1.
Sono seduto in classe, prima ora, Matematica 1, che ho scelto perché sono pigro. Quelli veramente geniali, e qui ce ne sono parecchi, scelgono Matematica 2, che sarebbe stata una carrettata di lavoro. Ma forse avrei dovuto farlo perché sto qui ad annoiarmi cercando di non dare a vedere che continuo a fissare le tette da sballo di Gina Pappadopolis (è carina anche di faccia, ma se guardi la faccia di qualcuno, se ne accorge piú in fretta), o semplicemente sonnecchio. Il prof traccia diagrammi alla lavagna e bla bla bla, e anche se so benissimo che per entrare al college devo prendere buoni voti con questa roba (cosa che dovrei saper fare a occhi chiusi), purtroppo gli occhi mi si chiudono. Mia madre sta cominciando a rompermi con il college. «Sei al penultimo anno e i voti fanno già media, e sarebbe masochistico da parte tua…» È una psichiatra, mia madre, l’avreste detto? E forse si sente in dovere di rompere in modo che io non pensi che ha smesso di essere mia madre per diventare infermiera a tempo pieno di mio padre, il che mi va bene, che faccia l’infermiera, mio padre ha bisogno di lei.
Come ho detto, son qui seduto a Matematica 1 e dovrei prestare attenzione ma ho la sensazione perversa, per via di mio padre e quant’altro, che non me ne frega un cazzo. È una bellissima giornata, serena e tiepida, e vorrei essere fuori, non qui a guardare downtown Manhattan e neppure le poppe poppose di Gina. (È una tipa in gamba, e piace a tutti, ed è riservata, o almeno a me dà quell’impressione. È anche gentile. Alla Stuy – Stuyvesant High School, questa scuola merdosa di New York che devi fare un test per entrarci ma la pubblicità la fa sembrare meglio di quel che è – Gina ha avviato un programma di tutoraggio, allievi anziani che seguono le matricole). Comunque lei è concentrata sulla lavagna e prende appunti mentre io ho posato la matita.
All’improvviso tutti sentiamo l’edificio vibrare e per un attimo il prof guarda intensamente gli studenti come se fosse colpa loro, e in effetti un paio di ragazzi si guardano e ruotano le pupille come se stavolta avessero esagerato un po’ e allora il prof scuote le spalle e dice: – Cercate di stare attenti, – e continua a scrivere equazioni di secondo grado sulla lavagna. E tutti stanno attenti perché tutti hanno madri che rompono e la maggior parte dei ragazzi della Stuy non ha bisogno di nessuno che rompa.
Credo in effetti di essermi assopito per qualche minuto, perché quando apro gli occhi e guardo dalla finestra vedo qualcosa che non ho mai visto prima. C’è un’enorme palla di fuoco a due terzi della Torre Nord del World Trade Center, fiamme rosse e arancioni che guizzano fuori dall’edificio attraverso una specie di gigantesco buco brulicante, e io penso, cosa diavolo è? Non ho mai visto un grosso incendio cosà da vicino! A pochi isolati di distanza. È stupefacente, spaventoso e bello, e ho voglia di dire a tutti nella classe di venire alla finestra e dare un’occhiata, cosa sta succedendo? Ma non mi decido a interrompere la lezione proprio perché ho una dannata voglia di interromperla. Però non riesco a smettere di guardare quel mostro di fuoco e poi sento le sirene, che si sentono un sacco in città , non è niente di nuovo. Ma questo è un incendio pazzesco, e quell’edificio dev’essere pieno di gente, tutti al lavoro, ci saranno un sacco di feriti, mica è un’installazione artistica. Il fumo comincia a offuscare il cielo azzurrino. Si sentono delle voci nel corridoio, cosa che non succede spesso alla