L’aeroporto Buenaventura Durruti di Barcellona recava ancora le tracce dei bombardamenti subiti: i primi da parte dell’aviazione spagnola, al momento della terza e definitiva dichiarazione di indipendenza catalana, e successivamente per opera della flotta aerea della RACHE, mentre questa muoveva alla conquista della penisola iberica. In seguito, si era unita all’azione distruttiva anche l’Euroforce, che vedeva l’ordinamento della Repubblica libertaria di Catalogna come il fumo negli occhi.
Gli attacchi erano stati infine respinti dalla potente contraerea barcellonese e dalle batterie di missili che la Generalitat aveva acquistato da qualsiasi staterello ne vendesse, in ogni parte del mondo (ed erano una pletora). Ciò malgrado un’ala del Durruti era ancora in macerie, per mancanza dei fondi necessari a ricostruirla. Il traffico aeroportuale aveva riassunto solo una parvenza di normalità. Si vedevano più miliziani, con le classiche bustine rossonere, che passeggeri.
Marcus Frullifer recuperò da un tappeto cigolante la sua unica valigia, munita di rotelle, e attese che Alli Ray prendesse la propria. Mostrati i visti alla guardiola, scesero con le scale mobili fino al piano inferiore, e di lì uscirono all’esterno. Furono avvolti da una canicola soffocante, che faceva tremolare la linea di montagne basse all’orizzonte.
«Il mio ragazzo arriva col volo successivo» disse Alli. Si riferiva al giovane studente di fisica Hector Delmar. Negli Stati Uniti era stato l’incubo di Frullifer, sia per la petulanza del soggetto, sia per propria inconfessabile gelosia. Lo scienziato sapeva che la ragazza, snella e vivacissima, era più giovane di lui di vent’anni almeno. Eppure non poteva impedirsi di esserne attratto e di odiare chiunque le fosse sentimentalmente vicino.
«Il prossimo aereo dall’America atterra fra sei ore» obiettò. «Non possiamo aspettare tanto.»
«Cosa ce lo impedisce?»
Frullifer cercò un pretesto. «Fa un caldo insopportabile. E inoltre sono atteso dalla Generalitat.»
«A un’ora precisa?»
«No.»
«Dunque abbiamo tutto il tempo.»
Non sapendo che altro eccepire, Frullifer sedette accanto ad Alli su una panchina metallica. Davanti avevano un grande parcheggio, la fermata dei taxi e quella degli autobus. I veicoli recavano le tracce delle due ultime guerre appena combattute: quella contro la Spagna e l’altra, più sanguinosa, contro la RACHE.
Molte carrozzerie, spesso arrugginite, in qualche caso mostravano fori di proiettile. Alcune automobili erano state lasciate sul posto per mancanza di benzina. Praticamente il mondo intero, pochi anni prima, aveva decretato un ferreo embargo ai danni della Repubblica libertaria di Catalogna, ritenuta una vergogna universale: troppo lontana dal liberalismo, per chi combatteva in nome di quella dottrina, e troppo antifascista e indisciplinata per i paesi sottomessi alla RACHE.
C’erano stati periodi di carestia, in cui la folla aveva assalito i supermercati semivuoti, e feroci rivolte delle classi un tempo privilegiate. Era seguita un’emigrazione generalizzata del ceto medio. Barcellona aveva appena iniziato a ricucire le cicatrici di un periodo nero.
Mentre Frullifer, rassegnato, fumava una sigaretta, con il bagaglio tra le gambe, Alli rientrò nell’aeroporto per guardare i tabelloni e cercare due bottigliette d’acqua. Si era appena allontanata quando una camionetta dipinta in grigioverde giunse veloce e si arrestò di fronte alle vetrate dell’ingresso. Ne scese un graduato con la divisa dell’esercito regolare e i colori repubblicani sulle mostrine. Stringeva tra le mani una fotografia. Si guardò attorno, poi camminò deciso verso Frullifer.
