Il gigante sepolto
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Il gigante sepolto

  1. 328 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il gigante sepolto

Informazioni su questo libro

Il leggendario re Artú è ormai morto e la pace che ha imposto sulla futura Inghilterra resiste seppur fragile. Nella dimora buia di Axl e Beatrice, tuttavia, non c'è posto per nessuna pace. La coppia di anziani coniugi è afflitta da una sorta di inspiegabile amnesia. A causarla pare essere una strana nebbia che sta contagiando tutto il regno. Axl e Beatrice ricordano di aver avuto un figlio, ma non sanno piú dove si trovi, né che cosa li abbia separati da lui. A dispetto della vecchiaia e dei pericoli devono mettersi in viaggio e scoprire l'origine della nebbia incantata, prima che il ricordo di ciò a cui piú tengono sia perduto per sempre.

Un romanzo doloroso e bellissimo sulla memoria e la colpa. Una storia fantastica che ci indica una strada da seguire per il nostro presente: vivere in armonia con gli altri significa essere capaci di ricordare, ma anche di dimenticare e perdonare.

Traduzione di Susanna Basso.

«Un racconto di straordinarie atmosfere, una storia di travolgente leggibilità da divorare tutta d'un fiato».

«The Guardian»

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
Print ISBN
9788806231644
eBook ISBN
9788858427569

