«Pronto? Paola, cosa vuoi? Ti ho detto un milione di volte che non mi devi rompere i coglioni quando lavoro. Sentiamo, cos’è successo di così importante?»
A volte Milano aveva un buon odore. Capitava di rado ma capitava. Soprattutto in primavera, quando il profumo dei tigli e dei falsi gelsomini faceva breccia nello smog e impregnava l’aria. C’era poco traffico quella mattina, e stavano andando a Linate. Il tizio lì dietro aveva un volo per Roma.
«Ancora? Ancora?! Ma cos’hai nella testa? Possibile che non riesci a organizzarti? Fai un part time o un tempo pieno? Manco fossi l’amministratore delegato… Per quella miseria che ti danno tanto vale che resti a casa… Almeno ti occupi dei bambini e magari una cosa nella vita la fai come Dio comanda… Diglielo! Diglielo al dottor Sailcazzo! Se hai firmato un contratto di sei ore, devi lavorare sei ore! E devi essere in grado di fare la madre dei tuoi figli. Se due cose insieme non ti riescono, non è un problema mio! E comunque io oggi sono a Roma, quindi a prenderli a scuola ci devi andare tu per forza. E guai a te se chiami un’altra volta la baby sitter! Non voglio che i miei figli stiano con delle sconosciute qualsiasi – sciampiste, disoccupate, zoccole, manco so come le scegli. Hanno una madre, devono stare con la madre! Chiaro? Non farmi scherzi, Paola, perché se scopro che hai fatto la furba un’altra volta, giuro che divento una bestia… Ho una chiamata in arrivo. Devo lasciarti… Pronto? Pronto? Chi parla? Io non sento niente… E va a cagare anche tu…»
Suo padre ripeteva: «Io, quando lavoro, sto bene. Dentro la mia macchina mi sento libero». E invece adesso come si sentiva? Affondato nella poltrona, nelle orecchie tutto il giorno il telegiornale, la radio, un po’ di musica, il borbottio incessante di sua madre… I crucipuzzle da risolvere… Chissà per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a trovare le parole? Persino pensarci le toglieva il respiro. E se la colpa di tutto questo fosse stata sua? Del suo lento affondare che aveva travolto tutti, anche Nicola, suo padre.
«Ci siamo già visti noi due?»
«Sì, un paio di settimane fa. Ho accompagnato lei e un suo collega a Segrate.»
«Ah, già, ecco. Ero con De Maria, il nostro direttore commerciale. Gli avevo organizzato un’intervista con “Affari & Finanza”. Dubito che tu l’abbia letta: non sembri una che si interessa di finanza… ma quindi… lavori per noi? Sei la nostra autista?»
«No, non proprio… Cioè, solo alcuni giorni la settimana.»
«Sei abusiva!»
«No, no, ho una licenza regolare di NCC, noleggio con conducente. Era di mio padre. Ho l’abilitazione… è tutto a posto, ci mancherebbe. Nei giorni in cui lavoro, se dalla banca avete bisogno di me, io ci sono. In genere mi chiamano le ragazze della reception.»
«Ho capito. Il solito magna magna… Non ti chiedo nemmeno da chi sei raccomandata perché preferisco non saperlo… E invece gli altri giorni della settimana cosa fai?»
«Be’, cerco di…»
«Aspetta. Ho una chiamata. Devo rispondere… Pronto? Sì sono io… Certo che puoi chiedere a me. Anzi devi chiedere a me: sono l’ufficio stampa. A chi vuoi chiedere se no? All’autista o alla signora delle pulizie?… Pure tu con ’sta storia?! Non è vero! Sono balle! Scrivilo pure, te lo posso anche dettare: “Banca Sempre non ha ricevuto alcuna offerta. Si tratta di indiscrezioni prive di fondamento, dichiara il portavoce”. Ovvio che puoi citarmi con nome e cognome! Scrivi, scrivi: Federico Gamba. Mi prendo la responsabilità di quel che dico, io. Mica come quei vigliacchi che mettono in giro assurdità per speculare sul titolo. I cinesi non esistono! Non c’è nessuna offerta in corso su di noi: nessuno vuole comprarci. Tranquillo. Scusa ma ho un’altra chiamata in attesa… Pronto? Sì, Gianni, ciao!… No! Lo dicevo prima anche a un tuo collega delle agenzie. Non è vero! Sono stronzate, fantasie! La Liberty Bank of China è un’invenzione di un trader che non aveva niente di meglio da fare che scassare le palle a noi! Adesso, prima che apra il mercato, chiamo la Consob così la facciamo finita con queste voci. E magari chi le ha messe in circolazione si becca anche una bella multa e la prossima volta ci pensa cento volte prima di fare il brillante. A presto Gianni, ciao.»
