembrano sufficienti a soddisfare la loro curiosità. Lo preoccupa la possibilità che in Rete spunti qualcosa sul suo caso, ma finora non è successo. La città si trova a centoventi miglia da Londra, lontano dalla Manica. PJ Harvey ha inciso Let England Shake in una chiesa non molto distante. Matthew ascolta l’album con le cuffie mentre cammina nella brughiera, o va a fare delle commissioni in macchina, sempre che riesca a far funzionare il Bluetooth di Ruth. I versi delle canzoni, che parlano di antiche battaglie e dei figli caduti dell’Inghilterra, luoghi cupi di sacra memoria, sono il suo bentornato a casa.
Di tanto in tanto, mentre attraversa il villaggio, coglie un baluginio con la coda dell’occhio. I luminosi capelli biondi di una ragazza. O un gruppo di studenti davanti al college per infermieri, che fumano. Si sente un criminale solo a guardarli.
Un pomeriggio arriva fino alla spiaggia. Dopo aver parcheggiato, si mette in cammino. Le nuvole, come sempre da queste parti, sono basse. È come se, avendo attraversato l’oceano, fossero sorprese di trovare la terra sotto di loro e non si ritirassero a una distanza rispettabile.
Segue il sentiero che arriva alla scogliera. Ed è allora, mentre guarda a ovest sull’oceano, che se ne rende conto.
Adesso è libero di tornare. Può vedere i suoi figli. Non corre più rischi a tornare in America.
Undici mesi prima, all’inizio dell’anno, Matthew era stato invitato a tenere una conferenza in un piccolo college del Delaware. Il lunedì mattina prese il treno da New York, dove viveva con la moglie Tracy, che era americana, e i due figli, Jacob e Hazel. Alle tre del pomeriggio era in un caffè di fronte al suo albergo ad aspettare che qualcuno del dipartimento di fisica passasse a prenderlo per portarlo all’auditorium.
Aveva scelto un tavolo vicino alla vetrina per essere individuato facilmente. Mentre beveva un espresso, ricontrollò gli appunti sul computer, ma poco dopo fu distratto da una email a cui doveva rispondere, e quindi dalla lettura del “Guardian” online. Aveva finito il caffè e stava pensando di ordinarne un altro quando sentì una voce.
«Professore?»
Era una ragazza dai capelli scuri con una felpa troppo grande e uno zainetto, in piedi a pochi passi da lui. Matthew la guardò e lei alzò le mani in segno di resa. «Non sono una stalker» disse. «Giuro.»
«Non mi è nemmeno passato per la testa.»
«Lei è Matthew Wilks? Oggi verrò alla sua conferenza!»
Lo annunciò come se lui fosse stato sul punto di rispondere alla domanda. Poi sembrò rendersi conto di dover dare una spiegazione, abbassò le mani e disse: «Studio qui». Spinse in fuori il petto per mostrare lo stemma del college sulla felpa.
A Matthew capitava di rado di venire riconosciuto in pubblico. Quando accadeva, erano colleghi – altri cosmologi – e suoi studenti. Ogni tanto un lettore, di mezza età o decisamente anziano. Nessuno come quella ragazza.
Sembrava indoamericana. Parlava e vestiva come una normale ragazza americana della sua età, eppure, nonostante i vestiti che indossava, non solo la felpa ma i leggings neri, gli scarponcini Timberland e i calzettoni viola da escursionista, insieme a un’impressione generale di poca pulizia tipica degli studenti, della vita nei dormitori universitari, Matthew lesse sul suo viso un po’ particolare le sue origini genetiche. La ragazza gli ricordava una miniatura indù. Le labbra scure, il naso arcuato con le narici dilatate, e soprattutto gli occhi, di un colore sorprendente che poteva esistere soltanto in un dipinto dove l’artista avesse mescolato verde, blu e giallo indiscriminatamente, più che a un’universitaria del Delaware la facevano assomigliare a una ballerina gopi, o a una santa bambina venerata dalle masse.
