Quando il cielo ci fa segno
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Quando il cielo ci fa segno

Piccoli misteri quotidiani

  1. 152 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Quando il cielo ci fa segno

Piccoli misteri quotidiani

Informazioni su questo libro

Se è vero che la Chiesa è, come dice papa Francesco, un «ospedale da campo» che deve occuparsi anche dei corpi, è altrettanto - se non più - vero che la sua missione primaria è prendersi cura della salvezza delle anime e dei bisogni spirituali dei credenti. Perché, parola di Gesù, «non di solo pane vive l'uomo».

Per aiutarci a ricordare questa dimensione trascendente, l'Aldilà ci invia dei «segni», a volte grandi e vistosi (i miracoli, le apparizioni), a volte piccoli e privati, che spesso trascuriamo di interpretare, preferendo parlare di «coincidenze», di «casualità», magari di «eventi bizzarri». Dunque, non è che il Cielo non ci parli: siamo noi a essere sordi. E non è che Dio non si mostri: siamo noi a essere ciechi.

In pagine singolari e avvincenti, in cui si scopre l'atmosfera della confessione personale, Vittorio Messori racconta - non certo da visionario ma da cronista legato ai fatti oggettivi e da studioso razionale qual è - alcuni «segni» ricevuti nel corso della vita. La telefonata rassicurante ricevuta dallo zio defunto a un anno esatto dalla morte. L'«inesistente» e insieme concreta ragazza tedesca che ristorò il padre soldato, addestrato duramente in Germania. Il benefico incontro a Torino sui «murazzi» del Po, in un momento di sconforto, con un enigmatico pensionato, svanito poi nel nulla. Il messaggio affidato in sogno alla domestica di casa con cui il beato Francesco Faà di Bruno - marchese e scienziato, che nell'Ottocento dedicò la sua vita a soccorrere le vere proletarie dell'epoca, le «serve» - invitava Messori, suo biografo e devoto, a partecipare a un convegno di particolare importanza.

Ma ecco «segni» celesti ancor più evidenti, riconoscibili in figure come Padre Pio, che, per diretta esperienza dell'autore, aveva anche il dono di far giungere a destinazione lettere appena scritte, o come la mistica austriaca Maria Simma, con lo straordinario carisma di incontrare ogni notte le anime del purgatorio.

Nel sollecitare il lettore a decifrare - e a confidare senza timore agli altri - la natura soprannaturale dei «piccoli misteri quotidiani» in cui ciascuno di noi si imbatte nella propria esistenza, Messori rende testimonianza alla verità della celebre massima di Blaise Pascal: «L'ultimo passo della ragione umana è riconoscere che vi è un Mistero con una infinità di cose che la superano».

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
Print ISBN
9788804700784
eBook ISBN
9788852088957
XVII

La posta di Padre Pio

Vediamo un altro caso, questa volta con l’intervento (come tanto spesso succede) di san Pio da Pietrelcina. Prendendola alla lontana, dirò che in una nota a Ipotesi su Gesù invitavo i lettori a scrivermi le loro opinioni e fornivo l’indirizzo della casa editrice che avrebbe provveduto a farmi giungere la posta. Non immaginavo quello che sarebbe successo: fui letteralmente sommerso da migliaia di lettere, per anni, visto che il libro era di continuo ristampato e tradotto in molte lingue. Non solo: ormai l’indirizzo era conosciuto dai lettori attenti, per cui il cumulo di posta per esprimere assenso o dissenso si rinnovò anche per gli altri miei libri. La nota a piè di pagina e l’indirizzo furono conservati nelle edizioni straniere, e così dovetti pure fronteggiare vari idiomi. Per fortuna, i lettori scelgono di solito di scrivere in lingue internazionali (inglese, francese, spagnolo), perciò almeno la comprensione di buona parte del testo è assicurata.
Ho sempre pensato che fra le scortesie peggiori ci sia il non rispondere a chiunque ti scriva, ma quella volta mi ero messo in una situazione imbarazzante. Come rispettare quel principio di fronte a una tale quantità di missive? Molte mi esortavano a scrivere presto un seguito a quel primo libro. In questi casi, l’impegno si limitava a qualche riga di ringraziamento e alla promessa che avrei continuato il lavoro: promessa che poi non rispettai, visto che il mio secondo libro, Scommessa sulla morte, uscì ben sei anni dopo (e provocò, fra l’altro, un nuovo tsunami di corrispondenza). Comunque, per molte altre lettere, non era così facile: i lettori si confidavano, chiedevano consigli, ponevano domande, spesso «teologiche» ma spesso anche personali, volevano indicazioni per letture, contestavano alcuni punti. Che fare? La Provvidenza, come sempre, mi suggerì il rimedio giusto: chiesi l’aiuto, generosamente prestato, di Rosanna, che si rivelò la vera eroina (come la chiamavo, scherzando ma non troppo) di questa epopea postale.
Così, ci organizzammo: lei apriva le buste, io leggevo con attenzione tutti (davvero tutti!) gli scritti e, con il pennarello che uso per scrivere a mano, annotavo a margine indicazioni – lunghe o corte a seconda della necessità – per la risposta. Risposta che mia moglie batteva alla sua macchina da scrivere, una mitica portatile Olivetti: nessuno ancora immaginava quelle che avremmo chiamate «mail», la posta istantanea. Io rileggevo ogni lettera, se era il caso – sempre con il pennarello in mano – aggiungevo, toglievo o correggevo. Soltanto in pochi, pochissimi casi chiedevo alla mia volontaria amanuense di riscrivere il tutto: Rosanna conosce molto bene il mio pensiero – che condivide –, tra i suoi vari titoli di studio c’è anche una licenza in teologia ed è scrittrice in proprio di libri a tema religioso. Dunque, le sue risposte erano abitualmente impeccabili. A conferma dell’attenzione e della partecipazione affettuosa con cui smaltiva lettere a centinaia, cadeva spesso in un lapsus che, rileggendo il tutto, dovevo correggere: pur scrivendo a mio nome, gli aggettivi le sfuggivano al femminile…
Insomma, soddisfazione nostra e pure del lettore, anche se a volte la lettera gli giungeva con il testo dattiloscritto e i miei interventi a mano. Inelegante, ma so che molti ne erano contenti: il foglio era un po’ pasticciato ma arricchito dalle «correzioni d’autore», dunque più personale. Comunque, non era finita con la mia firma in calce alla lettera: c’era da ripiegare il foglio, imbustare, scrivere l’indirizzo, affrancare, portare all’ufficio postale.
Un po’ di fatica e anche, lo dico sorridendo, un po’ di spesa (migliaia e migliaia di francobolli…), in ogni caso tutto irrisorio rispetto alla soddisfazione di trovare tanti amici e anche non pochi contestatori: pure loro avevano letto il libro, e se reagivano era perché li aveva coinvolti e lo giudicavano meritevole di essere contraddetto. Niente di peggio, per un volume, del non suscitare reazioni, nel bene o nel male. Per il cattolico che, parlando o scrivendo, voglia rispettare sia la Scrittura sia la Tradizione vale per sempre la regola: «Se tutti ti danno ragione, chiediti in che cosa hai sbagliato». Irenici e buonisti dimenticano che le parole di Gesù stesso dividevano i contemporanei, a tal punto che fu mandato a morte per ciò che diceva.
