Frankenstein
eBook - ePub

Frankenstein

illustrato da Bernie Wrightson

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Frankenstein

illustrato da Bernie Wrightson

Informazioni su questo libro

"Bernie Wrightson è un artista di grande talento e grande cuore. Queste illustrazioni rendono somma giustizia alla storia del moderno Prometeo di Mary Shelley: molti lettori troveranno gli elementi horror e gialli più estremi che i film li hanno indotti ad aspettarsi, e quei lettori finiranno il romanzo, non lo lasceranno a metà come feci io con la copia usata e non illustrata che avevo comprato a tredici anni per un quarto di dollaro." Dall'Introduzione di Stephen King Il capolavoro del gotico romantico, capostipite del romanzo horror, con i disegni di un maestro del fumetto americano.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
Print ISBN
9788804705901
eBook ISBN
9788852090424

CAPITOLO 1

Sono nato cittadino di Ginevra, da una delle famiglie più illustri di quella repubblica. Tra i miei avi si annoverano molti consiglieri e magistrati, e mio padre ha ricoperto diverse cariche pubbliche con merito e onore. Era conosciuto e apprezzato da tutti per la sua integrità e per l’instancabile attenzione che rivolgeva alla cosa pubblica. Trascorse la giovinezza immerso negli affari del suo paese; una serie di circostanze gli impedì di sposarsi giovane, e non divenne marito e padre se non in età avanzata.
Poiché gli eventi legati al suo matrimonio sono un esempio chiaro della sua indole, non posso fare a meno di raccontarli. Tra i suoi più cari amici c’era un mercante che, a causa di alcune traversie, passò dalla prosperità alla miseria. Quest’uomo, che si chiamava Beaufort, era di carattere orgoglioso e inflessibile e non poté sopportare di vivere povero e dimenticato nello stesso paese in cui si era distinto per ceto e magnificenza. Dopo aver saldato con grande dignità i suoi debiti, si ritirò con la figlia nella città di Lucerna, dove visse nell’anonimato e nell’indigenza. Mio padre era affezionato a Beaufort e provava per lui una sincera amicizia, e il suo ritirarsi in circostanze tanto avverse lo amareggiò moltissimo. Biasimò duramente l’inutile orgoglio che aveva indotto l’amico a una condotta così poco degna dell’affetto che li univa. Non perse tempo e si mise sulle sue tracce, nella speranza di persuaderlo a cominciare una nuova vita, sfruttando la sua influenza e il suo aiuto.
Beaufort aveva preso efficaci precauzioni nel nascondersi e mio padre non scoprì il suo rifugio che dieci mesi più tardi. Euforico, si affrettò verso la casa, situata in una strada squallida dalle parti del Reuss. Ma al suo ingresso fu accolto solo da tristezza e disperazione. Dal naufragio dei suoi affari, Beaufort aveva salvato una somma modesta ma sufficiente per vivere alcuni mesi. Nel frattempo, sperava di ottenere un impiego rispettabile presso qualche mercante. Di conseguenza, passò quel periodo nell’inattività; ora che aveva il tempo di riflettere, il suo dolore si fece ancor più profondo e bruciante. Alla fine si impadronì talmente dei suoi pensieri che dopo tre mesi giaceva a letto malato, incapace di reagire.
Sua figlia lo curava con grande tenerezza, ma vedeva con angoscia i loro risparmi diminuire vertiginosamente mentre il futuro non offriva altre fonti di sostentamento. Ma Caroline Beaufort era dotata di uno spirito straordinariamente forte; nell’avversità il suo coraggio emerse e le venne in aiuto. Si procurò un umile lavoro: intrecciava paglia, ed escogitando mille espedienti si guadagnava la manciata di spiccioli che le permetteva di sopravvivere, a stento.
