Minecraft. Lo scontro
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Minecraft. Lo scontro

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Minecraft. Lo scontro

Informazioni su questo libro

Bianca non è mai stata brava a seguire i piani: è più il tipo di persona che agisce prima di pensare, e che poi si guarda bene dall'analizzare le conseguenze. Ma quando una sera lei e Lonnie, il suo migliore amico, rimangono vittime di un terribile incidente d'auto, affrontare la realtà diventa quasi insopportabile.

Costretta in un letto d'ospedale e piena di domande senza risposta, senza sapere cosa ne sia stato di Lonnie, Bianca si rifugia nella realtà virtuale di Minecraft, dove sente di riprendere finalmente il controllo della sua vita. E quando incontra un avatar muto e incapace di interagire con gli altri, si convince che sia Lonnie, bloccato nel gioco, e intraprende un'ambiziosa missione per salvarlo.

L'avventura è però molto più pericolosa di quello che pensava, perché il mondo di Minecraft brulica di mostri e terribili mob che sembrano generati dalle sue stesse paure e insicurezze. E per riuscire a raggiungere l'End e arrivare alla fine del gioco, Bianca dovrà affrontarle tutte…

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
Print ISBN
9788804688099
eBook ISBN
9788852089176

CAPITOLO 1

Vorrei tanto sapere chi ha inventato la frase “Tutto accade per un motivo” e scambiarci due parole. Perché l’ultima cosa che uno vuole sentirsi dire quando il proprio mondo sta cadendo a pezzi è che in realtà è una cosa positiva. Tipo che se pure avessi una macchina del tempo con cui tornare indietro e rimediare ai tuoi errori, non dovresti usarla. Sì, come no. Ma chi ci crede?
Certo, non rimane molto da dire quando tutto è andato completamente a rotoli. Meglio andare avanti, cercare di rimediare ai propri errori e sperare che tutto si risolva. Credo che a questo punto dovrei dire qualcosa di un po’ più saggio, ma no. Questo ho. Oh, questo e la storia della macchina del tempo. È pur sempre un’opzione.
Comunque, l’errore per cui mi piacerebbe tornare indietro e rimediare è accaduto giorni fa. Quanti con esattezza, non saprei dirvelo. Il tempo, adesso, mi sembra… un casino. Un venerdì di qualche tempo fa, io e il mio migliore amico eravamo diretti verso il primo evento collettivo dell’anno scolastico, conosciuto anche come “la partita dell’homecoming”.
Avevo convinto Lonnie a venire con me, anche se nessuno dei due era appassionato di sport. In realtà, eravamo dei gamer. Gli sport, al di fuori dei videogiochi, non erano in cima alla lista delle nostre priorità. Ma mi immaginavo l’homecoming come uno di quei tipici eventi del liceo di cui si parla un sacco nei film, quindi perché non farsi un giro? Da matricola di primo pelo, ero segretamente eccitata in vista del liceo. Era come sbloccare un nuovo livello nel videogame della vita: armadietti grandi per un inventario più ampio, boss sempre più temibili come i test di orientamento universitari… insomma, avete capito. Lonnie, d’altra parte, non era così convinto dell’homecoming. Così addolcii il patto, letteralmente. Gli dissi che avrei preparato i miei famosi brownies e portato una copertina, così avremmo potuto rannicchiarci insieme con il cioccolato tra i denti. Voglio credere che furono i brownies e la copertina a intrigarlo, ma non ne sono certa. Diciamocelo, non sono tanti i ragazzi di terza che si farebbero vedere in giro con una del primo anno, ma eravamo amici da quando io avevo sei anni e lui otto. Quindi andavamo oltre i soliti stereotipi di amicizia tra liceali. Comunque, il punto è che è stata tutta colpa mia. Tutto quello che è successo grava su di me.
Lonnie arrivò verso le cinque. Saltellai fuori di casa con i brownies e la copertina, entrai in macchina, lo lasciai partire e cominciammo a parlare di Minecraft. La nostra classica chiacchierata.
«Hai messo tutte le trappole?» chiese.
Arricciai il naso. Non l’avevo fatto. Principalmente perché me n’ero dimenticata.
«In realtà, ho pensato che sarebbe stato meglio costruire sopra la base. Ho deciso di usare il vetro per il pavimento della serra, così sotto puoi vedere tutto.»
«Intendi che non hai finito quello che avevi detto di voler fare. Di nuovo.» Lonnie sembrava più un padre deluso che un amico, spingendomi sulla difensiva.
«Mi ci rimetterò quando avrò finito la nuova serra» dissi. «Non capisco perché devi farne un caso.»