In questa folla di corrispondenti, alcune persone mi erano divenute particolarmente care e con loro la corrispondenza non si interrompeva dopo una lettera di risposta, ma si protraeva a lungo, spesso per anni.
Come con la signorina Antonietta, per esempio, che abitava a Torino e poi si trasferì con mamma e papà in un tranquillo villaggio residenziale in Val di Susa, dove l’aria è migliore rispetto a quella della metropoli piemontese. Antonietta è spastica, alla nascita i medici le diedero pochi anni di vita e adesso ha già superato gli ottanta, tuttora con la mente lucidissima di sempre. I genitori, benestanti, la fecero studiare privatamente e dalle sue lettere, in un impeccabile italiano, trapelano una buona cultura e molte buone letture. Soprattutto, è evidente in lei – che non conosce il cosiddetto «rispetto umano» – una fede salda, una presenza continua del Cristo, della Madre, dei Santi. Questa fede le ha permesso di affrontare non solo con coraggio, ma anche con una preziosa propensione allo humour, una vita resa difficile dall’handicap che le ha impedito di formare la famiglia cristiana cui aspirava. Antonietta fu tra i primi lettori a inviarmi una lettera (scritta con pazienza premendo sulla tastiera di una macchina da scrivere), mi pare addirittura poche settimane dopo l’uscita del primo libro. Da allora, la corrispondenza tra noi non si è mai interrotta, anche se ora è divenuta meno frequente, a causa del computer che Antonietta usa ma che non ama, nostalgica com’è (e ha la mia comprensione) del gusto di ricevere, aprire, leggere una lettera su buona carta, gradevole al tatto. Senza dimenticare la piacevole abitudine, ogni mattina, delle due parole con il postino, che, suonando a tutte le porte del paese, è sempre informato sui fatti locali del giorno, magari anche sui piccoli gossip provinciali che ogni donna ascolta con un sorriso curioso. Sta di fatto che tra noi si era stabilito un accordo più o meno tacito e comunque rispettato: una lettera sua e una risposta mia ogni mese o poco più. Leggerla e risponderle per me non era – non è – un dovere: nei suoi scritti gustavo e gusto una saggezza profondamente evangelica, forgiata dal dolore sublimato in preghiera. Divertenti, poi, i suoi commenti sugli eventi nazionali e internazionali del momento, pieni di realismo cattolico, di rifiuto – che io pure condivido – delle utopie e delle demagogie.
Ai tempi in cui ancora usavamo buste e francobolli, ebbi un periodo particolarmente gravato di impegni e di viaggi e saltai, involontariamente, il nostro appuntamento mensile. Antonietta attendeva invano e, giorno dopo giorno, aumentavano la sua delusione e il suo sconcerto: la busta con stampato, sul retro, il mio nome non si decideva ad arrivare. Cominciò a pensare a una malattia, a un incidente o, addirittura (seppur assurdamente), che tacessi perché impermalito per qualcosa che mi aveva scritto nell’ultima lettera.
Allora ricorse al suo rimedio, che tante volte si era rivelato efficace e a cui era attaccatissima: massì, chiamò in soccorso quel cappuccino che nessuno, tra i suoi devoti, malgrado la canonizzazione, chiama «san Pio» ma sempre e solo «Padre Pio», con la «P» maiuscola, ovviamente. Già ho accennato a lui. Qui aggiungo che mi è capitato di scrivere da qualche parte che, più tento di conoscere quell’uomo – così enigmatico e così inquietante, almeno per noi peccatori –, più mi sforzo di penetrare il suo mistero, e più mi viene da pensare a una sorta di meteorite piombato dal Cielo sulla Terra, venendo direttamente dal Medioevo, quello dei Fioretti francescani. Nulla c’è di «moderno» (e, meno che mai, di «modernismo») nella sua vita, nel suo modo di vivere la fede, nel suo annunciare il Vangelo, nel suo rapportarsi con i fedeli, che affrontavano lunghi viaggi e lunghissime attese pur di partecipare alla sua messa, all’alba, o di avere la sorte di inginocchiarsi al suo confessionale. Si spintonavano, pur sapendo che rischiavano di essere severamente redarguiti, se non addirittura allontanati bruscamente, senza assoluzione, dopo aver esposto le proprie colpe, se quel burbero benefico, quell’«orso di Cristo», avvertiva che non c’era sincero pentimento né volontà di migliorare.
Tuttavia, anche questa severità attirava le folle, in una Chiesa che – le rare volte in cui accenna al giudizio divino – rimuove la giustizia e parla solo di misericordia, censurando così pagine e pagine dell’intera Scrittura. Il «metodo pastorale» di Padre Pio – il contrario di quello raccomandato dagli infiniti convegni e dagli infiniti libri «attenti ai segni del tempo», che parlano di sociologia e di psicoanalisi più che del Vangelo – era ed è uno scandalo per tanto clero e tanti laici cattolici «clericalmente corretti». I quali, in effetti, gli fecero la guerra da vivo e hanno cercato di rimuoverne il ricordo da morto. Ma, guarda caso, il santuario dove il Padre riposa è divenuto uno tra i più frequentati luoghi di pellegrinaggio dell’intera cristianità, e non solo di quella italiana. Credo che anche negli ambienti cattolici critici verso papa Bergoglio, il «Vescovo di Roma» abbia recuperato molte posizioni andando a venerare Padre Pio nei suoi luoghi e, addirittura, facendone trasportare la salma in San Pietro per l’Anno Santo dedicato alla misericordia. Non dimenticando che, per quel Santo, il sacerdote, nel confessionale, è tanto più misericordioso quanto più è esigente e severo, e quanto più ammonisce che la scalata al Cielo non è una facile passeggiata sempre festosa. Nel campo spirituale valeva, per lui, il vecchio detto: «Il medico pietoso fa la piaga ulcerosa».
Per tornare alla nostra Antonietta: le sue condizioni fisiche le hanno impedito di unirsi alla folla sempre crescente di pellegrini diretti al Gargano, ma non certo di essere tra le devote del santo di San Giovanni Rotondo. Dicevo che era prima delusa e poi preoccupata per il ritardo della mia lettera, che sino ad allora aveva rispettato, bene o male, il ritmo mensile. Da qui, il ricorso – per lei consueto – a Padre Pio nelle orazioni della sera, per ricevere la busta desiderata. Mi scriverà poi che, dopo la preghiera, particolarmente intensa, sentì un forte profumo di fiori: stando a innumerevoli testimonianze di fedeli di tutto il mondo, questa era, ed è, la risposta del Santo a chi lo invoca ed è l’assicurazione che farà da mediatore per ottenere da Dio la grazia richiesta. È un segno che Padre Pio impiega ma che non gli è esclusivo: non a caso, dei cristiani esemplari si usa dire che «sono morti in odore di santità». Il profumo, nella prospettiva cattolica, ma anche ortodossa, è legato alla virtù e alla bellezza. E non a caso il simbolo mariano è la rosa, in quanto non solo bella ma anche il più profumato dei fiori.
Antonietta, dunque, quella notte dormì di un sonno sereno, certa che sarebbe stata esaudita. Infatti, verso mezzogiorno, come al solito, il postino suonò e le recapitò la mia lettera. Dopo la lettura e, soprattutto, dopo un doveroso ringraziamento al suo intercessore celeste, l’occhio le cadde sulla busta. Scoprì così che il timbro postale indicava che la missiva era partita la mattina stessa da Desenzano del Garda, a oltre 300 chilometri dal suo paese nella Val di Susa. Un errore di data nel timbro per l’annullamento del francobollo? Sbalordita – ma non troppo, conoscendo le sorprese del «suo» Santo –, subito mi scrisse.
Io, per mettere da parte ogni dubbio, andai dal direttore dell’importante ufficio postale della cittadina dove abito. Il funzionario – persona di grande esperienza –, ascoltando quanto gli raccontai, rimase molto sorpreso. Mi confermò che la timbratura avveniva un tempo in modo meccanico e ora elettronico ma, in entrambi i casi, un errore di data non era tecnicamente verosimile. Io avevo depositato la lettera – assieme a molte per altri destinatari – al mattino nella consueta buca in piazza, dove la prima raccolta dell’addetto avviene verso mezzogiorno. E «verso mezzogiorno» di quel giorno stesso Antonietta aveva ricevuto, a tanta distanza, la mia missiva: proprio in contemporanea con la caduta della busta nel sacco dell’addetto di Desenzano, per essere consegnata all’ufficio del luogo e da qui trasportata al Centro postale di Brescia. Un luogo dove, evidentemente, la busta non è mai giunta, proseguendo direttamente per la Val di Susa, a una velocità necessariamente non umana. Un simile fatto, mi confermò lo strabiliato direttore, non si era mai verificato nei suoi lunghi anni di servizio e non a caso, non avendo alcuna spiegazione plausibile. Replicai, sorridendo, che per capire occorreva informarsi in un paese pugliese, presso un vecchio convento di Francescani. Da persona aperta e, dunque, non essendo uno scettico a priori, il pur smaliziato funzionario fu d’accordo con me.
Ci fu poi un seguito, che «spiegò» (si fa per dire) l’evento. Successe infatti che, tempo dopo, venni invitato a presentare un mio libro a Lodi e i Cappuccini di Casalpusterlengo mi vollero ospite a pranzo: la conferenza era prevista per il pomeriggio. Seduto alla lunga tavolata del convento, senza tovaglia come vuole la Regola, avevo a fianco un cappuccino molto anziano, dalla lunga barba bianca. Mi avevano detto che, tra i religiosi, era circondato dal rispetto generale, dato che aveva passato molti anni a San Giovanni Rotondo, non solo come confratello ma anche come aiutante di Padre Pio. Ai processi per la beatificazione e poi per la santificazione era stato uno dei testimoni, vista la sua lunga intimità con il frate delle stigmate. Naturalmente, colsi l’occasione per raccontargli quello che era successo a una mia lettera, inviata a una donna handicappata che aveva chiesto al Santo di affrettarne l’arrivo. Il vecchio venerando posò il cucchiaio, smise di mangiare la sua minestra e mi guardò borbottando: «Ma è normale». «Normale?» replicai. «Ma certo. Naturalmente, solo per lui. Gliel’ho visto fare tante volte. Riceveva ogni giorno un mare di lettere, le faceva scorrere tra le mani senza aprirle e ne metteva alcune da parte, di cui coglieva – non so come – il contenuto. Erano quelle più urgenti, quelle dei sofferenti nel corpo o nello spirito, alle quali sentiva di dover dare subito almeno un cenno di vicinanza solidale e la promessa di un ricordo nella preghiera. Gliele aprivo, le leggeva, e per ciascuna scriveva una rapida risposta, ovviamente a mano. Queste lettere “urgenti” non le affidava alle poste, ma agli angeli: arrivavano subito a destinazione. Quel che lei mi dice non mi sorprende: anche da altri ho saputo che non ha abbandonato questo suo sistema neppure nel Cielo in cui si trova.»
Non potei fare a meno di chiedere: «Ma, padre, che significava, in concreto, affidarle agli angeli? Li vedeva, gliele consegnava di persona?». «Ma no: ogni mattina uno di noi imbucava tutta la corrispondenza del convento. Che cosa avvenisse di quelle lettere privilegiate, di quegli, diciamo, “espressi”, non lo sappiamo. Sta di fatto che, a quanto mi risulta, le poste non hanno mai sospettato che alcune buste finissero direttamente nella borsa del postino, ovunque fosse, lo stesso giorno in cui erano state consegnate all’ufficio di San Giovanni Rotondo. Il bello è, come ci hanno detto in molti, che quelle lettere erano timbrate con la data del giorno. Com’è successo alla sua amica.»
Che dire? C’è di che ampiamente scandalizzare, è sicuro, les esprits forts di sempre. Ma non bisogna preoccuparsi: una lunga esperienza mi ha insegnato che il solo «libero pensatore» è il credente, libero di accettare o di rifiutare. Come può esserlo chi ha deciso di respingere – sempre e comunque – ogni cosa che vada al di là delle sue convinzioni? Come può accettare il mistero chi è convinto che non possa esserci nulla oltre il cerchio limitato della ragione umana?
Il modo tutto suo di Padre Pio di far giungere subito la lettera che gli stava a cuore riguardò la mia amica Antonietta. Io c’entravo solo per una busta con un indirizzo e un francobollo. Ma quel che avvenne allora mi stimolò a cominciare a riflettere su uno dei santi più venerati del mondo. Eppure, confesso, in quel momento non andai molto oltre. La mia piena scoperta di lui fu tardiva: pur non frequentando allora le chiese, penso di poter dire che nella Torino della mia giovinezza il francescano delle stigmate fosse poco conosciuto e che forse si guardasse a lui con il sospetto piemontese che spesso circondava quanto veniva dal Sud. Credo che anche buona parte del clero locale temesse, qui, qualcosa dell’esaltazione meridionale, degli eccessi emotivi delle folle contadine. Non ricordo di aver mai visto una sua immagine esposta, non dico in un luogo sacro ma nemmeno in un negozio o in una casa privata, come accadeva invece nel Meridione.
Entrato a far parte della Chiesa, io stesso restai perplesso, constatando che anche tra le gerarchie ecclesiali giravano voci che mettevano in dubbio le meraviglie che proclamavano di lui i suoi devoti. Sapevo anche di una condanna dell’allora Sant’Uffizio, sapevo che qualcuno, magari persino vescovo, arrivava a sospettare quanto alla verità delle stigmate. Vedevo spesso citata la vecchia e affrettata diagnosi negativa di padre Gemelli, fattosi francescano da medico psichiatra e psicologo che era. Persino Giovanni XXIII sembrava convinto che quel cappuccino fosse circondato da un fervore popolare che non meritava. Ma, per fortuna, giunse la decisione di Giovanni Paolo II (che, ancora vescovo, si era recato da devoto a San Giovanni Rotondo) di aprire il processo prima di beatificazione e poi di canonizzazione: l’elevazione a santo scacciò ogni dubbio e troncò ogni discussione. Almeno nella Chiesa. In effetti, pochi sanno che – stando al parere prevalente dei teologi – nel proclamare santo un cattolico, il papa impegna il suo carisma di infallibilità, lo Spirito Santo lo assiste in modo particolare, per cui non può errare. È tanto vero che, in un paio di millenni, nella Chiesa è successo di tutto, tranne una ritrattazione su una canonizzazione, tranne uno «scusate, sono emersi fatti e documenti imbarazzanti, ci siamo sbagliati». L’elevazione agli altari cancella ogni dubbio, dunque la nostra devozione non deve temere errori, può allargarsi con libertà, come merita.
Quanto a me, una sera degli anni Novanta, dunque prima della sua glorificazione, stavo cenando a casa e con me c’era soltanto mia moglie. A un certo punto, un boccone di cibo mi andò di traverso e ostruì le vie respiratorie. Subito cominciai a rantolare: tentavo invano di respirare ma ero lucidissimo e mi rendevo conto che, se l’ostacolo non fosse stato rimosso al più presto, sarei prima svenuto e poi morto per soffocamento. Conoscevamo, su questa fine drammatica, alcuni casi tra parenti e amici. Nessuna ambulanza può giungere in tempo. La mia povera Rosanna, in preda al panico, mi batteva pugni sulla schiena, come consiglia una tradizione non so quanto efficace, e al contempo gridava: «Padre Pio, aiutaci! Padre Pio, aiutaci!». Io sentivo e, pur in quelle condizioni, mi sorprendevo; non sapevo di questa sua devozione, lei con padre nato ai confini del Sud Tirolo, allievo delle scuole tedesche dell’allora Bozen, e madre di un’antica famiglia ambrosiana. Comunque, come potei, mentre soffocavo mi associai mentalmente a quella invocazione. Dopo momenti davvero terribili, con un fortissimo tentativo di colpo di tosse riuscii a rimuovere l’ostacolo in gola, sentii l’aria che riprendeva a passare e, estenuato, mi accasciai su una sedia.
Intervento di Padre Pio? Rosanna ne fu subito persuasa, io stavo con lei ma si trattava di uno di quei tanti casi che non potranno mai convincere uno scettico: un intervento dal Cielo per un credente, un fatto naturale per tanti altri. Che ciascuno tenga le sue convinzioni, in simili casi ogni discussione finisce con un pareggio, oltre il quale non si può andare.
Sta di fatto che, ripresomi, chiesi a mia moglie che cosa fosse questa novità, questa invocazione a Padre Pio del quale non la sapevo particolarmente devota. Scoprii così che la devozione risaliva a sua madre e pare fosse dovuta all’invio periodico di un giornalino che faceva appello alla generosità dei credenti per le molte spese necessarie per costruire la Casa Sollievo della Provvidenza, il grande ospedale voluto da Padre Pio. Lei, mia suocera, inviava sempre qualche offerta e da quella pubblicazione apprendeva notizie su quello straordinario religioso.
Scoprii, insomma, che da decenni, a mia insaputa, Padre Pio, non ancora santo, faceva parte della famiglia. Ne fui contento, ovviamente, e da allora ne approfitto. Rivolgendomi a lui, ho constatato come sia intercessore pietoso e potente per ottenere dalla Trinità divina grandi miracoli, ma ho visto pure come prenda sul serio anche le suppliche – come dire? – «modeste», su fatti quotidiani. Pure in questo un vero santo del popolo, che non disdegna anche i piccoli drammi, come la p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Quando il cielo ci fa segno
  4. I. Pane e Paradiso
  5. II. La fede ha le sue ragioni
  6. III. Un Vivo per i vivi
  7. IV. Sordi, ciechi e, spesso, muti
  8. V. Una telefonata dal paradiso
  9. VI. Noi e i morti
  10. VII. La postina del purgatorio
  11. VIII. Un sogno per Rosy
  12. IX. Segni di verità
  13. X. Un invito irrinunciabile
  14. XI. Grande cristiano, grande scienziato
  15. XII. La morte di una madre
  16. XIII. In compagnia dei santi
  17. XIV. Un’abbazia, un santo
  18. XV. «Benvenuto tra noi!»
  19. XVI. Un libro di pietra e mattoni
  20. XVII. La posta di Padre Pio
  21. XVIII. L’Angelo Custode a «Porta a porta»
  22. XIX. L’Angelo alla Shell
  23. XX. «Stia lontano dal fiume»
  24. XXI. Nel crepuscolo degli dèi pagani
  25. XXII. Salus animarum
  26. Copyright