Il programma di governo e il Terzo Mondo
Dopo le elezioni politiche del 26-27 giugno 1983, Bettino Craxi riceve dal presidente della Repubblica Sandro Pertini l’incarico di formare il nuovo governo. Il primo governo Craxi ottiene la fiducia della Camera dei deputati il 12 agosto e quella del Senato il giorno successivo. Dopo aver esposto le linee programmatiche di politica estera, Craxi ribadisce l’estrema sensibilità nei confronti dei problemi dei Paesi in via di sviluppo e li indica come punto fondamentale del suo programma di governo.
I problemi del Terzo Mondo … devono rappresentare un punto significativo e qualificante dell’azione del governo. Sarà un governo pacifico che intende partecipare all’organizzazione della pace, interprete della volontà di pace di un Paese pacifico che non è in condizione di minacciare nessuno, che non minaccerà nessuno e che non è neppure, allo stato delle cose, in condizione di poter dire con tranquillità se può rispondere ad eventualli, ipotetiche, remote – e io mi auguro che mai si verifichino – minacce; una politica di pace attraverso la organizzazione della pace in tutti i suoi aspetti: la politica del disarmo e del controllo degli armamenti, che ha di fronte a sé in questo momento alcune strettoie attraverso le quali bisogna passare e che bisogna poter superare.
Pace e sicurezza: le Commissioni Palme e Brandt
Nel 1980 la «Commissione indipendente sui problemi dello sviluppo internazionale», costituita per iniziativa della Banca Mondiale e presieduta da Willy Brandt, ex cancelliere della Germania Occidentale, presenta le sue analisi e le sue proposte tese a migliorare le relazioni tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo. Nello stesso anno, di fronte al deterioramento delle relazioni tra Est e Ovest, l’allora primo ministro di Svezia, Olof Palme, fonda la «Commissione Indipendente sul Disarmo e la Sicurezza», che affronta i problemi della sicurezza e della minaccia di una guerra nucleare.
Nel 1984 si tiene a Roma la prima riunione congiunta delle due Commissioni. Il presidente Craxi considera tale sessione un’ottima occasione per approfondire la riflessione sullo sviluppo e sulla pace, obiettivi e valori sempre più interconnessi.
In questo discorso, infatti, egli ribadisce che la sicurezza comune è legata alla prosperità comune e che la pace e lo sviluppo sono i maggiori problemi da affrontare, ricordando la posizione dell’Italia sull’annullamento del debito nei Paesi in via di sviluppo.
La pace e lo sviluppo sono le grandi speranze del mondo e sono, insieme, i due maggiori problemi che gli uomini, i governi, le nazioni hanno di fronte. Lo dice la realtà con la sua eloquenza inequivocabile: non c’è pace dove si muore di stenti, non c’è pace dove non c’è giustizia. Assistiamo da tempo al rinnovarsi di un circolo vizioso, dove la povertà e il sottosviluppo divengono fattori di instabilità, viene alimentata la domanda di armamenti ed essa, a sua volta, quando è soddisfatta, provoca nuove tensioni nei rapporti internazionali. All’interno agisce come ostacolo al progresso tecnologico-industriale provocando lentamente il passaggio dalle economie di pace, per quanto povere possano essere, alle catastrofiche economie di guerra. È una spirale perversa che va rovesciata e spezzata prima che produca guasti ancora più grandi.
Il panorama internazionale attuale non induce all’ottimismo. Avvertiamo cenni di ripresa economica; si profila la possibilità di porre fine alla peggiore recessione degli ultimi quarant’anni. Tuttavia non è ancora certa la forza di tale ripresa; mentre permangono fattori di instabilità nei mercati valutari e finanziari. Anche all’orizzonte politico la tensione ha preso il posto della distensione, l’aggravarsi del contrasto Est-Ovest rischia di rimettere in discussione tutto, il presente e l’avvenire, la pace e l’evoluzione dei popoli.
La nostra risposta non è e non sarà la risposta della rassegnazione. La nostra convinzione è che si debba reagire con forza a queste tendenze oscure. Il governo italiano ha condotto con tenacia un’azione volta a favorire intese sulla riduzione degli armamenti nucleari. Ci siamo adoperati attivamente perché potessero essere raggiunte intese capaci di soddisfare le esigenze di sicurezza di entrambe le parti. L’insuccesso dell’opzione negoziale non ha indotto l’Italia allo scoraggiamento. Ci auguriamo che le decisioni sovietiche siano soltanto temporanee e che la pausa di riflessione che è attualmente in corso consenta a tutte le parti un ripensamento costruttivo delle rispettive posizioni negoziali. Noi continueremo a lavorare per una sollecita ripresa della trattativa; diamo un valore di speranza al fatto che almeno un dialogo tra Est ed Ovest possa essere nuovamente tentato a Stoccolma, dove ha iniziato i suoi lavori la Conferenza sul Disarmo in Europa.
Un altro fattore ci induce a sperare, anche se nello stesso tempo ci allarma e ci atterrisce; la enormità della spesa mondiale per il riarmo, la crescente consapevolezza dell’assurdità di una gara militare che ha raggiunto lo spazio e sembra voler salire fino alle stelle.