«Bianca.»
«Lonnie.»
«Devi seguire il piano. Questo mondo è fuori controllo. Se vogliamo avere qualcosa che funzioni bene, dobbiamo fare quello che avevamo pianificato. Non è questo il senso del mondo di prova? Perfezionare le cose lì, e poi spostarle nel gioco reale?»
«Pensavo che il senso del mondo di prova fosse fare robe assurde per capire che cosa funziona e cosa no. Fare tutto a casaccio finché si può, far esplodere le cose, fare casino e non dover mai aggiustare niente.»
Lonnie sospirò. Si passò la mano sulla testa rasata quasi a zero, e strinse le palpebre per un secondo come se provasse dolore. Quando riaprì gli occhi, erano di un grigio nuvoloso, come il cielo, non come il penetrante grigio acciaio di quando era di buonumore.
«Pensavo che questo progetto ti interessasse» disse. «Avevi detto di voler creare un mondo intero: nuovi paesaggi, interi villaggi, un esaustivo elenco di regole per la società, e poi incasinare tutto.»
«Sì, ma…»
«Ma prima dobbiamo farlo. E, per farlo, ci serve un piano, Bianca.»
Non volevo che litigassimo. Non sapevo bene che cosa dire per farlo smettere di sbuffare come un drago arrabbiato che stava covando le fiamme da scagliarmi addosso.
«Non segui mai il piano. Prima dici di voler fare qualcosa, e io dico: “Ok, ecco il piano”. Poi tu dici: “Bel piano!”. E poi non fai nemmeno finta di fare quello che ho abbozzato.»
Oh, dunque sarebbe stato un super litigio.
«In compenso io sono qui a farti da autista» aggiunse.
«Hai appena preso la patente. Devi fare pratica» dissi. «E poi, pensa a quanto allargherai i tuoi orizzonti andando finalmente a vedere un vero evento sportivo!»
«Da quando ti piacciono gli sport?» chiese.
Alzai le spalle. «Da quando è la prima volta che vado a un grosso evento scolastico, e poi voglio vedere come ci si sente a stare là fuori con la massa.»
«“Massa” è un’altra parola per “orda”. Fidati, il liceo non è come te lo aspetti.» Svoltò, imboccando Elm Road. «Ridimmi dov’è quello stupido campo da gioco.»
«La terza a destra» dissi compiaciuta.
Si fermò al semaforo e sgasò. Persino i movimenti del suo corpo sembravano scocciati. Mi succhiai il labbro superiore e lo mordicchiai, mentre tiravo una delle mie treccine e me la rigiravo attorno al dito.
«Sai, abbatteranno il parco giochi» dissi all’improvviso.
Il semaforo divenne verde e lui sbandò in avanti.
«E quindi?»
«Vuoi vederlo prima che sparisca?»
«Perché?»
«Uh, perché è stato il luogo delle nostre più grandi avventure?» chiesi. «Perché non lo rivedremo mai più? Perché è stato il nostro posto prima di tutto?»
«Sì, certo.»
«Ti ricordi come ci si arriva?» lo stuzzicai. Girò i suoi occhi di acciaio verso di me, e sorrisi. Conoscevo quello sguardo. Significava che il nostro litigio era finito.
Invece di girare a destra su Grandview, girò a sinistra.
Il parco giochi aveva già un’aria spettrale. I seggiolini dell’altalena erano spariti. Rimaneva solo la struttura ad A, chiazzata di blu dalla vernice sbiadita e scrostata. Il ponte di corda giaceva per metà nel pacciame di gomma nera, un’estremità ancora attaccata alla parete da arrampicata, o almeno a quello che rimaneva dei tempi in cui gli appoggi per mani e piedi erano ancora attaccati.
Mi issai sulla scala, che traballava perché non era più fissata come si deve, e ridiscesi dal tubo-scivolo, sbucando davanti alle scarpe da ginnastica di Lonnie.
«Vuoi fare un giro?» chiesi.
Scosse la testa. «Mi sorprende che questa sia la prima ristrutturazione che fanno da quando eravamo piccoli» disse. «Probabilmente avrebbero dovuto condannarlo molto tempo fa.»
«Ma è il nostro posto!» protestai.
«Lo era» rispose Lonnie, ma non in modo brusco. Questo era il parco giochi dove ci eravamo conosciuti, dove eravamo diventati amici e immaginato i nostri primi mondi insieme. Facevamo finta di essere dei pirati temerari sul ponte di corda, ci lanciavamo dalle altalene come funamboli e difendevamo il nostro fortino da invasioni di zombi immaginari. Infatti, uno dei nostri primi progetti su Minecraft era stato creare una versione migliore del parco giochi. Il terreno era sempre fatto di lava, ovviamente.
Dopo tutto questo tempo, eravamo rimasti sempre insieme, anche mentre il parco giochi cadeva a pezzi.
«Ti ricordi quando ho cercato di saltare dalle sbarre dell’arrampicata e tu hai interrotto la mia caduta?» chiesi, cercando di destare un po’ di nostalgia.
