La Fanta-scienza di H.G. Wells
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La Fanta-scienza di H.G. Wells

  1. 552 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La Fanta-scienza di H.G. Wells

Informazioni su questo libro

La macchina del tempo, L'isola del dottor Moreau, L'uomo invisibile, I primi uomini sulla Luna. E poi ovviamente La guerra dei mondi, divenuto celebre per l'epocale trasmissione radiodramma che ne trasse Orson Wells. Questo ricco volume raccoglie i caposaldi della narrativa di H.G. Wells, i romanzi che fondarono il genere fantascientifico e che ancora oggi affascinano i lettori con la loro inesausta immaginazione, rendendoli disponibili al lettore in un'edizione di pregio.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
Print ISBN
9788804700340
eBook ISBN
9788852091124

I PRIMI UOMINI SULLA LUNA

1901

1. IL SIGNOR BEDFORD INCONTRA IL SIGNOR CAVOR A LYMPNE

Mentre sto per scrivere, all’ombra di una vite, sotto il cielo azzurro dell’Italia del Sud, mi convinco, non disgiunto da un sentimento di stupore, che la mia partecipazione alle sorprendenti avventure del signor Cavor va intesa come un frutto del caso. Quanto è successo a me sarebbe potuto succedere a chiunque altro. Venni a trovarmi al centro di queste cose quando mi ritenevo immune dalla più insignificante possibilità di compiere esperienze tumultuose. Mi ero difatti recato a Lympne, credendolo il luogo più tranquillo del mondo. “Qui, almeno,” avevo detto fra me “troverò la pace e la possibilità di lavorare!”
Questo libro è la conseguenza di quella pace. A tal punto il destino si diverte a insidiare anche i più semplici piani degli uomini.
Ritengo utile notare qui come recentemente avessi subito un notevole tracollo finanziario in seguito ad alcuni investimenti sbagliati. Ora, circondato da tutti gli agi, posso permettermi il lusso di confessare la mia passata miseria, e ammettere anche che, in parte, le mie sventure erano dovute probabilmente alla mia inesperienza. Se esistono campi in cui io possiedo una certa abilità, la condotta delle operazioni commerciali non è certamente fra questi. Ma a quei tempi ero giovane e, tra gli altri difetti, avevo anche l’orgoglio di credermi abile nelle speculazioni. Giovane lo sono ancora quanto all’età, ma gli avvenimenti mi hanno tolto una parte della mia primitiva leggerezza; se poi essi mi abbiano fatto acquistare anche un po’ di saggezza, è cosa più problematica.
È superfluo entrare nei particolari dei ragionamenti che causarono il mio arrivo a Lympne, nel Kent. Oggigiorno anche gli affari hanno un forte sapore d’avventura. Ne accettai i rischi. Ogni speculazione comporta, invariabilmente, il dare e l’avere; e a me, infine, purtroppo, toccò proprio il dare. Persino quando ritenevo di aver sistemato tutte le mie pendenze, un creditore intrattabile ritenne opportuno farmi oggetto delle sue persecuzioni. Forse avrete provato anche voi quella bruciante sensazione di virtù offesa, o forse l’avete soltanto avvertita. Mi perseguitò aspramente. L’unico rimedio per uscire dall’impiccio, se non volevo rassegnarmi a guadagnare stentatamente un pezzo di pane accettando un meschino posto d’impiegato, mi sembrò infine quello di scrivere un dramma. Ho una discreta dose di immaginazione, e gusti raffinati: intendevo perciò lottare vigorosamente contro l’avverso destino che mi voleva schiacciare. Aggiungerò che in quei tempi, oltre ad avere una gran fiducia nelle mie qualità di uomo d’affari, ero anche convinto di essere in grado di scrivere un buon lavoro teatrale. Non credo sia, del resto, un’opinione molto strana, dato che non vi è nulla che offra così ricche possibilità, a parte i legittimi affari, come un lavoro teatrale, e molto probabilmente tale convinzione fu quella che mi indusse a tentare. Mi ero infatti abituato a considerare questo dramma non ancora scritto come una comoda riserva accantonata per i giorni del bisogno. Questi giorni erano giunti, e io mi misi al lavoro.
Mi ero recato a Lympne, credendolo il luogo più tranquillo del mondo
Mi ero recato a Lympne, credendolo il luogo più tranquillo del mondo
Dovetti però presto accorgermi che scrivere un dramma era un lavoro che richiedeva un tempo assai maggiore di quello da me supposto. Dapprima avevo creduto che sarebbero stati sufficienti dieci giorni; mi ero perciò recato a Lympne per procurarmi un pied-à-terre. Avevo avuto la fortuna di trovare un piccolo bungalow e l’avevo preso in affitto per tre anni, arredandolo alla meglio con pochi mobili. Mentre lavoravo al dramma, dovevo dedicarmi anche alla cucina. I miei piatti avrebbero fatto arricciare il naso alla signora Beeton, eppure, sapete, erano abbastanza appetitosi. Possedevo una caffettiera, un tegame per le uova, una casseruola per cuocere le patate e una padella per friggere salsicce e lardo: ecco in che cosa consisteva la mia agiatezza. Il lusso non è sempre possibile e la semplicità ne è la migliore alternativa. Per il resto, mi procurai a credito un bariletto di birra e un fornaio fiducioso mi riforniva ogni giorno. Non era, per la verità, una vita da sibarita; ma avevo visto momenti peggiori. Ero un po’ dispiaciuto per il fornaio, uomo veramente degno di ogni considerazione; ma speravo bene anche per lui.