«Se viene alla mia conferenza» riuscì a dire Matthew mentre elaborava le impressioni ricevute, «deve laurearsi in fisica.»
La ragazza scosse la testa. «Sono solo al primo anno. Decido l’anno prossimo.» Si sfilò lo zaino e lo posò a terra, come se volesse sistemarsi. «I miei genitori vogliono che scelga una materia scientifica. E a me interessa la fisica. Al liceo ho scelto fisica avanzata. Ma sto pensando anche a legge, che sarebbe più una facoltà umanistica. Lei ha un consiglio da darmi?»
Matthew trovò imbarazzante stare seduto mentre la ragazza era in piedi. Ma chiederle di sedersi avrebbe significato invitarla a una conversazione più lunga di quanto lui avesse il tempo o la voglia di sostenere. «Il mio consiglio è di studiare quello che le interessa davvero. Ha tutto il tempo di prendere una decisione.»
«È quello che ha fatto lei, giusto? A Oxford? Ha cominciato a studiare filosofia ma poi è passato a fisica.»
«Esatto.»
«Mi piacerebbe davvero sapere come riesce a combinare tutti i suoi interessi» disse la ragazza. «Perché è questo che vorrei fare io. Cioè, lei è uno scrittore meraviglioso! Il modo in cui spiega il Big Bang o l’inflazione spontanea, è quasi come se potessi vederli accadere. Ha seguito molti corsi di letteratura all’università?»
«Qualcuno, sì.»
«Sono letteralmente dipendente dal suo blog. Quando ho saputo che sarebbe venuto al campus, non riuscivo a crederci!» La ragazza si interruppe, lo sguardo fisso e sorridente. «Pensa che potremmo prendere un caffè o qualcos’altro mentre è qui, professore?»
Per quanto fosse sfacciata, la richiesta non lo sorprese più di tanto. In ogni classe in cui insegnava c’era almeno uno studente, o studentessa, un po’ assillante. Ragazzi che avevano cominciato a costruirsi il curriculum alla scuola materna. Volevano incontrarlo per un caffè, oppure si presentavano alle sue ore di ricevimento, gli chiedevano l’amicizia sui social, sperando di procurarsi raccomandazioni o tirocini per il futuro, o semplicemente alleviavano per qualche istante l’ansia da ipercompetitività e stress, perché era così che il mondo li costringeva a essere, ipercompetitivi e stressati. L’intensità di questa ragazza, il suo vivace entusiasmo che rasentava l’isteria, lui li conosceva bene.
Era lontano da casa per lavoro, con tanto tempo libero a disposizione. Non aveva alcuna intenzione di trascorrerlo facendo il tutor a una matricola. «Mi tengono piuttosto occupato durante la mia permanenza qui» disse. «Ho un’agenda piena.»
«Quanto si fermerà?»
«Solo stasera.»
«Okay. Be’, almeno verrò a sentirla.»
«D’accordo.»
«Avevo intenzione di venire al suo dibattito aperto domani mattina, ma ho lezione» continuò la ragazza.
«Non si perde niente. Di solito mi ripeto.»
«Scommetto che non è vero» disse lei. Raccolse lo zaino. Sembrava sul punto di andarsene, poi disse: «Le servono indicazioni su come raggiungere l’auditorium? Io riesco ancora a perdermi, da queste parti, però credo di farcela. Sto andando lì, ovviamente».
«Mi vengono a prendere.»
«Okay. Adesso pensa che sono davvero una stalker. È stato bello conoscerla, professore.»
«Piacere mio.»
Però la ragazza ancora non se ne andava. Continuava a guardarlo con quella strana intensità che era anche un vuoto. Da questo vuoto, come se consegnasse un messaggio da un altro regno, all’improvviso la ragazza disse: «Lei è meglio di persona che in fotografia».
«Non sono sicuro che sia un complimento.»
«È un’affermazione.»
«Non sono sicuro che sia una buona notizia, però. Visto che esiste Internet, probabilmente mi si vede più in fotografia che dal vivo.»