Parte prima

Capitolo primo

A lungo avreste cercato il tratturo serpeggiante o il quieto prato per cui l’Inghilterra sarebbe nel tempo divenuta celebre. Al loro posto, miglia di terra brulla e incolta; qua e là scabri sentieri lungo colli scoscesi o brughiere desolate. Le strade costruite dai romani, in larga parte in rovina o invase dalla vegetazione, spesso si perdevano nel nulla. Gelide nebbie pesavano sui fiumi e gli acquitrini, rendendo un ottimo servigio agli orchi che ancora popolavano la contrada. Gli abitanti della zona – c’era da domandarsi quale disperazione li avesse spinti a stanziarsi in luoghi tanto tetri – dovevano temere molto quelle creature il cui respiro ansante si faceva udire ben prima che le loro sagome deformi emergessero dalla bruma. Ma simili mostri non avrebbero suscitato meraviglia. La gente li avrebbe annoverati tra i rischi quotidiani, e al tempo, erano cosí tante le cose di cui preoccuparsi. Come procacciarsi di che vivere da quella terra avara; come non restare senza legna da ardere; come fermare un morbo che poteva uccidere dieci maiali in un solo giorno e scatenare orrendi sfoghi verdi sul volto dei bambini.
In ogni caso, gli orchi non erano poi tanto malvagi, a patto che non li si andasse a stuzzicare. Occorreva rassegnarsi all’idea che di quando in quando, magari a seguito di un’oscura lite tra le file dei pari, una creatura potesse piombare su un villaggio in preda a una collera tremenda e, incurante di strepiti e turbinare d’armi, massacrare chiunque fosse troppo tardo per scansarsi. O che di quando in quando un orco si portasse via nella nebbia un neonato. Alla gente dell’epoca toccava prendere simili oltraggi con filosofia.
In una di queste contrade, ai margini di un’ampia torbiera e all’ombra di una cresta montuosa, vivevano due vecchi, Axl e Beatrice. Forse non erano questi i loro nomi esatti o completi, ma per comodità noi li chiameremo d’ora in poi cosí. Potrei dire che i coniugi conducevano un’esistenza solitaria, ma al tempo in pochi vivevano «isolati» nel senso che oggi attribuiamo alla parola. Per bisogno di calore o protezione, i villici occupavano luoghi riparati, molti scavati a fondo nelle viscere dei monti e collegati gli uni agli altri da cunicoli sotterranei e anditi coperti. La nostra anziana coppia abitava all’interno di una di queste intricate garenne – «edificio» sarebbe un termine troppo grandioso – insieme a un’altra sessantina di persone. Uscendo dal rifugio e percorrendo un tratto di venti minuti a piedi intorno al colle, avreste raggiunto l’insediamento successivo che ai vostri occhi sarebbe apparso tale e quale al primo. Ma i relativi abitanti avrebbero riconosciuto numerosi dettagli differenti dei quali andare fieri o vergognarsi.
Non ho alcun desiderio di lasciar intendere che allora il territorio britannico fosse grossomodo questo e nient’altro; che mentre altrove nel mondo fiorivano civiltà di formidabile raffinatezza, qui da noi si fosse a stento superata l’Età del Ferro. Se aveste avuto l’agio di vagare per quelle terre in lungo e in largo, vi sarebbe anche potuto capitare di imbattervi in castelli pieni di musica, buon cibo, campioni di eccellenza fisica; o in monasteri abitati da individui immersi nell’apprendimento del sapere. È d’altronde innegabile che anche in sella a un buon cavallo, e favoriti dal clima, avreste potuto cavalcare per giorni senza scorgere mai nel verde, in lontananza, né castello né monastero. Perlopiú avreste incontrato comunità simili a quella che ho appena descritto e, a meno di recare doni di cibo o di vesti, o di essere armati fino ai denti, non avreste potuto contare su un’accoglienza benevola. Mi dispiace offrire quest’immagine del nostro paese al tempo, ma le cose stavano cosí.
Torniamo ora ad Axl e Beatrice. Come ho detto i due vecchi abitavano alle propaggini esterne della garenna cosicché il rifugio loro destinato risultava meno riparato dalla furia degli elementi e godeva assai poco del fuoco acceso nella Sala Grande dove tutti si radunavano la sera. Forse c’era stato un tempo in cui erano vissuti piú vicini al fuoco; un tempo in cui erano vissuti insieme ai figli. L’idea in effetti vagava nei pensieri di Axl quando vegliava nelle ore vuote che precedono l’alba, accanto alla moglie profondamente addormentata; allora gli mordeva il cuore la sensazione di una perdita senza nome che gli impediva il sonno.
E forse per questo quella mattina Axl si era alzato ed era sgattaiolato fuori a sedersi sulla vecchia panca nodosa accanto all’entrata della garenna in attesa delle prime avvisaglie di luce. Era primavera, ma l’aria pungeva ancora, nonostante il mantello di Beatrice, che aveva preso uscendo e nel quale si era avvolto. Poi però i pensieri l’avevano assorbito al punto che, quando si accorse di avere molto freddo, le stelle se n’erano già andate, un bagliore andava dilagando all’orizzonte e dal buio emergevano le prime note del canto degli uccelli.