«Sì, mi sono rotto un polso» disse Lonnie, scuotendo la testa. «Già allora non eri una grande pianificatrice, volevi sempre andare oltre i limiti ma senza pensare mai alle conseguenze.»
«Sai, se avessi voluto sorbirmi una lezione potevo andare in classe.» Incrociai le braccia.
Lonnie alzò le spalle e tirò un calcio a un tappo di plastica gialla sbiadita, poi si diresse verso quella che era stata la struttura con le sbarre per arrampicarsi. La maggior parte delle sbarre erano in una pila per terra. Lo seguii, mentre fissava la pila in silenzio. Il sole stava tramontando e gettava un bagliore arancione sul parco giochi. Intorno a noi calò il silenzio.
Aveva ragione: questo posto non era nostro, non più.
«Andiamo» dissi.
«Homecoming arriviamo, yeah!» mi prese in giro.
Allungai la mano e sentii una scarica elettrica quando prese le mie dita tra le sue, dondolandole mentre tornavamo alla macchina. La maggior parte delle persone pensava che fosse strano che noi due uscissimo insieme in quel modo: due anni di differenza al liceo sono un abisso, soprattutto quando si va in due licei diversi. Sarebbe come tentare di avere una conversazione con qualcuno dall’altra parte del Grand Canyon con il semplice utilizzo delle mani messe a coppa attorno alla bocca. Avviò il motore, fece inversione nella stradina e poi sfrecciò via.
Tirai fuori il telefono e avviai l’app di Minecraft.
«Se devi tenermi il muso tutta la sera perché non ho costruito le tue stupide trappole, almeno apprezza questo folle pavimento di vetro che ho messo nella serra.»
Gli agitai lo schermo del telefono davanti agli occhi.
«Guarda.»
«Bianca, smettila. Sto guidando.» Lonnie allontanò il telefono con un braccio.
Svoltò bruscamente a sinistra, le ruote che stridevano. Il bagliore arancione del sole al tramonto ci accecò momentaneamente e sbandammo un po’, e Lonnie girò il volante per raddrizzarci. Poi ci accorgemmo, troppo tardi, che qualcosa ci stava venendo incontro, che eravamo passati col rosso, ma ancora non riuscivamo a capire che oggetto fosse, anche se intuivamo che non fosse piccolo. Tutto sembrava muoversi al rallentatore, un pugno di secondi si dilatò in anni, finché una voce robotica femminile gridò improvvisamente dagli altoparlanti dell’auto.
«Allarme di prossimità! Cambiare direzione!»
In un’istante l’atmosfera nell’auto passò dall’eccitazione alla paura, mentre una macchina veniva verso di noi, troppo veloce per poter fare qualcosa.
Quando l’auto fu vicina abbastanza e oscurò il sole, riuscii a vedere il volto dell’altro guidatore, anche se non chiaramente. Aveva gli occhi scuri e capelli dritti sparati in tutte le direzioni. La sua testa scattò all’indietro quando la sua auto verde si schiantò con la nostra, blu. Ricordo come il metallo si accartocciò nello scontro, ripiegando il blu sul verde sul blu sul verde, e come pezzi di oggetti cominciarono a volare intorno: vetro e metallo. A un certo punto, persino la luce sembrò spezzarsi e andare in frantumi, esplodendo in frattali accecanti che mi laceravano la pelle e gli occhi. E poi ci fu puzza di fumo, e il sapore del sangue, e la sensazione di qualcosa che trafiggeva il mio corpo, come se fossi stata sventrata da qualche parte in mezzo. Mi chiesi se fossi stata tagliata a metà. Mi voltai, cercando di capire che cosa stava succedendo, se potevo scorgere il volto di Lonnie e intuire dai suoi occhi quanto fosse grave la situazione, ma non riuscivo a vederlo. Era come se fosse scomparso: ero rimasta solo io, e l’auto blu e l’auto verde che ora sembravano una cosa sola accartocciata, con il vetro che tintinnava mentre cadeva come pioggia tutt’intorno a me, e la scoperta sconvolgente che l’uomo dell’altra macchina era sopra di me, come se avessimo viaggiato insieme. Era proprio lì, potevo quasi allungarmi e toccarlo. Ci provai, ma le mie mani non si mossero. ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. CAPITOLO 1
  4. CAPITOLO 2
  5. CAPITOLO 3
  6. CAPITOLO 4
  7. CAPITOLO 5
  8. CAPITOLO 6
  9. CAPITOLO 7
  10. CAPITOLO 8
  11. CAPITOLO 9
  12. CAPITOLO 10
  13. CAPITOLO 11
  14. CAPITOLO 12
  15. CAPITOLO 13
  16. CAPITOLO 14
  17. CAPITOLO 15
  18. CAPITOLO 16
  19. CAPITOLO 17
  20. CAPITOLO 18
  21. CAPITOLO 19
  22. CAPITOLO 20
  23. CAPITOLO 21
  24. CAPITOLO 22
  25. CAPITOLO 23
  26. CAPITOLO 24
  27. CAPITOLO 25
  28. CAPITOLO 26
  29. CAPITOLO 27
  30. Copyright