Passarono così vari mesi. Il padre peggiorava; lei era sempre più impegnata a curarlo mentre i suoi mezzi di sussistenza diminuivano. Dopo dieci mesi lui le morì tra le braccia, lasciandola orfana e poverissima. Quest’ultimo colpo la prostrò; quando mio padre entrò nella stanza lei era inginocchiata accanto alla bara di Beaufort e piangeva sconsolata. Arrivò lui come uno spirito benigno e la povera giovane si mise sotto la sua protezione; dopo la sepoltura dell’amico, la condusse a Ginevra dove la affidò alle cure di alcuni parenti. A due anni di distanza, Caroline divenne sua moglie.
Tra i miei genitori c’era una notevole differenza di età, ma questo sembrò unirli ancor di più in un vincolo d’affetto profondo. Mio padre possedeva un forte senso della giustizia, che gli imponeva la condizione di stimare profondamente per poter amare con trasporto. Forse in anni precedenti aveva sofferto per la fiducia riposta in un amore che poi si era rivelato indegno, ed era quindi incline a dare grandissima importanza alle qualità comprovate. Manifestava, nei confronti di mia madre, un attaccamento pieno di gratitudine e di devozione, che non somigliava affatto a un cieco affetto senile, poiché nasceva dall’ammirazione che le virtù di lei gli ispiravano e dal desiderio di potere in qualche modo ricompensarla per il dolore che ella aveva sofferto. Tale attaccamento dava un tocco di inesprimibile delicatezza al suo comportamento verso di lei. Faceva di tutto per soddisfare i suoi desideri e compiacerla. Si adoperava per proteggerla, come un giardiniere protegge una bella pianta esotica dai venti più forti, e la circondava di tutto quanto potesse risvegliare emozioni piacevoli nella sua mente tenera e buona. La salute di Caroline, e persino la sua tranquillità d’animo, fino ad allora forti, erano rimaste scosse da quanto le era accaduto. Nei due anni che avevano preceduto il matrimonio, mio padre aveva gradualmente abbandonato le sue cariche pubbliche, e subito dopo la loro unione gli sposi cercarono nel clima piacevole dell’Italia, e nel cambiamento e nella curiosità che un viaggio in quella terra meravigliosa implicava, un tonico per il fisico provato di lei.
Dall’Italia si spostarono in Germania e in Francia. Io, il loro primo figlio, nacqui a Napoli e da fanciullo li accompagnai nei loro vagabondaggi. Rimasi figlio unico per diversi anni. Pur essendo molto legati l’uno all’altra, i miei genitori sembravano trarre le riserve d’affetto che riversavano su di me da un’inesauribile miniera d’amore. I miei primi ricordi sono le tenere carezze di mia madre e il sorriso pieno di benevola soddisfazione con cui mio padre mi guardava. Ero il loro giocattolo e il loro idolo, e ancora di più: il loro bambino, la creatura innocente e indifesa di cui il Cielo aveva voluto far loro dono, da crescere nel bene; avevano nelle mani tutto il mio futuro e il potere di orientarlo verso la felicità o la disgrazia, secondo se avessero adempiuto o meno ai loro doveri nei miei confronti. Sommando questa piena coscienza delle loro responsabilità verso la creatura che avevano messo in vita, e la tenerezza attiva che animava entrambi, si può capire facilmente come, da bambino, mentre ricevevo in ogni occasione una lezione di pazienza, di carità e di autocontrollo, io ero guidato da mani tanto gentili, che tutto mi appariva una continua fonte di gioia.
Fui il centro delle loro attenzioni per un lungo periodo. Mia madre desiderava tanto una bambina, ma io rimasi a lungo figlio unico. Quando avevo circa cinque anni, durante una gita oltre i confini italiani, i miei genitori trascorsero una settimana sulle rive del lago di Como. La loro indole benevola li spingeva spesso a entrare nelle casupole della povera gente. Questo per mia madre era più che un dovere: era una necessità, una passione. Sentiva di doversi comportare a sua volta da angelo custode degli afflitti, nel ricordo di ciò che aveva sofferto lei e di come ne era