Riunione di famiglia
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Riunione di famiglia

  1. 408 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Riunione di famiglia

Informazioni su questo libro

La villa nel Norfolk piena di spifferi che Emma ha ereditato è perfetta per le festività natalizie e per la prima volta dopo anni è pronta ad accogliere la famiglia Birch al completo. Ci sarà miracolosamente anche Olivia, la figlia maggiore, che di solito è in giro per campi profughi come operatrice umanitaria. In realtà, il ritorno di Olivia non è voluto: in Liberia, durante la sua ultima missione, è scoppiata una terribile epidemia che la costringe a rientrare e a trascorrere una settimana in completo isolamento per assicurarsi di non aver contratto il virus. E quali compagni migliori per questo ritiro forzato che i propri familiari?

Chiusi in casa per sette giorni, separati dal resto del mondo senza nemmeno una connessione wi-fi decente, i Birch devono condividere un'inusuale intimità. Resa via via più problematica dai piccoli e grandi segreti che nessuno vuole rivelare fino al termine della quarantena e dai preparativi di matrimonio della figlia più piccola che, all'opposto di Olivia, non è mai entrata in contatto con il benché minimo problema della vita vera. In un'atmosfera sull'orlo della crisi di nervi, che cosa potrebbe peggiorare le cose se non l'arrivo di un ospite decisamente inatteso?

Un romanzo brillante che mette a nudo i cortocircuiti tra parenti e ci ricorda che non c'è niente di meglio - e di peggio - di una riunione di famiglia (a Natale). Una commedia divertente e sentimentale nella migliore tradizione inglese.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
Print ISBN
9788804687382
eBook ISBN
9788852090288
1

