Il bambino perduto e ritrovato
eBook - ePub

Il bambino perduto e ritrovato

Favole per far la pace col bambino che siamo stati

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il bambino perduto e ritrovato

Favole per far la pace col bambino che siamo stati

Informazioni su questo libro

C'è un bambino nascosto e spesso perduto in ognuno di noi adulti, un bambino che può riattivarsi improvvisamente, senza che ce ne rendiamo conto, condizionandoci nei comportamenti e nelle relazioni affettive importanti, in modo particolare nel rapporto con i nostri figli. A volte spianiamo troppo la strada, impedendo loro di confrontarsi con le difficoltà che fanno crescere. Oppure ci aspettiamo quei successi che a noi sono mancati, limitando lo sviluppo della loro personalità. In questo volume Alba Marcoli, avvalendosi di favole scaturite da storie reali, ci fa prendere coscienza di alcuni nostri atteggiamenti. Ma soprattutto ci insegna a superare quelle ombre del nostro passato che possono interferire nelle scelte e nel modo in cui i nostri bambini affronteranno la vita.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il bambino perduto e ritrovato di Alba Marcoli in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
Print ISBN
9788804703983
eBook ISBN
9788852089923
Capitolo 1

La storia delle storie di queste storie

Ciò che mi importa è il processo stesso del pensiero. Quando io lo esercito sono molto contenta. Quando riesco a esprimerlo in modo adeguato nella scrittura, di nuovo sono molto soddisfatta. Ottenere io un’influenza? No, io voglio comprendere. E quando altri comprendono – nello stesso senso in cui io ho compreso – allora provo una soddisfazione comparabile a quella che si prova quando ci si sente a casa propria.
Hannah Arendt1
1. H. Arendt, La lingua materna, La condizione umana e il pensiero plurale, Mimesis, Milano 1993.