Riattaccò sbuffando.
«Che lavoro di merda. E che gente di merda c’è in giro. Se rinasco mi faccio furbo e mi prendo anch’io una licenza di autista. Come l’hai chiamata? Ah, già, NCC. Tu guidi, nessuno che ti viene a rompere i coglioni… Un amico in banca che ti garantisce le corse… Comoda la vita!»
«Vola con Alitalia?»
«Sì, ma lasciami pure qui. Vado a piedi. Non sono mica handicappato, eh? Pirla magari sì, handicappato non ancora… Di nuovo ’sto telefono! Pronto? Sì, sono Gamba. Se vuoi sapere dei cinesi, leggi le agenzie. Non ho più voglia di ripetere la stessa tiritera all’infinito. Giuro che quando becco il bastardo che ha messo in giro questa voce me lo mangio.»
Nina aspettò che si allontanasse e, appena lo vide scomparire oltre le porte scorrevoli dell’area partenze, colpì il volante con un pugno. «’Fanculo tutti!» sibilò. Inspirò, espirò e ripartì. Non poteva farsi rovinare la giornata da un estraneo qualsiasi. Doveva stare tranquilla, godersi il bello di quello strano lavoro che mai avrebbe immaginato per sé, e farsi scivolare addosso la stupidità, l’arroganza e la maleducazione altrui.
«Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile.» Era una frase che aveva letto insieme a Davide, qualche anno prima, in una storia per bambini, e che le era rimasta impressa.
Stronzate buoniste. Aveva passato anni a inseguire la gentilezza e a furia di sorridere e arretrare, era caduta nel burrone da cui adesso stava faticosamente cercando di risalire.
Aveva rilevato la licenza di suo padre da qualche mese, quando era stato evidente che non era più in grado di guidare. Era stato lui stesso a proporglielo. Non subito però. All’inizio aveva fatto finta di niente. Aveva cominciato a dimenticarsi le vie, lui che non aveva mai avuto bisogno del navigatore «perché sta tutto qua, nel cerrone!» diceva con quella sua cadenza pugliese impermeabile al mezzo secolo trascorso a Milano, battendosi la testa con il palmo della mano. I passeggeri, i primi tempi, non se ne accorgevano o non ci facevano caso, lui provava a riderci su. Un giorno però stava portando in via Senato il dottor Maccarini, un cardiologo, cliente abituale. E improvvisamente il buio. «Signor Nicola, cosa le succede? Via Senato, dove c’è il mio studio! Ci andiamo sempre. Sulla circonvallazione interna! È sicuro di stare bene? Le è già capitato in passato di scordare le strade o è la prima volta?» Lui non rispondeva, guardava il vuoto davanti a sé. Era disorientato e aveva paura. Il medico lo volle visitare: il cuore era perfetto ma gli consigliò di andare da un suo collega, un neurologo «perché magari non è nulla ma episodi del genere non vanno mai trascurati».
«Ecco, lo ha detto anche il dottore, non è nulla» si era ripetuto Nicola per varie settimane.
Poi, una domenica mattina, Nina ricevette una telefonata. «Devi venire, tuo padre ti vuole. Io te lo dico, Antonia: non lo so mica quanto ci resisto ancora con lui che fa il matto. Sostiene che gli ho nascosto il suo DVD sui bonobo. Ti sembra normale? Come se a me mi interessassero le sue scimmie del cavolo.» Sua madre era la sola a chiamarla Antonia, il nome della nonna materna.
Quando arrivò, il padre, abitualmente mite, era fuori di sé. «Non è la prima volta che tua madre fa così. Io ho i miei posti e lei tutti me li cambia. Passo il tempo a cercare le mie cose. Mò ha cominciato a mettere le mani pure tra i miei DVD della scienza.» Aveva una passione per i documentari sugli animali e sulle scimmie in particolare. Ogni tanto Nina gliene regalava uno nuovo che guardavano insieme, commentandolo. Quello sui bonobo era con gli altri, sulla mensola. «Hai visto? Lo abbiamo trovato» lo aveva rassicurato la figlia. Ma lui non si dava pace e ripeteva ossessivamente che in casa le cose scomparivano e ricomparivano in continuazione ed era tutta colpa di Benedetta, sua moglie. Poi affondò nella poltrona, le braccia abbandonate sui grandi braccioli, e pianse come un bambino.
Lo portarono dal neurologo. «Demenza senile precoce» fu la diagnosi. «Si guarisce, vero?» aveva chiesto Benedetta. «Vuol dire che ha l’Alzheimer?» aveva domandato Nina. «No, non si guarisce, signora. No, non ha l’Alzheimer, almeno per ora.» Poi il medico si era alzato in piedi e li aveva congedati.