«Lei è il dottor Marcus Frullifer, il famoso astrofisico?» chiese in inglese.
Nel sentirsi definire “famoso”, lo scienziato arrossì di piacere. «Proprio io» mormorò. Si alzò dalla panca e quasi inciampò nella valigia.
L’altro, dal viso scuro e dai tratti coriacei, fece il saluto militare. «È un onore conoscerla, dottore. Perdoni il ritardo, la strada è piena di buche. Sono il tenente Jaume Rocasalva, dell’Armata libertaria di Catalogna. Mi hanno incaricato di condurla prima in albergo, poi alla Generalitat. È stato organizzato un ricevimento ufficiale.»
«C’è un’amica con me» obiettò Frullifer. «Devo recuperarla, è andata al bar.»
Il tenente trasse un foglietto dal taschino. «La signorina Allison Ray, vedo. È alloggiata come lei all’hotel Renaissance, in carrer de Pau Claris. La trovi, ma mi raccomando: non perda tempo.»
Frullifer imboccò una porta girevole e fu nell’atrio. Incrociò Alli che stringeva due bottigliette di plastica. I tabelloni segnalavano decine di voli annullati, europei o transoceanici. I capannelli di passeggeri farfugliavano espressioni di collera o di infelicità.
«Sono venuti a prenderci» disse Frullifer alla ragazza. «Dobbiamo andare.»
«Finché non arriva Hector, io non mi muovo.»
«Sai qualcosa del suo volo?»
«Cancellato. Ce n’è un altro nel pomeriggio.»
Frullifer sospirò. «Io non posso restare. In albergo troverai una camera prenotata a tuo nome.» Diede l’indirizzo. «Ci vedremo stasera.»
Ci vollero quaranta minuti per arrivare all’hotel Renaissance, malgrado la vicinanza dell’aeroporto alla città. Bisognava aggirare le cavità scavate dalle bombe, le postazioni di artiglieria circondate da reticolati, le carcasse di macchine lasciate arrugginire al sole. Per due volte incontrarono stazioni di controllo sorvegliate da miliziani armati di mitraglietta. A loro non chiesero i documenti, ma bisognò attendere che gli altri autisti si facessero identificare.
«Dovete avere trascorso anni duri» osservò Frullifer durante una di quelle soste.
«Durissimi» rispose Rocasalva. Fin dall’inizio si era mostrato uomo di poche parole, per quanto gentile.
«Al momento avete vinto.»
«Sì, ma il nemico preme ai confini. Quello interno – la “quinta colonna”, si diceva un tempo – è ancor più pericoloso.»
La camionetta attraversò viali maestosi ma devastati, infilò stradine che avevano ormai sabbia e sassi in luogo del selciato, sobbalzò sulle buche davanti a scheletri di abitazioni che erano state eleganti. Infine fece sosta davanti all’albergo che recava ancora l’insegna RENAISSAN. Le ultime due lettere erano state cancellate da un proiettile. In compenso, sotto si leggeva una scritta a vernice, in spagnolo: ESTRUCTURA RECUPERADA POR EL PUEBLO CATALANO.
Rocasalva scese e prese dal retro la valigia. Aprì lo sportello di Frullifer. «Vada alla reception. Mostri i documenti: le assegneranno una camera. Faccia i suoi comodi, poi sieda al bar. Il presidente della Generalitat la raggiungerà. Ha deciso di venirla a prendere di persona.»
«Lei se ne va?»
«No. Mi hanno adibito alla sua guardia. Parcheggio all’ombra e aspetto.»
Frullifer trascinò il suo bagaglio fino all’ingresso, con gran fragore delle rotelle. L’hotel Renaissance un tempo doveva essere stato di lusso, a giudicare dalle dimensioni dell’atrio. Ora i muri erano scrostati e incrinati, e i salottini sporchi contenevano poltroncine zoppicanti, con lacerazioni che rivelavano l’imbottitura.
Si presentò alla portineria e mostrò il passaporto. Il concierge gli fece firmare alcuni fogli, fotocopiò il documento di identità e gli porse una tessera magnetica. «La sua stanza è al quarto piano, compagno. L’ascensore arriva solo al terzo. Dopo dovrà salire a piedi.»
«Può avvertirmi se qualcuno, al bar, chiede di me?»
«Certamente. Purché sia prima delle diciannove. A quell’ora tutto il personale partecipa al comitato di gestione.»
«Sarà prima, credo.»
Frullifer salì alla sua camera. Ci volle del bello e del buono perché la tessera, molto logora, facesse scattare la serratura. Fu meravigliato dall’ampiezza dell’alloggio, con ben due letti matrimoniali (sperò che uno fosse destinato ad Alli), grandi specchiere, un bagno che avrebbe potuto ospitare una famigliola, grandi vetrate che consentivano una vista smisurata. Riconobbe, molto distanti, le guglie superstiti della Sagrada Familia, bombardata poco dopo il suo completamento.
L’aria condizionata ansimava, ma faceva il suo dovere. Il rubinetto sputacchiava acqua torbida, però era sia fredda sia calda. Il resto era lindo e funzionante. Le coperte dei letti erano rammendate con diligenza.
Frullifer aveva appena fatto in tempo a cambiarsi d’abito quando il cicalino del telefono trillò. «Il compagno presidente è al bar e l’aspetta.»
«Scendo subito.»
La caffetteria era al pianterreno, poco lontano dalla portineria. Frullifer vide solo un uomo barbuto e corpulento, in maglietta rossa. Stringeva tra le dita una coppa affusolata e sorbiva un liquido rosato con una cannuccia. Il barman, un giovane smilzo dai baffetti sottili, armeggiava con bottiglie e secchielli di ghiaccio.
«È passato di qua il presidente della Generalitat?» chiese Frullifer.
«Sono io» disse il barbuto. Scese dallo sgabello su cui era appollaiato. «Guillem Riego. Benvenuto in Catalogna, dottor Frullifer.» Parlava un inglese lento, elementare, ma comprensibile.
Si strinsero la mano. Quella di Riego era sudata, come il resto del suo corpaccione. Tuttavia la stretta fu di quelle capaci di stritolare le dita altrui.
«Sono onorato di conoscerla, signor presidente» disse Frullifer non appena riuscì a sottrarre la mano alla morsa.
«Molto meno onorato di me» rispose il capo di Stato. «Non appena ho saputo che sarebbe venuto qui, ho pensato: “Ecco l’uomo che ci strapperà da questo mondo di merda e ci porterà verso le stelle. L’unico che ne sia capace”.»
«Forse lei sopravvaluta…»
«Mi sono informato, non sopravvaluto un accidente. Si prenda un cocktail, compagno Frullifer. Ma non esageri, dobbiamo continuare a bere tutta la sera.»
Nicolas Eymerich lasciò la cella con precauzione, mentre mastro Gombau teneva alta la torcia per illuminare il corridoio.
«Da qui all’uscita ho contato almeno cinque guardie armate» bisbigliò l’inquisitore.
«Non ci sono più» rispose il colosso, con semplicità. «Potete parlare ad alta voce.»
«Le avete comprate tutte?»
«“Comprate” non è il verbo giusto, magister. Certo, se sono andate in paradiso, avranno lassù la loro ricompensa.»
Eymerich alzò le spalle. «Non ci andranno, dopo essersi rese complici di un delitto così grave come l’arresto di un inquisitore. Avete la mia assoluzione.»
«Vi ringrazio, padre.»
La Torre del Pretorio di Tarragona, detta anche Castello dei Re, era una costruzione massiccia e merlata che sorgeva al centro della città. Di origine romana, a...