Perché parlare di crisi

«Come guardiano metto una stella
perché i cuccioli diventino grandi.»
(Elena, 8 anni)
Mi capita ancora oggi, ogni tanto, di chiedermi come mai queste storie, che avevo inizialmente pensato per i bambini e che sono poi diventate materiale da utilizzare in gruppi di discussione per adulti, siano infine diventate anche dei libri, senza che io stessa me l’aspettassi.
Penso che all’origine ci sia anche il fatto che a mano a mano che le usavo mi rendevo conto che il loro ascolto portava spesso a una maggiore possibilità di comprensione dei comportamenti infantili (anche quelli nostri da bambini) da parte degli adulti. E questo migliorava in genere la qualità della loro relazione, anche se non la semplificava di certo, anzi a volte la complicava ulteriormente: di spunti e di riflessioni però evolutive, piuttosto che involutive.
Un’altra influenza importante, inoltre, credo l’abbia avuta la riflessione di un terapeuta infantile che avevo letto anni fa e a cui sono molto grata perché io non ci avevo mai pensato prima in quei termini (purtroppo la mia memoria mi impedisce oggi, ahimè, di ricordare l’autore e il testo per citarli) e che diceva più o meno così: «Se l’incidenza delle consultazioni psichiatriche nella popolazione adulta è almeno intorno al 10% della popolazione [dato secondo lui sottostimato – N.d.A.] è ragionevole pensare che questa sia anche la percentuale dei bambini di una classe che un domani, da adulti, dovrà presumibilmente ricorrere a una consultazione psichiatrica. Che cosa possiamo fare prima? Come possiamo raccogliere i segnali di un bambino quando c’è ancora il tempo di aiutarlo a evolvere in un senso piuttosto che in un altro?».
Questa riflessione è stata per me una delle famose frasi che ne valgono più di mille, perché sono come i semi per ulteriori percorsi mentali. D’altra parte una domanda che mi facevo spesso quando insegnavo e mi imbattevo nei cosiddetti «ragazzi difficili» era proprio questa: «Che cosa abbiamo fatto o facciamo per questi ragazzi? Perché è così difficile guidare, anche severamente, e sostenere un ragazzo riuscendo però contemporaneamente a capirlo e a farlo sentire capito (cosa che aiuta tutti, non solo i bambini o i ragazzi)?».
Ricordo con grande simpatia uno di questi ragazzi «terribili» (che in realtà era intelligente, sensibile, desideroso di imparare ma con un’ansia così alta che lo portava a essere incapace di stare fermo e sempre in preda a un’agitazione continua e perenne in classe) che un giorno in prima superiore ha raccontato: «Sa, prof, che sono andato a trovare i miei insegnanti delle medie? E lo sa che cosa mi hanno chiesto loro, ridendo, quando mi hanno visto? “Chi sono i santi che ti sopportano adesso?” Io allora ho risposto: “Sapete che cosa mi dicono i miei prof delle superiori? Che voi dovreste essere decorati con una medaglia al valor civile per avermi sopportato per tre anni alle medie!”».
Fra i tanti ricordi della scuola questo mi è rimasto come scambio di solidarietà fra insegnanti che non si erano mai conosciuti, avvenuto attraverso un ragazzo dal comportamento «terribile», che però si poteva permettere di raccontarlo perché si era sentito accettato, contenuto, guidato e integrato nella classe invece di esserne emarginato (non sempre è possibile, purtroppo!).
Credo quindi che alla base del voler raccogliere queste storie in qualche libro ci sia stata anche la speranza di aiutare a riconoscere i segnali della sofferenza di un bambino o di un ragazzo prima che possano diventare involutivi sul piano mentale.
Tutte le storie hanno infatti a che fare con una situazione di sofferenza psicologica e di crisi che potrebbe passare inosservata o, peggio ancora, essere liquidata solo con interventi di tipo comportamentale o farmacologico (si inizia già con gli sciroppi per il sonno nei bambini piccoli!) che mirano a mettere a tacere il sintomo che i bambini o i ragazzi presentano. Può anche essere necessario lo sciroppo per il sonno, in certi casi d’emergenza, ma credo che ci si debba ricorrere solo ed esclusivamente come soluzione estrema, in situazioni particolari e non come prassi normale. Può servire certe volte ad assicurare un periodo di sonno e di recupero di energie non solo al bambino ma anche a dei genitori così esausti che altrimenti non avrebbero più energia da dedicargli, per cui tra due mali questo diventa il minore. Credo che sia importante però essere consapevoli di questa scelta, quando la si fa, perché diventa inevitabile. E non può che essere una scelta estrema e temporanea.
Il bambino ha infatti bisogno di trovare a poco a poco le sue strategie per i problemi e le difficoltà che la vita gli comporterà e per trovarle si deve confrontare con l’ansia, non evitarla attraverso un farmaco che gli rimanda solo il problema e, soprattutto, lo può abituare a pensare, con l’andare del tempo, che tutto si risolva con una pillola, come se per ogni problema del vivere ci fosse il farmaco adatto. I tossicodipendenti in questo purtroppo insegnano.
È perciò all’ascolto del sintomo (e se lo si mette a tacere, come lo si può ascoltare?) che questi miei libri mirano, partendo dalla riflessione che quando il sintomo emerge è proprio perché vuole segnalare qualcosa. Il raccogliere un sintomo infantile, infatti, migliora spesso non solo la qualità della vita del bambino, ma anche quella dei suoi genitori. Il sintomo emerge in genere quando le difese che un bambino ha elaborato fino ad allora non sono più sufficienti a proteggerlo nella situazione di vita attuale, che è spesso cambiata nel corso della crescita. E la fatica di accettare e di adattarsi ai cambiamenti non riguarda solo lui, ma l’intera sua famiglia. Dietro a un ragazzo che affronta la crisi di tutti i passaggi e i cambiamenti dell’adolescenza, per esempio, stanno sempre dei genitori che affrontano anche loro, e nello stesso periodo, la crisi personale dei loro stessi passaggi di vita che sono proprio tanti, dopo i quarant’anni (mi riferisco in particolare alle generazioni che hanno avuto figli da giovani).
Fra i più comuni e frequenti ci sono la fatica di essere detronizzati dai figli (per un bambino il papà e la mamma sono al centro della sua vita, come su un trono; l’adolescente li butta giù con pochi riguardi!), il passaggio verso la mezza età, il distacco dalla propria adolescenza e giovinezza, il cominciare a vedere invecchiare e poi morire i propri genitori, ecc. Tutte cose particolarmente faticose e non semplici da tollerare sul piano mentale, tanto che di solito si preferisce «non pensarci»; è solo però se vengono elaborate nel momento in cui emergono che possono a loro volta permettere degli sbocchi evolutivi e l’acquisizione di nuove capacità.
A volte sarebbe molto più semplice metterle da parte fingendo che non esistano e concentrarsi solo sul figlio adolescente, come se l’unico problema fossero le sue difficoltà. Ma queste difficoltà non possono che aumentare, se vengono sovraccaricate anche di ansie che hanno un’altra origine e che con loro hanno poco o pressoché nulla a che fare.
Dice a questo proposito Racamier:
Per molte donne e probabilmente anche per molti uomini – anche se se ne parla meno – l’ingresso dei figli nell’adolescenza è sempre vissuto come una perdita: perdita del legame di dipendenza, perdita della funzione parentale che è sempre idealizzata (diversamente sarebbe impossibile assumerla!), perdita del sentimento di valore personale. «Perdo i miei figli perché diventano grandi e poiché diventano grandi sanno sbrogliarsela da soli; io non servo più a niente, non valgo più niente.»1
Se questa crisi non trova il modo di essere riconosciuta e affrontata, nelle sue difficoltà, in modo che possiamo trovare un nuovo adattamento alla realtà che è cambiata, il malessere che ne consegue sarà più facilmente proiettato fuori e attribuito a qualcosa d’altro. Potranno essere allora le difficoltà del figlio, il rapporto con il partner, quello con il lavoro o con gli amici, oppure la paura di qualche malattia grave o mortale e così via… Ed ecco che le preoccupazioni normali del quotidiano che in altri momenti della nostra vita abbiamo affrontato più serenamente diventano improvvisamente gravi e intollerabili perché sono sovraccaricate da un’ansia che ha un’altra origine e di cui non riusciamo a essere consapevoli. L’unico modo che le può far ridiventare tollerabili è quello di riuscire a individuare di quale altra ansia che non spetta a loro le abbiamo sovraccaricate, in modo da «dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» come dice il vecchio detto. Questo vuol dire restituire alla crisi il potenziale evolutivo di segnale.
Dice sempre Racamier:
In termini generali la crisi stessa può essere considerata come segnale d’allarme e come segnale di una necessità di cambiamento; e questo ne è l’aspetto positivo. L’angoscia può essere inconscia o conscia e se ricordiamo i tempi e lo svolgimento della crisi, l’angoscia resta inconscia nella prima fase, diviene conscia in quella centrale e si attenua in quella finale.2
Perché anche la crisi, come tutte le cose del vivere, ha un suo svolgimento temporale con un inizio, un’evoluzione e una fine, nonostante il vissuto caratteristico del momento in cui la attraversiamo sia spesso quello della paura che non finirà mai.
Come si può quindi riconoscere una crisi di vita nel momento in cui la viviamo?
L’inizio avviene in genere con la rottura di un equilibrio precedente, con la sensazione di non riconoscersi più, di non sapere che cosa è successo, di non ritrovarsi più nella propria pelle e nei propri panni: «Ma io non mi riconosco più, non sono mai stato così!» è una delle prime osservazioni che ci viene allora da fare e che ci carica di angoscia perché possiamo anche accettare con fatica l’incertezza di tutto, ma non quella sulla nostra identità. Almeno chi siamo dobbiamo pur saperlo! Persino nelle malattie ci aggrappiamo spesso all’identità di chi è malato e soffre, come a dire: «In questo momento non so più chi sono perché non sono più quello di prima, ma di una cosa almeno sono certo, che sono un malato, uno che soffre».
Una delle prime manifestazioni quindi della crisi è proprio questo senso di incertezza, di confusione, questa improvvisa nebbia che cala sul paesaggio della nostra vita che prima ci sembrava così chiaro. E nella nebbia è sicuramente molto più faticoso trovare la strada da percorrere, bisogna cercarla per tentativi ed errori, come quando si era piccoli e si provava a stare in piedi e a camminare da soli, inciampando e cadendo più volte. È stato però proprio questo andare incerto quello che ci ha permesso con il tempo di imparare a stare in piedi e a camminare, un’abitudine così naturale che finiamo per dimenticare come invece sia stata una grande e faticosa conquista.
Un’altra caratteristica della crisi è infine la difficoltà che incontriamo a gestirla. Dice ancora Racamier:3
La crisi è sempre un trauma; viene vissuta come una situazione difficile, eccessiva, poco controllabile, quindi con i caratteri corrispondenti al vissuto di trauma… Si può dire che il traumatismo è una specie di ferita che può cicatrizzare o non farlo, mentre una crisi è un’evoluzione interna che può realizzarsi o fallire.
Un’evoluzione interna che si realizza è quella di riuscire ad abbandonare un vecchio equilibrio per trovarne a poco a poco uno nuovo, più adatto alla nuova situazione, in un processo di morte e rinascita che porta alla scoperta di possibilità e forze psicologiche nuove che prima avevamo latenti dentro di noi. Da una crisi che evolve positivamente si esce in genere più ricchi e con un diverso piacere di vivere e di dare un senso alla propria vita. Anche questi miei libri, a cui non avevo assolutamente mai pensato in precedenza, sono nati a poco a poco dopo una mia crisi esistenziale di passaggio, a 45 anni, come ho raccontato in precedenza.
La crisi, quando e se arriva, è perciò una possibilità in più, nonostante la fatica che possa costare: ecco perché in questo lavoro ho scelto di presentare soprattutto situazioni di attraversamento e di superamento di crisi, perché le persone a cui capiti di viverle in questo momento della loro vita (e non tutte le personalità hanno questa capacità) possano coglierne l’aspetto positivo e cercare uno sbocco evolutivo a quello che può sembrare a prima vista solo un angoscioso tunnel senza uscita.
1. P.C. Racamier-S. Taccani, Il lavoro incerto. La psicodinamica del processo di crisi, Ed. del Cerro, Tirrenia 1986.
2. P.C. Racamier-S. Taccani, Ibidem.
3. P.C. Racamier-S. Taccani, Ibidem.

Perché delle nuove favole destinate agli adulti

«Metto un guardiano per un bambino
che deve affrontare la guerra!»
(Enrica, 7 anni)
Un’altra riflessione che mi capita frequentemente di fare ripensando a questo mio lavoro è che sono partita agli inizi dai bambini, da loro sono passata a occuparmi dei genitori, cioè di noi adulti, e ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Avvertenze per il lettore
  4. Il perché di questo libro
  5. IL BAMBINO PERDUTO E RITROVATO
  6. 1. La storia delle storie di queste storie
  7. 2. Per ritrovarsi bisogna prima perdersi
  8. 3. Controllare l’incontrollabile
  9. 4. Qualche modalità che fa male
  10. 5. Dov’è andato il bambino che siamo stati?
  11. 6. Testimonianze di vita
  12. Bibliografia
  13. Copyright