Stavano guardando, per l’ennesima volta, il documentario del “National Geographic” sui bonobo, gli scimpanzé pacifisti che regolano le controversie usando il sesso, quando Nicola propose a Nina di rilevare la licenza di NCC. «L’esame, con la testa che tieni, lo fai a occhi chiusi. Io ti posso insegnare i trucchi del mestiere, i clienti già ce li hai perché ti puoi prendere i miei… E almeno hai un lavoro, figlia mia. Da qualche parte devi ripartire pure tu. Te la vuoi riprendere la tua vita in mano? O no?» Nina si era alzata di scatto dalla poltrona. Aveva lasciato lì Nicola e i bonobo ed era andata sul balconcino a fumarsi una sigaretta. «Fai come vuoi, Ninetta. Fai come vuoi» aveva borbottato il padre.
Quella che Nicola chiamava la “smemoranza” entrò nelle loro vite come un’onda nera: si insinuava nelle conversazioni, nei gesti, nei pensieri, inquinando ogni filo della trama della quotidianità. Ogni tanto, per una breve magia, si ritirava, Nicola tornava perfettamente lucido, sornione, persino autoironico e giocavano a illudersi che fosse tutto un brutto sogno da cui bruscamente e puntualmente si risvegliavano a pezzi.
Fu il perdersi di suo padre che la convinse. Furono l’opposizione di sua madre e di Giovanni, suo fratello, persuasi che non fosse un lavoro adatto a una come lei, troppo fragile, troppo impulsiva, troppo inesperta della vita. O forse fu Davide, suo figlio, che, seppur in modo diverso dal nonno, si stava perdendo pure lui. O forse, a farle dire sì, fu semplicemente l’istinto di sopravvivenza.
Accese la radio, c’era il notiziario e si perse nei suoi pensieri. Non aveva altri clienti quella mattina. Sarebbe passata dal meccanico. La scusa era uno strano rumore dell’auto durante la frenata. A breve sarebbe comunque dovuta andare a sostituire le gomme invernali con quelle estive. Forse avrebbe potuto aspettare allora. La verità era che aveva voglia di vedere Marietto. Quell’uomo aveva la capacità di tranquillizzarla, proprio come suo padre prima della smemoranza.
«E ora passiamo all’Economia. All’apertura di Piazza Affari, Banca Sempre ha guadagnato il ventidue per cento, per poi essere sospesa dalle contrattazioni. Da ieri circolano sul mercato indiscrezioni secondo cui Liberty Bank of China sarebbe in procinto di lanciare un’offerta pubblica d’acquisto sull’istituto. Dopo il recente intervento a gamba tesa degli investitori cinesi nel calcio italiano, è arrivato forse il momento per l’ingresso in forze della superpotenza asiatica nella nostra finanza? Il portavoce della banca ha bollato come “voci prive di fondamento” le indiscrezioni a cui tuttavia la borsa sembra dar credito.»
Ecco di che cosa parlava prima quel tizio. Lo aveva persino citato la radio. Non le era mai capitato di trovarsi nel mezzo di una vera notizia.
Se i cinesi avessero comprato Banca Sempre ci sarebbero state conseguenze anche per lei? Lo ignorava. Era stato Guido a tirarla dentro qualche mese prima. Le aveva detto che sarebbe stato facile, che c’era sempre bisogno di autisti e di macchine che accompagnassero i funzionari dove serviva, che una donna sarebbe piaciuta a tutti, che quel lavoro le avrebbe garantito entrate fisse, sicure, un po’ di serenità. Per ripartire. Lei aveva accettato senza pensare, per necessità, per disperazione, per stanchezza, perché suo padre ne sarebbe stato orgoglioso.
E poi Guido sapeva essere terribilmente convincente e ogni cosa, vista attraverso i suoi occhi, sembrava semplice e inevitabile. Era una vecchia volpe, Guido. Eppure conservava quel candore di fondo, rimasto intatto dagli anni del liceo. Era buono? Non lo aveva mai capito. Però l’aveva sempre aiutata e di questo gli era grata anche se non glielo aveva mai detto.
Da quella sera non si erano più visti: avevano cenato insieme e parlato moltissimo. Guido specialmente. Nina non parlava mai granché. Però alla fine lui aveva mandato tutto in vacca e lei non glielo aveva ancora perdonato. Forse era arrivato il momento di chiamarlo. Magari l’indomani.
«Son le pastiglie dei freni a far ’sto brutto rumore. Van cambiate. Se vuoi te lo faccio adesso. In un’oretta ci sbrighiamo.»
«Posso aspettare. Esco un attimo.»
«Cos’hai, Nina? Non stai bene?»
«No, no. È solo quest’odore fortissimo…»
«Oh bambina! Ancora con questa storia degli odori?! Non fare la principessa ...