Stuy, e adesso nessuno presta attenzione al prof perché tutti guardano fuori dalla finestra. E allora Mr Lee, il prof, un impassibile giovanotto asiatico (be’, asiatico americano), guarda anche lui fuori dalla finestra. – Cristo santo! – dice. Un uomo solo sull’orlo del grande buco sta sventolando un fazzoletto bianco. Non riesco a vedere la sua faccia ma so che è un uomo, tanto siamo vicini. E io provo una sensazione di nausea perché è evidente che quella gente è intrappolata proprio di fronte a noi e noi non possiamo far nulla. Il prof urla: – Non vi muovete, vado a vedere cosa sta succedendo, – e corre fuori dall’aula. Qualcuno pensa bene di accendere la tv e tutti vediamo il World Trade Center in fiamme sullo schermo e in fiamme fuori dalla finestra, e un cronista annuncia con voce strozzata che un aereo ha colpito la Torre Nord del World Trade Center e poi fanno vedere l’aereo che colpisce la torre. So che non può essere un incidente perché sono stato nella cabina di pilotaggio di un Cessna 172 (io e mio padre abbiamo preso qualche lezione quando avevo tredici anni, prima che si ammalasse, mi piaceva un sacco), perciò so che non vai a sbattere contro il World Trade Center in una bella giornata a meno che tu non voglia farlo, e provo rabbia e spavento. Nel frattempo uno dei collaboratori del preside dice all’altoparlante con voce angosciata che un aereo ha colpito la torre, e di restare calmi. Tutti devono andare alla prossima lezione. E la campanella suona il cambio classe e nessuno si muove e allora nell’edificio in fiamme l’uomo che stava sventolando il fazzoletto bianco smette di sventolarlo. Si arrampica tra le macerie fino all’orlo. E salta. Qualcuno trattiene il fiato. Qualcuno grida. Poi nell’aula si fa silenzio, salvo per la tv. Nessuno si muove. Nel corridoio si sente gente che va e che viene, e un ragazzo in classe dice, Avete visto, avete visto, e nessuno parla. Io non faccio che deglutire. Altri allievi entrano alla spicciolata nell’aula, alcuni ridacchiando e scherzando, e uno di loro dice, Ma ve li immaginate quei negri sbiaditi che si fiondano dentro il World Trade Center? E un altro dice, Dovremmo sganciare l’atomica sulla Mecca. Ma nessuno di quelli di Matematica 1 dice niente, e usciamo in fretta dall’aula, silenziosi come se avessimo commesso un crimine.
Nel corridoio vedo Sam, un mio amico, che preme i tasti del suo cellulare, a dire il vero li prende a pugni, e mi viene in mente che suo padre lavora al World Trade Center e penso che dovrei dire qualcosa. Ma cosa? Una ragazza con cui recitavo in Pippin l’anno scorso, Elena, piange insieme ad altre due ragazze che conosco e ci abbracciamo tutti per un minuto e io dico che ho visto una persona saltare giú dall’edificio e loro dicono cosa, cosa, e nessuno ci crede. Nessuno crede a niente. Mr Lee è nel corridoio, sta tornando di corsa in classe e si ferma e mi tende la mano e ce la stringiamo con grande serietà e io ho voglia di dirgli, ho voglia di raccontare a un adulto di quel tizio che è saltato giú ma non posso dirlo di nuovo e corro alla lezione successiva pensando che avrei dovuto dire qualcosa. Mr Lee è un bravo tipo e io sto cercando di non pensare a quanto doveva bruciare là dentro perché quell’uomo decidesse di saltare per quaranta piani, cinquanta piani, cento piani, invece di aspettare i pompieri. Nemmeno mio padre nella situazione in cui è avrebbe fatto una cosa simile, o almeno io penso che non l’avrebbe fatta, anche se non potrei biasimarlo.