stata salvata. Durante una delle loro passeggiate, una misera capanna sperduta in fondo a una valle attrasse la loro attenzione. La quantità di bambini vestiti poveramente che vi trovarono parlava della peggior miseria. Un giorno in cui mio padre si era recato a Milano da solo, mia madre andò in quella casa insieme con me. Trovò un contadino e sua moglie, grandi lavoratori, piegati dalla fatica e dalle preoccupazioni, che distribuivano un misero pasto a cinque bambini affamati. Tra questi, una in particolare attrasse l’attenzione di mia madre. Sembrava appartenere a una razza diversa. Gli altri quattro erano piccoli zingari robusti dagli occhi scuri; questa bambina, invece, era esile e molto bella. I capelli erano di un vivido color oro e, malgrado la miseria, sembrava portare sulla testa una corona di nobiltà. La fronte era liscia e spaziosa, i suoi occhi azzurri erano limpidi, e le labbra e i tratti del viso esprimevano tanta sensibilità e dolcezza, che nessuno avrebbe potuto guardarla senza vedere che apparteneva a una specie distinta, che era una creatura inviata dal Cielo e che su tutti i suoi lineamenti c’era un’impronta divina.
La contadina, accorgendosi che mia madre aveva posato uno sguardo pieno di meraviglia e ammirazione sull’adorabile bambina, si affrettò a raccontarci la sua storia. Non era figlia sua, ma di un nobile milanese. La madre era tedesca ed era morta nel darla alla luce. La bambina era stata affidata ai contadini perché l’accudissero: all’epoca erano in condizioni migliori. Erano sposati da poco e il figlio maggiore era appena nato. Il padre della bambina era un italiano allevato nel ricordo degli antichi fasti, uno degli schiavi ognor frementi,1 che lottavano per la libertà del loro paese. E della debolezza di questo paese diventò vittima. Non si sapeva se fosse morto o languisse ancora nelle prigioni d’Austria. Le sue proprietà vennero confiscate, la bambina divenne orfana e povera. Rimase con i genitori adottivi e fiorì nella loro rozza casa, più bella di una rosa di giardino tra i roveti dalle foglie scure.
Quando mio padre tornò da Milano, trovò una bimba, più bella di un cherubino dipinto, che giocava con me nel salotto della nostra villa; una creatura la cui bellezza sembrava emanare radiosità, che nelle forme e nei movimenti era più lieve di un cerbiatto. Quest’apparizione fu subito spiegata. Con il permesso di mio padre, mia madre riuscì a convincere i rustici custodi della bambina ad affidarla alle sue cure. I due erano affezionati alla dolce orfana. La sua presenza era stata per loro come una benedizione, ma sarebbe stato ingiusto nei suoi confronti mantenerla nella miseria e negli stenti, quando la Provvidenza le offriva una protezione tanto solida. Consultarono il parroco del paese e il risultato fu che Elizabeth Lavenza venne a far parte della mia casa paterna; fu molto più che mia sorella, fu la bella e adorabile compagna di ogni mia occupazione e ogni mio svago.
Tutti amavano Elizabeth. L’attaccamento appassionato e quasi reverenziale che tutti le manifestavano diventò motivo d’orgoglio e di gioia per me, che lo condividevo. La sera precedente al suo arrivo nella mia casa, mia madre aveva detto scherzosamente: «Ho un bel regalo per il mio Victor; lo riceverà domani». E quando, il giorno dopo, mi presentò Elizabeth come il regalo promesso, io, con serietà infantile, interpretai alla lettera le sue parole, ed Elizabeth diventò mia: mia da proteggere, da amare e da fare felice. Accoglievo ogni lode nei suoi confronti come se venisse fatta a qualcosa di mio. Ci rivolgevamo l’uno all’altra chiamandoci familiarmente cugini. Non esiste parola o espressione che possa definire il tipo di relazione che avevo con lei: lei, più che una sorella per me, fino alla morte doveva essere solo mia.

CAPITOLO 2

Crescemmo insieme; tra noi c’era meno di un anno di differenza. È inutile dire che non sapevamo che cos’era un disaccordo o un litigio. L’armonia era l’anima della nostra amicizia, e le diversità e i contrasti che esistevano tra i nostri caratteri non potevano che avvicinarci di più. Elizabeth era per temperamento più calma e riflessiva di me; ma, con tutto il mio ardore, io ero capace di maggiore impegno, ed ero stato toccato più profondamente dalla sete di sapere. Lei si affaccendava a seguire le impalpabili creazioni dei poeti, nello scenario poderoso e magnifico che circondava la nostra casa svizzera: nei profili sublimi delle montagne, nei cambi di stagione, nella quiete e nella tempesta, nel silenzio dell’inverno e nella vitale turbolenza delle nostre estati alpine trovava fonti inesauribili di piacere e ammirazione. E mentre la mia compagna contemplava con spirito assorto e appagato le magnifiche forme delle cose, io mi divertivo a investigarne le cause. Il mondo si presentava ai miei occhi bramosi come un segreto da svelare. Le prime sensazioni di cui ho memoria sono la curiosità, il tenace tentativo di scoprire le nascoste leggi della natura, la felicità simile a un’estasi quando mi si rivelavano.
Alla nascita del secondo figlio, minore di me di sette anni, i miei genitori abbandonarono definitivamente la loro vita di viaggiatori e si stabilirono nella terra natia. Possedevamo una casa a Ginevra e una casa di campagna a Belrive, sulla riva orientale del lago, distante circa cinque chilometri dalla città. Risiedevamo principalmente in quest’ultima casa, e la vita dei miei genitori trascorse in un quasi totale isolamento. Era nel mio carattere evitare la folla per legarmi appassionatamente a pochi. I miei compagni di scuola mi erano generalmente indifferenti, ma nacque un’amicizia profondissima con uno di loro. Henry Clerval era il figlio di un commerciante di Ginevra. Era un ragazzo dotato di singolare talento e fantasia. Amava l’avventura, le difficoltà e persino il pericolo fine a se stesso. Aveva letto un’infinità di libri di cavalleria e romanzi fantastici. Componeva canti eroici, e cominciò a scrivere molte storie di magia e avventure cavalleresche. Cercava di farci recitare in drammi e di coinvolgerci in mascherate, i cui personaggi si ispiravano agli eroi di Roncisvalle, alla Tavola Rotonda di Re Artù e alle schiere di cavalieri che versarono il loro sangue per strappare il Santo Sepolcro dalle mani degli infedeli.
Nessun essere umano avrebbe potuto avere un’infanzia più felice della mia. Lo spirito dei miei genitori era pervaso di gentilezza e indulgenza. Non erano per noi dei tiranni pronti a comandarci secondo il loro capriccio, ma gli autori e gli artefici delle tante gioie di cui godevamo. Quando frequentavo altre famiglie, mi rendevo conto di quanto particolarmente fortunati noi fossimo, e la gratitudine stimolava in me l’accrescersi dell’amore filiale.
La mia indole era a volte violenta, le mie passioni forti; tuttavia, per una peculiarità del mio carattere, né l’una né le altre si sfogavano nelle scorribande infantili, ma in un ardente desiderio di conoscenza, che però non coinvolgeva tutto il sapere indiscriminatamente. Confesso che le strutture dei linguaggi, le forme di governo, le politiche dei vari stati non risvegliavano in me alcun interesse. Ciò che invece mi interessava scoprire erano i segreti del cielo e della terra; e che si trattasse della superficie esteriore delle cose o dello spirito insito nella natura e nel misterioso animo umano, le mie indagini si rivolgevano comunque alla metafisica, o, nella loro accezione più nobile, ai segreti fisici del mondo.
Nel frattempo, Clerval si occupava, per così dire, delle relazioni morali tra le cose. Il vivace teatro della vita, le virtù degli eroi e le azioni umane erano i suoi temi preferiti; e la sua ambizione e il suo sogno erano veder passare alla storia il proprio nome accanto a quelli degli avventurosi e audaci benefattori dell’umanità. Nella nostra pacifica casa, l’anima da santa di Elizabeth brillava come una luce votiva. Tutto il suo affetto era rivolto a noi; il suo sorriso, la voce gentile, lo sguardo dolce dei suoi occhi angelici, erano sempre lì, pronti a benedirci e a confortarci. Lei era l’espressione vivente dell’amore, che ci addolciva e ci affascinava. Io avrei rischiato di diventare indolente negli studi, e aggressivo a causa della mia natura focosa, ma lei era lì per indurmi a imitarla nella sua gentilezza. E Clerval, poteva forse un male qualsiasi mettere radici nello spirito nobile di Clerval? Eppure, non sarebbe stato così perfetto nella sua umanità, così attento nella sua generosità, così pieno di tenerezza e dolcezza pur nella sua passione per le imprese avventurose, se lei non gli avesse mostrato la vera bellezza insita nella bontà e non avesse fatto sì che agire per il bene divenisse lo scopo e l’obiettivo delle sue alte ambizioni.
Ciò che invece mi interessava scoprire erano i segreti del cielo e della terra…
Ciò che invece mi interessava scoprire erano i segreti del cielo e della terra
Provo un piacere intenso nell’indugiare nei ricordi d’infanzia, che precedono la disgrazia che si è impressa nella mia mente trasformando i brillanti propositi volti al bene in cupe e chiuse riflessioni su me stesso. Inoltre, nel tratteggiare il quadro dei miei giorni passati, riesamino gli eventi che condussero, a passi impercettibili, verso il dramma che seguì, poiché, quando cerco una giustificazione alla nascita della passione che in seguito dominò il mio destino, la vedo sgorgare, come un fiume di montagna, da fonti umili e quasi dimenticate; ma gonfiandosi nel suo progredire, eccola trasformarsi nel torrente che ha travolto nel suo scorrere ogni mia gioia e speranza.
La filosofia naturale è il genio che ha governato il mio destino: desidero, dunque, in questo mio racconto, esporre i fatti che mi indussero a prediligere questa scienza. Quando avevo tredici anni, facemmo tutti insieme una gita di piacere ai bagni nei pressi di Thonon; il tempo inclemente ci costrinse a restare confinati un giorno intero nella locanda. Lì trovai per caso un volume delle opere di Cornelio Agrippa.1 Lo aprii, svogliatamente; la teoria che egli cercava di dimostrare, i fatti meravigliosi che riportava tramutarono subito l’apatia in entusiasmo. Una nuova luce si fece strada nella mia mente e, saltellando di gioia, comunicai la scoperta a mio padre. Lui diede un’occhiata distratta al titolo del libro e disse: «Ah! Cornelio Agrippa! Mio caro Victor, non sprecare tempo: è solo robaccia».
Se, al posto di questa osservazione, mio padre si fosse preso la pena di spiegarmi che i princìpi di Agrippa erano stati completamente demoliti e che era nato un nuovo sistema scientifico con potenzialità molto più forti del vecchio, poiché questo accampava poteri chimerici, mentre l’altro si basava sulla pratica e sulla realtà, una simile argome...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INTRODUZIONE di STEPHEN KING
  4. CAPITOLO 1
  5. CAPITOLO 2
  6. CAPITOLO 3
  7. CAPITOLO 4
  8. CAPITOLO 5
  9. CAPITOLO 6
  10. CAPITOLO 7
  11. CAPITOLO 8
  12. CAPITOLO 9
  13. CAPITOLO 10
  14. CAPITOLO 11
  15. CAPITOLO 12
  16. CAPITOLO 13
  17. CAPITOLO 14
  18. CAPITOLO 15
  19. CAPITOLO 16
  20. CAPITOLO 17
  21. CAPITOLO 18
  22. CAPITOLO 19
  23. CAPITOLO 20
  24. CAPITOLO 21
  25. CAPITOLO 22
  26. CAPITOLO 23
  27. CAPITOLO 24
  28. Note
  29. Copyright