Gesticolava, agitando braccia e mani e dondolando il capo
Gesticolava, agitando braccia e mani e dondolando il capo
Per chi ami la solitudine, Lympne è il posto ideale. Il paese è situato nella parte argillosa del Kent; il mio bungalow sorgeva proprio sull’estremo limite di un’antica scogliera marina, e di là la vista si estendeva oltre la pianura paludosa di Romney fino al mare. Quando piove, il luogo diventa quasi inaccessibile; e mi venne detto che spesso il portalettere era, a causa del fango, obbligato a percorrere la maggior parte del suo giro su delle specie di sci. Io non lo vidi mai così attrezzato, ma me lo posso immaginare con facilità. All’entrata dei pochi cottage e delle case che formano il villaggio vi sono appositi grandi fasci di sterpi per levarsi il grosso del fango dalle scarpe, il che può dare un’idea della conformazione della regione. Ai tempi dei romani la località fu uno dei maggiori porti dell’Inghilterra, Portus Lemanus, mentre oggi dista dal mare ben sei chilometri. Tutt’intorno alla base della collina vi sono molti ruderi romani in mattoni, e da lì parte l’antica Watling Street, in parte ancora lastricata in pietra, che, dritta come una freccia, punta verso nord. Spesso mi soffermavo sulla sommità della collina, ripensando a tutte le cose di quel tempo, alle navi e alle legioni, ai prigionieri e agli ufficiali, alle donne e ai mercanti, a coloro che come me si erano soffermati a vedere e a pensare, a tutta la folla e al tumulto che era risuonato all’interno e all’esterno del porto. E ora rimanevano soltanto pochi resti su un pendio erboso, una pecora o due... e io! E là, dove era stato l’antico porto, si estendeva la palude in forma di ampia mezzaluna fino alla lontana Dungeness, punteggiata qua e là dalle cime degli alberi e dalle cuspidi dei campanili di qualche vetusta città medievale, destinata, come Lemanus, ad andare a poco a poco scomparendo.
La vista della palude costituiva, per la verità, uno dei panorami più poetici che io avessi mai contemplato. Dungeness si trovava a circa venticinque chilometri e sembrava una zattera sul mare; lontano, a ovest, vi erano le colline di Hastings, dorate dal sole al tramonto. A volte parevano vicine e nitide, altre volte erano basse e sfumate, e spesso le condizioni del tempo le nascondevano completamente alla vista. La zona più vicina della palude era disseminata di fossi e di canali.
La finestra presso la quale ero solito lavorare si apriva su quel panorama, e fu di là che scorsi per la prima volta Cavor. Ero appunto alle prese con la mia sceneggiatura, concentrando tutta la mia attenzione su quel lavoro complicatissimo, quando la sua vista mi colpì al punto da distogliermi dalle mie meditazioni.
Il sole stava calando e il cielo risplendeva di giallo e di verde, allorché la sua piccola figura, nera e strana, vi si stagliò.
Era un uomo di bassa statura, corpulento, con due gambe esilissime, che si muoveva a scatti. Aveva creduto bene di vestire la sua figura fuori del comune con un berretto da giocatore di cricket, un soprabito, pantaloni alla zuava e calze al ginocchio, da ciclista. Non riuscii mai a capire la ragione di questo suo modo di vestire, perché non andò mai in bicicletta e non giocò mai a cricket. Si trattava di un’accozzaglia di indumenti, riuniti insieme non so come.
Gesticolava, agitando braccia e mani e dondolando il capo; e ronzava, ossia emetteva dalle labbra un ronzio simile a quello d’una macchina elettrica. Non potete aver mai sentito niente di simile; per di più ogni tanto si schiariva la gola facendo un curiosissimo rumore.
Era piovuto da poco e la sua andatura a scatti risultava aumentata dall’estrema scivolosità del sentiero. Nel momento preciso in cui si stagliò davanti al disco del sole, si fermò, estrasse un orologio, ebbe un attimo di esitazione. Poi, con una specie di movimento convulso, girò su se stesso e ritornò sui suoi passi, dimostrando grandissima fretta, senza più gesticolare, ma procedendo a lunghi passi veloci che misero in evidenza le notevoli dimensioni dei suoi piedi (ricordo che il fango che vi aderiva li faceva apparire di proporzioni grottescamente gigantesche).