Si inseguono ancora nuovi miglioramenti, per l’offesa e per la difesa dalla nuova offesa, destinando al settore militare una quota sproporzionata delle risorse per la ricerca e le innovazioni tecnologiche. Che senso ha questa corsa? È davvero possibile eliminare la vulnerabilità degli Stati sotto il profilo militare? Quali costi e quali conseguenze comporterebbe il raggiungimento di tale obiettivo, ammesso che sia tecnicamente possibile? Non è vero invece che, oltre un certo limite, l’accumulazione di armi cessa di avere valore di protezione per assumere invece quello di una minaccia capace di scatenare reazioni incontrollabili?
Ma è soprattutto l’assurdità di questa corsa alle stelle che impressiona. Non credo che tutti noi, l’umanità intera possa essere eternamente dominata da un assurdo. Una inversione di rotta ci deve essere, ci sarà. Ne sono convinto perché ho più fiducia nella saggezza che nella disperazione, nella ragione che nella follia. Ciò che dobbiamo fare è non aspettare inerti questa inversione di rotta. Occorre continuare, sondare tutte le possibilità, sollevare tutte le opzioni, in particolare dando la giusta attenzione anche alle forze convenzionali, incoraggiare una nuova diplomazia della sincerità, consolidare e dare valore ai più modesti segni di ripresa del dialogo, ai potenziali soggetti nuovi di questo dialogo che possano emergere sia ad Est che ad Ovest. La meta che ci deve guidare è quella di ottenere un risultato: per noi e per tutti coloro che stanno peggio, molto peggio di noi.
C’è un dato impressionante, che fa meditare: nell’ultimo decennio le spese militari del Terzo Mondo sono aumentate molto più rapidamente delle spese civili. Sono arsenali che vanno ben al di là di qualsiasi ragionevole esigenza di sicurezza e rappresentano da soli alte possibilità di prevaricazioni fra i popoli e all’interno degli stessi popoli. Se si considera che la situazione economica dei Paesi del Terzo Mondo è di gran lunga peggiorata in parallelo con la recessione mondiale, fra gli anni Settanta e Ottanta, possiamo arrivare a formulare una proposizione semplice e terribile: la miseria riarma i popoli. E a questo punto non è possibile tacere sulle gravi responsabilità comuni, che devono sollecitare un’azione collettiva con il concorso di tutti, inclusi i Paesi dell’Est.
È stata proprio la Commissione Brandt a rilevare la terribile ironia del fatto che «il trasferimento più dinamico e rapido di attrezzature altamente sofisticate dal ricco al povero abbia preso la forma di macchine di morte». E ciò che è chiaro infine è che, oggi, ogni focolaio di guerra diviene fatalmente motivo di scontro Est-Ovest.
L’antico cuore pacifista ha sempre chiesto la riduzione della spesa militare e la destinazione del risparmio così ottenuto a opere sociali e di umanità. Purtroppo non è mai quasi avvenuto in nessuna parte del mondo.
Un’utopia? È utopia immaginare la rinuncia ai vantaggi strategico-militari e il libero sviluppo dei popoli? È utopia pensare a una intesa Est-Ovest per un efficace e adeguato sostegno alle istanze di progresso delle nazioni emergenti?
C’è una interdipendenza tra fatti politici e fatti economici, c’è una interdipendenza fra le economie dei diversi Paesi, c’è una interdipendenza tra Nord e Sud. Se si vuole che l’annunciata ripresa economica del mondo occidentale segni, a differenza del passato, risultati stabili e duraturi, essa deve essere orientata verso i fini di un risanamento finanziario degli Stati e di una più equilibrata distribuzione della ricchezza che superi i confini nazionali e investa il vasto mondo del bisogno.
L’Italia, nonostante la sua preoccupante percentuale di disoccupazione, continua ad ospitare una massa imponente di lavoratori del Terzo Mondo. Nonostante le difficoltà economiche e le recenti restrizioni introdotte nel bilancio dello Stato, l’Italia non ha ridotto gli stanziamenti per i Paesi in via di sviluppo ma, anzi, ha confermato l’adesione all’obiettivo delle Nazioni Unite di destinare all’aiuto una quota pari allo 0,7 per cento del prodotto nazionale lordo per la fine del decennio.
E tuttavia sappiamo che moltissimo ci resta da fare per adeguare la nostra azione, la sua proprietà e la sua efficacia, e per collocarla in modo più soddisfacente all’altezza del nostro dovere e degli obiettivi che ci siamo proposti.
In singolare coincidenza con le analisi e con le deduzioni del primo e del secondo Rapporto della Commissione Brandt, la cooperazione italiana si è diretta verso la soddisfazione dei bisogni primari e fondamentali delle popolazioni del Terzo Mondo. I nostri interventi nelle zone prioritarie non sono consistiti solo nella creazione delle infrastrutture ma sono stati diretti anche alle piccole cose: le manutenzioni, gli aiuti immediati, la costruzione di pozzi ed altro. Importante è stato il ruolo svolto dal nostro volontariato.
L’interesse principale della cooperazione italiana è stato rivolto ai Paesi meno avanzati. Ed è attraverso il dialogo con i Paesi meno fortunati che l’Italia intende rafforzare il senso della solidarietà umana di intervenire dove il bisogno è più pressante.
L’Italia è pronta ad appoggiare una decisa azione volta a favorire lo sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo. Vorrei anzitutto manifestare il consenso del nostro Paese per la proposta avanzata dal secondo Rapporto Brandt di un vertice nel quale si discutano le misure urgenti per affrontare i problemi più immediati dei Paesi in crisi.
Il secondo Rapporto Brandt ha particolarmente sottolineato un nodo centrale dell’attuale crisi nei rapporti con il Terzo Mondo: il debito. L’Italia ha già appoggiato e ratificato l’aumento delle quote del Fondo monetario internazionale; abbiamo sottoscritto una parte dei tre miliardi di dollari necessari per dare nuove scadenze ai debiti dei Paesi in crisi. Abbiamo infine accettato di annullare i debiti di alcuni Paesi meno avanzati in preda a gravi difficoltà finanziarie.
So bene che l’Italia non può dare molto di più di un bicchiere, dove è necessario riempire un barile. Ma al di là dell’aiuto specifico, deve valere la qualità delle azioni, deve contare la volontà politica che le anima. La nostra volontà è la pace per tutti e la sicurezza per ciascuno, il progresso continuo posto al servizio di una giusta e ragionevole eguaglianza. Di tutti gli uomini, non solo degli italiani. Per questo non cesseremo dal batterci, con assolutà onestà di sentimenti, per la pace, per il disarmo, per lo sviluppo di tutti i popoli, nella garanzia della loro indipendenza e contro la diseguaglianza diffusa nel mondo, così come per i diritti umani ovunque essi siano minacciati ed offesi, in uno spirito di solidarietà che sentiamo ben vivo nel nostro animo. È con questi propositi e con questi sentimenti che vi rinnovo il più amichevole benvenuto ed auguro un pieno successo ai vostri lavori.
Equilibrio di forze
Nel luglio 1986 Craxi apre i lavori del convegno «Il dialogo come fondamento universale di pace» e ribadisce come l’instabilità internazionale abbia origine nelle grandi diseguaglianze nel mondo. Già due anni prima Craxi dichiarava che «non c’è o non c’è ancora una vera coscienza del debito economico e morale che i Paesi sviluppati hanno verso il resto del mondo. Non c’è forse neppure una approfondita e diffusa valutazione politica della necessità e dell’utilità di sanare questo debito, se il mondo industrializzato vorrà evitare nuove crisi del proprio sviluppo e se vorrà che questo sviluppo si accompagni ad una pace generalizzata, consolidata e bene organizzata, che sola può consentire di goderne i frutti».a Dovere e interesse dei Paesi industrializzati deve essere allora quello di sostenere gli sforzi dei Paesi emergenti, superando quelle visioni miopi e settarie che hanno condotto all’insicurezza economica attuale.
Va tenuta alta la bandiera dei diritti dei popoli, che sono sacri ovunque, e quella dei diritti umani che in società già evolute vanno difesi e nelle società più chiuse o più arretrate vanno conquistati. Molta parte della instabilità internazionale ha la sua origine anche nella insicurezza economica, nella mancanza per molti popoli di prospettive di progresso, per l’esistenza di miseria, fame e sottosviluppo, clamorose disparità di ricchezza.
Il problema delle grandi diseguaglianze nel mondo costituisce la questione decisiva della nostra epoca e della sua civiltà.
È sempre più evidente l’asprezza ed anche la pericolosità dei gravi squilibri dell’economia mondiale.
I Paesi industrialmente avanzati sono oggi in piena ripresa. Il loro concorso alle soluzioni delle crisi economiche deve farsi più convinto e più efficace di quanto oggi non sia.
Lo impone il rapporto di sempre più stretta interdipendenza tra le nazioni e gli Stati, che deve spingere le economie più ricche a favorire uno sviluppo economico più generalizzato ed incoraggiare un grande sforzo di corresponsabilità.
Conosciamo sempre meglio i problemi gravi che opprimono le nazioni meno sviluppate e più povere e siamo ben consapevoli che una parte del mondo non potrà prosperare per lungo tempo assistendo passivamente all’impoverimento dall’altra parte.
Vi sono ragioni economiche oltre che morali e politiche che devono indurre i Paesi industrializzati ad assicurare la più ampia possibile diffusione al processo di espansione.
I nostri sforzi di solidarietà riguardano innanzitutto la lotta contro le sofferenze dell’uomo. Sono il dramma della fame e della malnutrizione e le tragiche sacche di povertà assoluta e di sottosviluppo, che richiedono il mantenimento e l’intensificazione delle politiche di interventi straordinari, di aiuti urgenti e tempestivi.
Ma il pressante dovere dei Paesi tecnologicamente avanzati è quello di sostenere gli sforzi che i Paesi emergenti conducono per costruire attraverso tappe successive la loro via allo sviluppo. Un sostegno che ...