«Non ho detto che nelle foto viene male, professore» disse la ragazza. E con un’aria vagamente offesa, o dando a intendere che dopotutto il loro scambio era stato una leggera delusione, la ragazza si mise lo zaino in spalla e si allontanò.
Matthew tornò al suo laptop e rimase a fissarne lo schermo. Soltanto quando la ragazza fu uscita dal caffè ed ebbe superato la vetrina alzò lo sguardo, consapevolmente, per controllare com’era vista da dietro.
Non era giusto.
Anche se un terzo dei ragazzi della sua scuola erano indiani, Diwali non era considerata una festa ufficiale. Avevano vacanza a Natale e a Pasqua, naturalmente, e per Rosh Hashanah e per Yom Kippur, ma quando si trattava di festività induiste o musulmane c’erano soltanto dei “compromessi”. Il che significava che gli insegnanti ti giustificavano l’assenza però ti assegnavano lo stesso i compiti. E significava anche che dovevi essere aggiornato su quel che si era fatto in classe quel giorno.
Prakrti sarebbe stata assente quattro giorni. Quasi un’intera settimana, e nel peggior periodo possibile: proprio prima degli esami di matematica e storia, e durante il decisivo terzo anno. Solo a pensarci veniva presa dal panico.
Aveva implorato i genitori di annullare il viaggio. Non capiva perché non potessero festeggiare a casa come tutti i loro conoscenti. La madre le aveva spiegato che le mancava la sua famiglia, la sorella, Deepa, e i fratelli, Pratul e Amitava. E che i suoi genitori – i nonni di Prakrti e Durva – stavano invecchiando. Prakrti non voleva vedere Dadi e Dadu prima che lasciassero per sempre questo mondo?
Prakrti non aveva risposto. Non conosceva bene i nonni… li vedeva solo durante le saltuarie visite in quello che, per lei, era un paese straniero. Non era colpa sua se i nonni sembravano strani e un po’ svampiti, ma sapeva che dirlo l’avrebbe messa in cattiva luce.
«Lasciatemi qui» aveva detto. «So badare a me stessa.»
Non aveva funzionato.
Partirono dal Philadelphia International un lunedì sera all’inizio di novembre. Seduta in fondo all’aereo vicino alla sorellina, Prakrti accese la luce sopra il sedile. Aveva programmato di leggere La lettera scarlatta all’andata e di scrivere la sua tesina sul volo di ritorno. Però non riusciva a concentrarsi. Il simbolismo di Hawthorne le sembrava soffocante come l’aria pressurizzata e viziata della cabina; e benché simpatizzasse con Hester Prynne, punita per aver fatto quello che oggigiorno avrebbe fatto chiunque, appena le hostess servirono la cena ne approfittò per abbassare il tavolino e guardare un film mentre mangiava.
All’arrivo a Kolkata risentiva troppo del jet lag per studiare. Aveva anche troppe cose da fare. Insistendo che un sonnellino non fosse salutare, zia Deepa portò subito lei, Durva, la cugina Smita e la loro madre a fare shopping. Andarono in un nuovo grande magazzino elegante a comprare forchette e coltelli d’argento e cucchiai di servizio; e, per le ragazze, cerchietti d’oro e d’argento. Dopodiché attraversarono un mercato coperto, una specie di bazar con file di bancarelle, per acquistare riso e la curcuma rossa per il tilak. Tornati a casa, cominciarono a decorarla per la festa. Prakrti, Durva e Smita avevano il compito di lasciare le impronte di Lakshmi. Scalze, le tre ra...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Una cosa sull’amore
  4. LE BRONTOLONE
  5. POSTA AEREA
  6. SIRINGA PER UNGERE LA CARNE
  7. MUSICA BAROCCA
  8. MULTIPROPRIETÀ
  9. TROVA IL CATTIVO
  10. LA VULVA ORACOLARE
  11. GIARDINI VOLUBILI
  12. GREAT EXPERIMENT
  13. DENUNCIA TEMPESTIVA
  14. Ringraziamenti
  15. Copyright