La prossima ora ho Fisica 1, insegnata da un vero idiota, Mr Walsh, e lui dice qualcosa di incredibile su come se usi i vettori posizione puoi calcolare la velocità o la rotta o non so che altro di come l’aeroplano ha colpito l’edificio e poi comincia a tirar giú la veneziana e dice che si fa lezione. Uno degli allievi anziani dice vorrà scherzare, un altro accende la tv e il prof la spegne e un altro ragazzo la riaccende e il prof dice che lo spedisce in presidenza e mentre loro discutono noi sentiamo un rimbombo che non è in tv e le luci nella stanza si abbassano e la tv è disturbata e due ragazzi tirano su la veneziana e un istante dopo c’è un altro incendio grande come il primo e questo qui esce dalla Torre Sud e allora noi guardiamo verso la Torre Nord e vediamo che adesso c’è piú gente alle finestre della Torre Nord. Lassú in alto sulla Torre Nord. Sopra il buco. Sopra l’incendio. In cima all’edificio. Probabilmente dove c’è il ristorante, Windows on the World, un ristorante e nightclub alla moda dove i miei genitori vanno a ballare ogni anno per il loro anniversario. La gente sta in piedi lassú e agita le mani. Sono dipendenti del ristorante? A quest’ora del mattino? Sembra quasi che ci stiano salutando. Uno di noi si mette a ricambiare freneticamente il saluto. Poi una donna salta. Poi un uomo. Un ragazzo spalanca le braccia, e dopo un attimo le lascia ricadere lungo i fianchi. Un altro uomo prende per mano una donna e saltano insieme. Una ragazza comincia a singhiozzare. Un altro uomo salta. Poi un altro. Ogni volta che una persona salta, tutti in classe urlano. E Mr Walsh abbassa la veneziana e non dice niente. Due ragazzi strappano via la veneziana dal muro, che è un gesto di terribile insubordinazione, e di sicuro avranno guai grossi, e io cerco di concentrarmi sui guai che avranno come se ciò fosse reale e le persone che saltano fossero irreali e due mie compagne hanno appoggiato la testa sul banco. Sullo schermo, gli aeroplani continuano a colpire le Torri Gemelle e io mi domando quali altri edifici siano stati colpiti, se tutta New York sia in fiamme, se l’intero paese sia in fiamme. Ma la tv fa vedere soltanto le Torri Gemelle in fiamme. Le vedi molto meglio fuori dalla finestra e alla tv non si riesce a vedere la gente che salta. Sono sempre di piú quelli che guardano la tv e non fuori dalla finestra. Il giornalista parla di terroristi e arabi e alcuni di noi si voltano verso Khalil Rasheem, un ragazzo con la carnagione olivastra e grandi occhi scuri che ha sempre un comportamento molto dignitoso, e adesso tiene la testa alta ma non guarda nessuno e non guarda fuori dalla finestra e nemmeno lo schermo e si nota che i suoi capelli neri sono umidi sulla fronte. Apprendiamo che ci sono in giro sette aerei, solo quattro localizzati, che il Pentagono è stato colpito, la Casa Bianca colpita, e il cronista dice chissà chi sarà il prossimo a essere colpito, l’Empire State Building, il George Washington Bridge. È là che sta mio padre, l’ospedale è sà e no a dieci isolati dal ponte, e allora capisco che devo uscire di lÃ, i miei genitori hanno già abbastanza di cui preoccuparsi senza doversi preoccupare per me, non voglio che mio padre abbia un attacco di cuore. E cerco di farmi prestare un telefono dal compagno che prende a pugni i tasti e gli spiego che mio padre è in ospedale, la sputo fuori questa cosa che non ho detto quasi a nessuno ma ovviamente adesso nessuno mi presta attenzione e dopo un po’ il ragazzo mi dà il telefono e io trovo occupato oppure non c’è campo o niente. Corro fuori e scendo al primo piano dove ci sono quattro telefoni a scheda ma orde di ragazzi stanno cercando di raggiungerli. Uso il cellulare di un altro ragazzo, niente da fare, e allora mi precipito all’uscita del terzo piano che dà su una passerella sopra la West Side Highway. Meglio che esca subito da qui e prenda la metro fino all’ospedale (sempre che la metro funzioni ancora) o forse è meglio andare a piedi. Probabilmente anche mia madre sta andando là , sempre che non sia già là , ma ci sono cosà tanti ragazzi con la stessa idea che il guardiano non lascerà uscire nessuno. Dalle vetrate della passerella si vede la West Side Highway pressoché deserta, non c’è traffico. Di solito auto e camion sfrecciano ininterrottamente in entrambe le direzioni invece adesso ci sono solo ambulanze e auto della polizia che corrono verso sud. Provo a pensare a un’altra via di uscita. Cosà ripercorro al contrario la passerella e rientro nell’edificio della scuola, scendo due piani di scale fino all’ingresso a sud ma c’è un guardiano, anche lÃ, il solito guardiano, George, un nero grande e grosso, che blocca le porte col suo corpo, e sembra anche lui in preda al panico. Mi conosce. Una volta gli ho raccontato qualcosa di mio padre perché anche sua madre è malata, soffre di diabete, le hanno amputato una gamba.
Non si scosta di un millimetro.
Mi dispiace, ragazzo, dice.
E agli altoparlanti un altro collaboratore del preside sta dicendo con voce assurdamente calma di andare verso la sala studio.
Vado nella sala studio. È al pianterreno, e appena ci metto piede la prima cosa che faccio è guardare dalla finestra. Dalla sala studio non si vedono le torri, e capisco che è meglio cosà (mica voglio fare il giornalista o quant’altro), si vede solo la strada. E proprio mentre mi dirigo verso il banco si sente una sorta di spaventoso boato. Tutti guardano sullo schermo la torre che crolla e all’improvviso dalla finestra si vedono detriti cadere dal cielo e la Torre Sud dev’essere crollata come un castello di sabbia, tutta questa roba che svolazza intorno e tutti che si scostano dalla finestra e la visibilità ridotta a zero. Vediamo solo quello che si vede in tv, la Torre Sud che cade, cade, il cronista che ripete istericamente che la torre sta crollando e quell’enorme nuvola di polvere e la Torre Nord tuttora in piedi con dentro quell’orribile incendio. Una sola torre. Come se il mondo avesse perso l’equilibrio. Poi una serie di scoppi e io mi domando se siano le finestre che schizzano via dai muri della scuola. O sono colpi di pistola? E tutti gli studenti si allontanano dalle finestre e si accalcano contro la parete adiacente alla porta. Dopo forse cinque minuti la voce del preside dall’altoparlante dice di dirigerci tutti lentamente verso l’uscita nord dell’edificio, che verrà evacuato. Al momento non siamo in pericolo, ma devono uscire tutti. Non ci vuole un genio per capire che al momento siamo senz’altro in pericolo. Perché se la Torre Nord va giú e non crolla dritta su se stessa come sembra aver fatto la Torre Sud, chissà come cadrà , e se cade inclinandosi verso nord al momento siamo senz’altro in pericolo. Cosà tutti cominciano a uscire dalla stanza e si dirigono verso l’uscita nord. Centinaia di ragazzi. E nessuno corre. Ci sono dei ragazzi ritardati e ragazzi con lesioni cerebrali arrivati anche loro in tutta fretta al pianterreno con le loro sedie a rotelle. (Mi sembra di ricordare che al settimo piano c’è una classe speciale riservata a loro. Come hanno fatto gli insegnanti a portarli giú tutti? Ci sono solo quattro ascensori). Gli insegnanti cercano di portarli fuori ordinatamente e uno di quei ragazzi sulla sua carrozzina ruota le braccia come un mulino a vento e non smette di ridere. Un altro geme dandosi pacche sulle orecchie.
Gli insegnanti continuano a ripeterci di procedere adagio, con calma e ordinatamente, e di non spingere, ma io non vedo nessuno che spinga nessuno, nemmeno i ragazzi ritardati spingono nessuno anche se dopo correrà voce che alcuni insegnanti siano scappati via e che il preside sia scappato via ma io non vedo niente di tutto ciò.
Finalmente raggiungo l’uscita e imbocco il sentiero pedonale lungo l’Hudson, centinaia di ragazzi camminano svelti in direzione nord, e alcuni hanno una macchina fotografica e fotografano gli amici con alle spalle il World Trade Center che brucia e un ragazzo, Jake, che frequenta con me il corso di storia americana mi chiede se voglio essere fotografato anch’io e gli dico di no. Un paio di persone ascoltano radioline portatili e riferiscono agli altri quello che hanno sentito. «Non si riesce a trovare il presidente, o il vicepresidente. Si sono nascosti». E qualcuno dice quel coglione di Bush, avrebbe dovuto andare a nascondersi fin da quando la Corte suprema ha negato i brogli con cui è stato eletto. E qualcuno replica «Comunista!» Ma la cosa si chiude lÃ. Poi tutt’a un tratto accanto a me c’è Gina Pappadopolis, camminiamo appaiati e io non so come succede ma all’improvviso ci teniamo per mano molto stretti senza guardarci e continuiamo a camminare insieme di buon passo verso nord. Io quasi vorrei rallentare al pensiero che questa ragazza mi tiene la mano, cosa che non avrebbe mai fatto se il mondo non stesse per finire, e io voglio che finisca il piú lentamente possibile e temo che la mia mano sia sudata. Tutto ha dell’incredibile. Ci sono uomini e donne d’affari (insomma, gente in tiro) che corre, corre v...