Axl si rialzò a fatica, pentito di essere rimasto fuori cosí a lungo. Era in buona salute, ma c’era voluto tempo per scrollarsi di dosso l’ultima febbre e non voleva certo che si ripresentasse. Ora sentiva l’umidità salirgli nelle ossa, eppure mentre si voltava per rientrare fu contento perché quella mattina era riuscito a ricordare un certo numero di cose che ormai da un pezzo disertavano la sua memoria. Inoltre era consapevole che presto avrebbe preso una decisione importante – rimandata ormai anche troppo a lungo – e provava un’intima emozione che desiderava dividere con la moglie.
I cunicoli all’interno della garenna erano ancora immersi nella completa oscurità, il che lo costrinse a trovare la strada al tatto per la breve distanza che lo separava dalla porta del suo alloggio. Molti degli usci erano in realtà semplici passaggi ad arco che segnavano la soglia di ciascuna camera. Tale sistemazione disinvolta non sarebbe apparsa agli inquilini lesiva della loro intimità, mentre ne avrebbero apprezzato il vantaggio di permettere la circolazione in tutti i corridoi del calore in arrivo sia dal fuoco centrale della Sala Grande sia da eventuali fuochi piú modesti consentiti dentro la garenna. La stanza di Axl e Beatrice, tuttavia, trovandosi troppo lontana da qualunque fonte di calore, disponeva di una specie di vera e propria porta; una grossa intelaiatura in legno intorno a un fitto intrico di piccoli rami, giunchi e cardi recisi, che ogni volta occorreva sollevare e fare da parte per entrare e uscire, ma che teneva fuori le correnti gelide. Axl avrebbe fatto volentieri a meno della porta mentre per Beatrice era diventata col tempo motivo di un discreto vanto. Gli era spesso capitato, tornando, di sorprendere la moglie intenta a eliminare erbe appassite dall’intreccio per sostituirle con piante fresche raccolte durante la giornata.
Quella mattina Axl spostò la barriera lo stretto necessario per passare, badando a essere il piú silenzioso che poteva. Dentro, le prime luci dell’alba filtravano nella stanza dalle strette fessure del muro esterno. Axl distingueva vagamente la mano davanti a sé e, sul letto di foglie, la sagoma di Beatrice ancora profondamente addormentata sotto lo spesso strato di coltri.
Fu tentato di chiamare sua moglie. Giacché una parte di lui era convinta che se in quel momento Beatrice fosse stata sveglia e gli avesse parlato, anche le ultime barriere che lo separavano dalla sua decisione sarebbero finalmente crollate. Mancava tuttavia ancora del tempo prima che la comunità si destasse e desse inizio al lavoro di quel giorno, perciò Axl sedette su uno sgabello in un angolo della stanza, tenendosi bene avvolto nel mantello di sua moglie.
Si chiese quanto sarebbe stata fitta la nebbia quel mattino e se, col diradarsi del buio, l’avrebbe vista perfino insinuarsi nella stanza attraverso gli interstizi del muro. Ma presto i suoi pensieri abbandonarono quelle riflessioni, per tornare a ciò che lo preoccupava da un po’. Avevano vissuto sempre cosí, soltanto loro due, ai margini della comunità? Oppure un tempo le cose erano state molto diverse? Poco prima, fuori, gli erano balenati in testa alcuni frammenti di un ricordo: per un istante aveva rivisto se stesso attraversare il lungo corridoio centrale della garenna con un braccio intorno alla spalla di un figlio. La sua postura era leggermente curva e non, come adesso, per il peso degli anni, ma semplicemente per evitare di battere la testa contro le travi del cunicolo, nella luce fioca. Forse il bambino gli aveva appena detto qualcosa di divertente e ne stavano ridendo insieme. Ora però, come appena poco fa quand’era fuori, nulla riusciva a depositarsi dentro la sua mente e piú si concentrava, piú vaghi risultavano i frammenti. Forse erano solo fantasticherie di un vecchio rincitrullito. Forse era che Dio non aveva mai dato loro un figlio.
Potreste chiedervi come mai Axl non si rivolgesse ai suoi compaesani perché lo aiutassero a ricordare il passato, ma la questione non era semplice come immaginate. In quella comunità infatti si parlava di rado del passato. Non voglio dire che fosse un argomento tabú. Piuttosto, che era a poco a poco svanito in una nebbia fitta come quella che pesava sopra gli acquitrini. Non c’era l’uso di pensare al passato, tra quella gente, nemmeno se prossimo.
Ecco un esempio che da un po’ turbava i pensieri di Axl. Era sicuro che non molto tempo addietro ci fosse stata tra loro una donna dalla lunga chioma rossa: una donna che aveva svolto un ruolo importante all’interno del villaggio. Ogni volta che qualcuno si feriva o si ammalava, era proprio lei, la donna dai capelli rossi, abilissima nel guarire, che si andava a cercare. Eppure adesso non la si trovava piú e nessuno pareva domandarsi che ne fosse stato, e neppure esprimere rincrescimento per la sua assenza. Quando una mattina Axl aveva sollevato la questione mentre, con tre vicini, lavorava la terra di un campo gelato, la loro reazione gli fece capire che non avevano la minima idea di che cosa stesse dicendo. Uno di loro si era perfino interrotto per cercare di ricordare, ma aveva finito per scuotere la testa. – Deve essere successo tanto tempo fa, – aveva concluso.