Ciò accadde il primo giorno che mi trovavo a Lympne, quando la mia attività di scrittore drammatico era in pieno corso; considerai perciò l’incidente come una noiosa distrazione, la perdita di cinque minuti di tempo. Tornai alla mia sceneggiatura; ma quando la sera seguente l’apparizione si ripresentò con un’esattezza sorprendente, ripetendosi poi regolarmente tutte le sere in cui non pioveva, concentrarmi sul lavoro cominciò a richiedere uno sforzo notevole. “Che il diavolo se lo porti!” dissi tra me. “Si direbbe che voglia esercitarsi a fare il burattino!” E per parecchie sere lo mandai di cuore all’inferno.
Poi la noia cedette il posto alla meraviglia e alla curiosità. Perché mai quell’uomo si comportava così? La quattordicesima sera non potei più resistere e, appena apparve, aprii la portafinestra, traversai la veranda e mi diressi verso il luogo dove invariabilmente si fermava.
Mi volsi a guardare la sua figura che si allontanava
Mi volsi a guardare la sua figura che si allontanava
Lo raggiunsi appunto mentre stava estraendo di tasca l’orologio. Il suo viso era paffuto e rubicondo, con gli occhi di un marrone rossastro (fino ad allora lo avevo visto soltanto controluce).
«Un momento, signore!» gli dissi, mentre si voltava.
Mi guardò. «Un momento,» ripeté «d’accordo. Ma se lei vuole parlarmi più a lungo, e se non è chiederle troppo – il suo momento è già scaduto –, le domanderò di accompagnarmi. Le dispiace?»
«Neanche per sogno; anzi...» risposi, ponendomi al suo fianco.
«Le mie abitudini sono regolari, e il mio tempo per gli scambi di opinione è limitato.»
«Immagino che questa sia l’ora della sua passeggiata igienica.»
«Appunto. Vengo qui per godermi il tramonto.»
«Ma se non si gode niente.»
«Come?»
«Non lo guarda mai.»
«Non lo guardo mai?»
«No, l’ho osservata per tredici sere e non una sola volta l’ho veduta guardare il tramonto, non una.»
Aggrottò le sopracciglia, come se si trovasse di fronte a un problema.
«Ma... mi piace vedere il colore del sole... dell’aria... seguo questo sentiero, attraverso quel cancello» volse bruscamente la testa accennando a dietro le spalle «e giro...»
«Macché, non c’è mai passato. È tutta una frottola. Là non c’è sentiero. Questa sera, per esempio...»
«Ah, questa sera! Mi lasci pensare. Ah! Ho guardato l’orologio e mi sono accorto d’aver superato di tre minuti la mia solita mezz’ora: ho deciso che non avevo tempo di fare il solito giro e sono passato di qui...»
«Ma se ci passa sempre!»
Mi guardò pensieroso. «Forse è vero, ora che ci penso. Ma lei che cosa voleva dirmi?»
«Quello che le ho già detto.»
«Quello che mi ha detto?»
«Già; perché si comporta così? Ogni sera lei viene qui facendo quel rumore...»
«Facendo un rumore?»
«Ma sì, così» e imitai il suo ronzio.
Mi guardò; evidentemente il ronzio aveva ridestato in lui una sensazione spiacevole. «Io faccio questo?» mi domandò.
«Tutte le sante sere.»
«Non me n’ero mai accorto.»
Si fermò impalato e, guardandomi seriamente, disse: «Può essere che me ne sia fatta una specie di mania?».
«Sembra di sì. Non è forse vero?»
Si strinse il labbro inferiore fra l’indice e il pollice e si mise a fissare una pozzanghera ai suoi piedi.
«La mia mente è assillata da gravi preoccupazioni,» disse «e lei vorrebbe saperne il perché! Ebbene, signore, le assicuro che non solo non so perché faccio quel che faccio, ma non mi sono nemmeno mai accorto di averlo fatto. Pensandoci bene, è proprio come dice lei, io non sono mai stato oltre quel campo... Ma forse queste cose le danno fastidio?»
Non so perché, cominciavo a divenire meno severo nei suoi confronti. «Darmi fastidio no» dissi. «Ma... si immagini un po’ di dovere scrivere un dramma!»
«Io non riuscirei.»
«Be’, qualche altra cosa che richieda concentrazione.»
«Ah! Sì, certo» rispose, e prese un’aria meditativa. La sua espressione mi rivelò così eloquentemente la sua pena, che io mi raddolcii ancora di più. Dopotutto c’è qualcosa di aggressivo nel chiedere a uno che non si conosce perché si schiarisce la voce sulla pubblica via.
«Vede, è un vizio» disse debolmente.
«Oh! Ne sono persuaso.»
«È un vizio di cui mi debbo liberare.»
«Non è assolutamente necessario. Io, del resto, non ho alcun diritto... Forse mi sono già preso troppa libertà.»
«Ma no, signore,» disse «io le sono invece infinitamente grato. Dovrei evitare certe cose. D’ora in avanti lo farò. Posso disturbarla... ancora una volta? Com’era que...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Un’illusoria semplicità. di Nicoletta Vallorani
  4. LA FANTA-SCIENZA. di H.G. Wells
  5. La macchina del tempo
  6. L’isola del dottor Moreau
  7. L’uomo invisibile
  8. La guerra dei mondi
  9. I primi uomini sulla luna
  10. Cronologia e Bibliografia
  11. Copyright