17 DICEMBRE 2016

Andrew

Studio, 34 Gloucester Terrace, Camden, 16.05

DA: Andrew Birch <[email protected]>
A: Croft, Ian <[email protected]>
DATA: 17 dicembre 2016 16:05
OGGETTO: Recensione del 27 dicembre
Ciao Ian,
qui sotto trovi la mia recensione. Se non mi mandate le bozze da rivedere non rispondo di me.
Saluti,
Andrew
PS: NON cassarmi di nuovo tutti gli avverbi in -mente o stavolta mi incazzo.
PPS: si scrive houmous, non hummus.
Perch, Wingham, Berkshire
Cibo 3/5
Ambiente 1/5
Quando leggerete questa recensione io e la mia famiglia saremo agli arresti domiciliari. O, più precisamente, agli arresti sanitari. Il 23 dicembre mia figlia Olivia Birch, dottoressa e operatrice umanitaria seriale, sarà tornata dalla Liberia, dove è impegnata a curare l’epidemia di Haag, e ci avrà costretto a restare sette giorni in quarantena. Per un’intera settimana dovremo evitare qualsiasi contatto con il mondo esterno e potremo uscire di casa solo in caso di emergenza. Se qualcuno commettesse l’errore di venirci a trovare sarebbe obbligato a restare con noi fino alla fine dell’isolamento. Sono già in corso i preparativi per la “settimana Haagorafobica”, come è ormai nota in casa Birch. Amazon e Waitrose ci recapiteranno quella che già si annuncia come la spesa natalizia più abbondante d’Inghilterra. Quanti rotoli di carta igienica consuma una famiglia di quattro persone in una settimana? 2 kg di fiocchi d’avena basteranno? Ne approfitteremo per vedere tutte le puntate di Spiral o ci butteremo su The Missing? La mia signora ha già stilato elenchi di libri, CD, cose da comprare e cose da buttare in previsione del confino. E visto che non ci piace fare le cose a metà, ci trasferiremo da Camden alla nostra casa nel profondo Norfolk per gustarci appieno la clausura. Un pensiero speciale va alla nostra millennial Phoebe, che dovrà sopravvivere a sette giorni di wi-fi ballerino.
È pur vero che ogni Natale è una sorta di quarantena. Le e-mail restano in attesa, i negozi vanno in letargo e gli amici migrano nelle tristi città da cui provengono. I coniugi annoiati rabbrividiscono a ogni minimo colpo di tosse della propria metà (guarda caso gennaio è il mese in cui gli avvocati divorzisti sono più impegnati). In questo magico periodo dell’anno, il cibo è il nostro unico soccorso. È il cibo a fungere da collante tra la zia dura d’orecchi e l’adolescente taciturno. È il cibo a rinsaldare le crepe tra i fratelli con la sua nostalgia al profumo di cannella. Ed è ancora il cibo ad alleviare i sensi di colpa delle madri, sempre pronte a risuscitare i Natali passati con la santa trinità di tacchino, salsa gravy e mirtilli. Ecco perché i ristoranti non dovrebbero mai azzardare un menu natalizio. Sono giorni in cui si esce proprio per sfuggire agli effluvi soffocanti degli arrosti e delle attenzioni materne. Orrori come la salsa di pane non dovrebbero avere spazio in un menu che si rispetti.
Il Perch di Wingham questo non l’ha capito e ha deciso di festeggiare l’apertura con un “menu alternativo per le feste” di cui, ribadisco, nessuno sentiva il bisogno. Come in tutti i gastropub di provincia, l’arredamento si ispira alla tonalità “houmous” della palette di colori di Farrow & Ball. Il personale è tanto sorridente quanto disorganizzato. Il pane al “burro natalizio speziato” è buono, fragrante al punto giusto, anche se avremmo fatto volentieri a meno di quel burro dall’inquietante sfumatura marroncina servito su una lugubre piastra di Petri. La cena inizia con un discreto salmone riccamente affumicato alla torba, il cui tocco alternativo è un misero ramoscello di rosmarino. La mia signora commette l’errore di ordinare le ostriche ritrovandosi davanti a sei tristi molluschi che galleggiano in un viscido umore salmastro. Il mio curry di tacchino è un curioso intingolo di brodaglia gialla zeppa di cumino, il cui unico scopo sembra essere quello di rifilare di soppiatto al cliente quattro miseri straccetti di carne stopposa. Terminiamo con un tagliere di formaggi senza infamia e senza lode e una crème brûlée in salsa natalizia che la mia signora definisce “stucchevole”, pur divorandola senza tanti complimenti.
Cari abitanti di Wingham, non voglio scoraggiarvi. Ho la sensazione che voi e i vostri conterranei in panciotto non vi lascerete sfuggire l’occasione di provare quest’alternativa al menu per le feste. Noi Birch non abbiamo scelta: ci tocca una settimana di panini al tacchino. Augurateci buona fortuna.
Andrew si appoggiò allo schienale della sedia ed esitò prima di inviare l’articolo a Ian Croft, il redattore del “World” con cui andava meno d’accordo. In fondo, considerata la posizione, il Perch non era poi così male. Tutto sommato era anche accogliente, con quel suo stile un po’ provinciale. Andrew avrebbe persino potuto godersi la notte trascorsa nella camera kitsch al piano di sopra, con lo stirapantaloni e il bollitore da viaggio, se lui ed Emma fossero riusciti a godersi ancora le stanze d’hotel in quel modo. Pensando ai proprietari, una coppia entusiasta e sudata che era venuta a stringergli la mano e a parlargli di “valori” e “stagionalità”, era quasi stato tentato di modificare il commento sulle ostriche. Poi l’aveva lasciato. Tanto nel Berkshire chi legge il “World”? E poi, come si dice, basta che se ne parli.
A farlo esitare era la parte sulla sua vita. Gli sembrava di aver ritratto l’immagine di una famiglia abbastanza affiatata. Ma, a dire il vero, non aspettava con particolare impazienza la settimana a Weyfield, la villa nel Norfolk piena di spifferi che Emma aveva ereditato. Non sapeva mai cosa dire a Olivia, la sua figlia maggiore. Lei lo guardava sempre in un modo che lo turbava, con un’aria terribilmente seria e vagamente critica, come se gli leggesse dritto nell’anima e non la trovasse all’altezza. E con Olivia finalmente a casa, Emma sarebbe stata un vortice di frenetica euforia per tutta la settimana. Almeno ci sarebbe stata Phoebe, un frivolo contrappunto alle altre due.
A volte gli sembrava di avere più cose in comune con la figlia minore che con sua moglie, soprattutto ora che Phoebe lavorava nel mondo dei media. Si divertiva a sentirla parlare dell’assurda casa di produzione con cui collaborava e dove tutti gli uomini erano innamorati di lei. Stava per chiamarla al piano di sotto per chiederle di aiutarlo a recensire un nuovo ristorante di sushi quando un’e-mail non letta attirò la sua attenzione. Non riconobbe il mittente, il che in genere indicava il messaggio di spam di un PR, ma l’oggetto, un semplice “Ciao”, lo intrigò. La lesse.
DA: Jesse Robinson <[email protected]>
A: Andrew Birch <[email protected]>
DATA: 17 dicembre 2016 16:08
OGGETTO: Ciao
Caro Andrew,
mi rendo conto che questo messaggio rischia di coglierti alla sprovvista, ma volevo mettermi in contatto con te perché credo che tu sia mio padre. La mia madre biologica era libanese e si chiamava Leila Deeba. Credo che vi siate conosciuti nel 1980, quando lavoravi come reporter a Beirut. Mi ha dato in adozione subito dopo il parto e sono cresciuto in Iowa con i miei genitori adottivi. Adesso vivo a Los Angeles e mi occupo di documentari, soprattutto nel campo della salute e del benessere. Trascorrerò le vacanze in Inghilterra per delle ricerche su un nuovo progetto e mi piacerebbe incontrarti, se ti va.
A presto,
Jesse
PS: Adoro la tua rubrica!
«Ti senti bene?» gli chiese Emma affacciandosi nello studio. «Sembra che tu abbia visto un fantasma.»
«Davvero?» rispose Andrew. «Sto bene. Benissimo.» Dalla sua posizione Emma non poteva vedere lo schermo del portatile, ma lui si affrettò comunque a chiuderlo. «Ho appena spedito l’articolo. E tu come stai?» Andrew si era sempre stupito di quanto fosse bravo ad apparire calmo, persino affabile, anche quando in realtà era sconvolto.
«Sto benone!» rispose Emma. «Non vedo l’ora di leggerlo. Faccio un salto da John Lewis, devo comprare le ultime cosette. Insomma, non proprio le ultime, ma vorrei prendere ancora qualcosa per, ehm, la calza di Olivia. E poi… Poi ho bisogno di altra carta regalo» tagliò corto, guardando l’orologio sopra di lui. Andrew si accorse che sua moglie stava parlando troppo in fretta, ma era ancora frastornato e non ci badò. Emma gli disse verso che ora sarebbe tornata e se ne andò.
Lui lesse e rilesse l’e-mail. La voce che non sapeva se temere o aspettare alla fine era arrivata. Ripensò a Beirut e a quella calda notte del 1980 che aveva fatto di tutto per dimenticare. E poi pensò alla strana lettera che Leila Deeba gli aveva scritto un anno e mezzo prima e che la redazione del “World” gli aveva inoltrato. Ce l’aveva ancora, nascosta alla vista di sua moglie. “La mia madre biologica era…” Quindi la donna prorompente che si era scopato tra le lenzuola di quell’hotel era morta. Si alzò e guardò fuori dalla finestra rigata di gocce di pioggia. Le note di Frosty the Snowman salivano dalla cucina del seminterrato. Com’era arrivato all’età in cui una donna con cui era andato a letto poteva morire senza che la cosa lo stupisse più di tanto? Cercò subito di riscuotersi da quella lugubre spirale di pensieri. Doveva rispondere a quel ragazzo? Se sì, che cosa? E, soprattutto, come lo avrebbe detto a Emma?

Emma

Studio del dottor Singer, 3° piano, 68 Harley Street, 16.59

La sala d’aspetto del dottor Singer, in cima a Harley Street, sembrava pensata apposta per attutire il colpo delle brutte notizie. Tutto al suo interno era beige, morbido e imbottito. C’era sempre un vassoio di biscotti intonso con a fianco del tè e del caffè e un mucchio di rassicuranti riviste di gossip. Sfogliando un servizio sul matrimonio di un’attrice TV, Emma si chiese se non fossero proprio i medici privati, con le loro spaventose diagnosi, a tenere a galla un giornale come “OK!”. “Non sperare, Emma” continuava a ripetersi. Fin da bambina aveva fatto un patto con il destino: se voleva ottenere qualcosa, doveva aspettarsi il contrario. Ma aspettarselo davvero, con convinzione. Solo così avrebbe ottenuto quello che voleva. Era come pagare un’assicurazione: bastava prepararsi al peggio perché tutto andasse per il meglio. Ovviamente, quando qualcosa preoccupava le sue figlie, consigliava loro di “essere ottimiste” e di “non fasciarsi la testa prima di rompersela”. Era il suo dovere di madre. Anche se negli ultimi tempi solo Phoebe si confidava con lei. Erano anni che Olivia non le raccontava i suoi problemi. Forse la settimana di quarantena sarebbe stata un’occasione per scalfire la sua corazza.
«Signora Birch?» disse la segretaria con le sue labbra da cartone animato (faceva una capatina dal chirurgo estetico al pianterreno durante le pause pranzo?). «Il dottor Singer la aspetta.»
Emma entrò nell’ambulatorio, una sinistra accozzaglia di austeri mobili di mogano e apparecchiature mediche. Dietro la tenda c’era il lettino ricoperto di carta blu dove per la prima volta aveva mostrato al dottor Singer il nodulo grande come una nocciola sotto l’ascella destra.
«Purtroppo ho brutte notizie» esordì il medico senza quasi lasciarle il tempo di sedersi. «La biopsia ha confermato che il linfonodo sospetto è un linfoma non Hodgkin.»
Emma si chiese se nei suoi anni di esercizio il medico avesse scoperto che era proprio quello il modo migliore per dire alla gente che stava morendo: dritto al punto e senza convenevoli, prima ancora che il paziente avesse il tempo di togliersi il cappotto. Lui continuò a parlare, spiegandole che sarebbero stati necessari ulteriori esami per determinare se il tumore fosse “indolente” o “aggressivo”. Che strana idea descrivere un cancro come un adolescente, pensò Emma, mentre lui passava in rassegna le “opzioni terapeutiche” fissandola con i suoi occhietti. Lei si limitò ad annuire, come se stesse parlando con qualcun altro. Perché non si era sforzata di più a non sperare? Forse nel suo intimo era davvero convinta che sarebbe andato tutto per il meglio, e invece il peggio era arrivato.
«Come le dicevo, dobbiamo procedere con altre analisi e aspettare i risultati prima di prendere qualsiasi decisione, quindi ormai lasciamo passare le vacanze di Natale» disse il dottor Singer. «Comunque sia, a gennaio dovrà cominciare le cure. Va bene?»
«Non credevo che il cancro andasse in vacanza» commentò Emma. Voleva essere spiritosa, in realtà era apparsa semplicemente ansiosa.
Il dottor Singer, senz’altro abituato alle reazioni impulsive dei pazienti, si limitò a sorridere. «Ha qualche domanda?» chiese.
Emma esitò. «Una sola» disse. «Mia figlia è in Liberia per curare la Haag e passerà il Natale in quarantena da noi. Potrebbe essere pericoloso, insomma, nelle mie condizioni?»
«La Haag?» ripeté il dottor Singer. Per la prima volta lo vide turbato. «Be’, sì, alla luce della biopsia personalmente le consiglierei di evitare qualsiasi rischio per il suo sistema immunitario… E con quel virus non si scherza.» Chiuse la cartella, come a indicare che la visita era finita. «Le auguro buon Natale, cerchi di non preoccuparsi.»
Emma spalancò il portone del 68 di Harley Street con tutti i campanelli dei vari specialisti. Era un sollievo passare dal caldo e costoso silenzio dell’atrio all’aria pungente della strada in dicembre. Dall’altra parte di Cavendish Square vide la rassicurante insegna verde scuro dei grandi magazzini John Lewis. La sua più vecchia amica, Nicole, le aveva dato appuntamento lì perché, come amava ripetere: “John Lewis ha sempre una soluzione per tutto”. Dal canto suo Emma avrebbe preferito andare a La Fromagerie a Marylebone ma doveva ammettere che, ora che la brutta notizia era arrivata, forse il buon vecchio John Lewis era q...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. RIUNIONE DI FAMIGLIA
  4. Prologo. 17 NOVEMBRE 2016
  5. 1. 17 DICEMBRE 2016
  6. 2. 23 DICEMBRE 2016. Quarantena: giorno 1
  7. 3. VIGILIA DI NATALE 2016. Quarantena: giorno 2
  8. 4. NATALE 2016. Quarantena: giorno 3
  9. 5. SANTO STEFANO 2016. Quarantena: giorno 4
  10. 6. 27 DICEMBRE 2016. Quarantena: giorno 5
  11. 7. 28 DICEMBRE 2016. Quarantena: giorno 6
  12. 8. 29 DICEMBRE 2016. Quarantena: giorno 7
  13. 9. 30 DICEMBRE 2016
  14. 10. ULTIMO DELL’ANNO 2016
  15. Epilogo. Seamus Andrew Coughlan Birch nato il 17 agosto 2017, 01.03
  16. Ringraziamenti
  17. Copyright