– Nemmeno io ricordo questa donna, – gli aveva detto Beatrice quando una sera lui aveva sollevato l’argomento. – Forse l’hai sognata per un tuo bisogno, Axl, anche se hai una moglie qui accanto a te, e con la schiena piú dritta della tua.
L’episodio risaliva all’autunno precedente: erano sdraiati fianco a fianco nel buio pesto della stanza e ascoltavano la pioggia che batteva sul loro riparo.
– È vero, principessa, tu non sei invecchiata affatto in questi anni, – aveva detto Axl. – Ma la donna non l’ho sognata, e la ricorderesti anche tu se ti concentrassi un momento. Soltanto un mese fa era alla nostra porta, un’anima gentile che chiedeva se avessimo bisogno di qualcosa. Non puoi non ricordarla.
– E perché mai voleva portarci qualcosa? Era nostra parente?
– Credo di no, principessa. Voleva solo essere gentile. Non puoi non ricordare. Veniva spesso a chiedere se avevamo freddo o fame.
– E allora ti domando, Axl, per quale ragione avesse scelto proprio noi per essere gentile.
– Al tempo me l’ero domandato anch’io, principessa. Ricordo di aver pensato, questa donna si dedica di solito alla cura dei malati, mentre noi due non siamo meno sani di altri, al villaggio. Che stia correndo voce di una pestilenza nella zona e lei venga a controllarci? Poi però ho scoperto che non c’era nessuna pestilenza e che la donna era solo gentile. Ora che ne parliamo mi tornano in mente altre cose. Ricordo che ci disse di non far caso se i bambini ci svillaneggiavano. Tutto qui. Non la rivedemmo piú da quella volta.
– Non solo questa donna dai capelli rossi te la sei inventata, Axl, ma è anche sciocca se si preoccupa per i giochi di qualche ragazzino.
– Esattamente quel che pensai allora, principessa. Che male possono fare dei bambini che cercano solo di ammazzare il tempo quando fa troppo brutto per uscire. Le dissi che non ci avevamo proprio fatto caso, ma la sua era stata una premura, comunque. E ricordo che la donna disse che le dispiaceva vederci costretti a passare tutta la notte senza una candela.
– Se le facevamo pena senza una candela, – aveva replicato Beatrice, – almeno su una cosa non si sbagliava. È una vergogna che non ci permettano di avere una candela in notti come questa, quando le nostre mani sono ferme quanto le loro. E quando c’è gente che può tenere le candele in camera e ogni sera si riduce fradicia di sidro, o magari ha bambini che scorrazzano come selvaggi. Ma quale candela vengono a sequestrare? La nostra, cosí ora distinguo a malapena la tua ombra, Axl, anche se sei proprio qui al mio fianco.
– Nessuno vuole offenderci, principessa. Si è sempre fatto cosí, niente di piú.
– Beh, non è solo la donna che ti sei sognato a pensare sia strano ci debbano sequestrare la candela. Ieri, o forse l’altro ieri, ero al fiume e mentre passavo accanto alle donne, le ho sentite dire, credendo che fossi troppo lontana, che era una vergogna che una coppia in gamba come noi dovesse stare al buio tutta la notte. Come vedi, non è solo la tua donna dei sogni a pensarla cosí.
– Ti ripeto che non è affatto una donna dei sogni, principessa. Un mese fa qui la conoscevano e ciascuno ne diceva ogni bene. Come mai adesso tutti quanti, te compresa, vi siete scordati della sua esistenza?
Ricordando il discorso quella mattina di primavera, Axl era quasi pronto ad ammettere di essersi sbagliato sulla donna dai capelli rossi. Dopotutto, gli anni per lui stavano passando e gli capitava di sentirsi qualche volta un po’ confuso. Ciò detto, il caso della donna dai capelli rossi non era stato che uno di una serie di analoghi episodi sconcertanti. Purtroppo, al momento non era in grado di annoverarne altri, ma erano numerosi, di questo era sicuro. C’era stato, ad esempio, il caso di Marta.
Marta era una bimbetta sui nove o dieci anni che tutti conoscevano per la sua audacia. I racconti agghiaccianti su quello che poteva capitare ai bambini vagabondi parevano non smorzare affatto la sua voglia di avventura. Perciò la sera in cui, a meno di un’ora dal calar del buio, e quando già scendeva la foschia e si udivano i lupi su per le montagne, si sparse la voce che Marta era sparita, si erano tutti molto spaventati e avevano smesso di fare quello che stavano facendo. Per un po’ si udirono voci chiamare il suo nome intorno alla garenna e passi affrettati lungo i corridoi, mentre gli abitanti del villaggio perlustravano ogni stanza, ogni deposito, ogni anfratto sotto le travi, qualunque nascondiglio in cui un bambino potesse infilarsi per gioco.
Poi, in pieno trambusto, due pastori di ritorno dal loro turno di guardia sulle montagne entrarono nella Sala Grande per andare a scaldarsi accanto al fuoco. Intanto, uno di loro annunciava che il giorno prima aveva visto un’aquila scricciolo volteggiare ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Parte prima
  4. Parte seconda
  5. Parte terza
  6. Parte quarta
  7. Il libro
  8. L’autore
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright