Lealtà
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Lealtà

  1. 208 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Lealtà è uno straordinario romanzo sul potere, sulla natura del desiderio, sul bisogno contemporaneo di trovare un nuovo linguaggio per le relazioni umane. E Giulia, la protagonista, è un personaggio forte, con una vena di malinconia, che seduce pagina dopo pagina. «Gli esseri umani amano pensare che le loro decisioni, corrette o no, riflettano una coerenza interna. Una personalità, una persona. Un significato. Non c'è nulla che l'essere umano detesti di piú dell'assenza di significato. Eppure succede spesso di essere vuoti, e la fatica di tenere duro si accumula, la tensione ogni tanto lascia spazio al pianto e al gelo. In questo caso innamorarsi può essere utile». Il desiderio non si impara e non è prevedibile. Esplode, crolla o si consolida seguendo percorsi caotici, come i mercati finanziari. Eppure contiene la nostra storia. Questa, almeno, è l'esperienza di Giulia, trentaduenne che lavora a Londra in una banca d'affari, un luogo fondato su regole quasi religiose dove lei si muove lontana dalla felicità ma non a disagio. Il contesto in cui vive è particolare: molto denaro, pochissimo tempo libero, rapporti che, fatta eccezione per il sesso, mirano soprattutto al mantenimento della reputazione. Un ecosistema privilegiato che il resto della società, estranea ai grattacieli di Canary Wharf, il grande centro direzionale sulle rive del Tamigi, guarda con sospetto. In quello stesso mondo, prima del suo arrivo, conduceva la propria esistenza anche Michele, un uomo sposato verso cui al tempo dell'università, a Milano, lei aveva sviluppato un'ossessione sentimentale ed erotica. Michele si è licenziato, il motivo reale nessuno lo conosce, ma in qualche modo nella sua scelta c'entra Seamus, il brillante capo di Giulia, che in un mattino speciale, dalla colorazione esasperata e incerta, pronuncia il suo nome. L'effetto è quello di un vaso che si apre. In maniera compulsiva Giulia si trova a ripercorrere una vicenda che credeva sepolta, a indagare la dimensione emotiva del dolore e dell'amore, la loro origine genetica. A interrogarsi sulla fragilità che, al di là delle differenze, al di là delle generazioni e delle consuetudini, ci riguarda tutti in quanto esseri umani.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
Print ISBN
9788806232610
eBook ISBN
9788858427804
1.

L’educazione degli animali

Il desiderio non si impara. Ognuno tira fuori quello che ha. Non tutto insieme, non con un ritmo regolare. Il desiderio esce da noi a caso, a tratti, magari in occasioni poco spettacolari. Basta un niente. Da quel momento sappiamo la verità: vogliamo certe cose e non altre.
Da bambina, forse per via di una pubblicità o di un video musicale, pensavo che per gli esseri umani il massimo della felicità fosse correre sulla spiaggia mano nella mano con qualcuno, oppure su un prato sotto un cielo azzurro, indossando un abito bianco che, nella perfezione della scena, neppure si sporca. Non mi sembravano immagini brutte, ma non capivo come potessero essere interessanti. Oggi so che le persone coltivano l’ambiguità: le esitazioni, le piccole violenze fanno parte del divertimento; e cosí le spinte esercitate, la forza, la volubilità; l’imperfezione, la macchia; il dolore che talvolta amplifica il piacere. Sogniamo un meccanismo che ci scomponga, un meccanismo umano: un corpo, una mente. Una persona che ci osservi e al tempo stesso si lasci osservare. Una relazione.
Mesi fa Seamus mi disse:
– A te, almeno, restano gli uomini.
Lo disse cosí, posando il bicchiere di carta con il cappuccino, la parola «uomini» sospesa nell’aria. Erano le dieci, forse le undici di mattina. Il bar era vuoto. Non ricordo che tempo facesse, l’estate era appena cominciata, il cielo era mutevole, un cielo che non si poteva memorizzare. So che sentivo freddo, non portavo le calze; avevo la pelle d’oca sulle gambe.
Venivamo da nottate molto diverse, la mia l’avevo trascorsa nel piccolo appartamento dove vivevo, dormendo tanto, lui invece aveva vegliato senza interruzioni: ore intere con gli occhi sgranati di fronte alla tivú, nel salotto della sua casa silenziosa, il viso illuminato dalla luce inquieta dello schermo. Esposto alle notizie. Questo poteva spiegare i nostri atteggiamenti, da un lato la mia calma sorridente, all’apparenza imperturbabile, dall’altro la sua frase fuori luogo, quasi una confessione di cui poi vergognarsi. Aveva parlato come quei messaggi che inviamo di notte, digitandoli nel buio, per pentircene il giorno dopo.
Seamus era il mio capo da alcuni anni. Il Capo Meraviglioso, lo chiamavano. In realtà era pieno di difetti, ma il modo in cui proteggeva i suoi sottoposti bastava a risvegliare forme d’affetto, anche se un po’ artificiali.
Con lui avevo rapporti formali e schietti al tempo stesso. Non usavamo troppi giri di parole. Però non credo che fino ad allora il termine «uomini», inteso come riassunto di una vita sessuale, fosse comparso nelle nostre conversazioni, che non andavano mai oltre gli argomenti professionali. Ma quel giorno tutto era diverso. Il mondo mostrava una colorazione nuova, esasperata e incerta. La tragedia politico-economica, secondo alcuni, la grande liberazione, secondo altri.
Su quest’ultimo punto si poteva litigare parecchio. Molti, anzi, lo stavano facendo proprio in quel momento, persone vicine e lontane, persone travolte dagli eventi e piene di energia da spendere, persone che non c’entravano nulla ma che ritenevano di essersi fatte un’idea precisa, persone stanche che cercavano un posto nel mondo, schierandosi da qualche parte. Persone come tutti, insomma. Mentre ero seduta in quel bar, con i capelli in ordine, il tailleur blu, le scarpe col tacco, le gambe nude e la camicetta azzurra, mentre ero questo al tempo stesso ero anche altro, cioè esistevo dentro possibili catene di messaggi, di status e di commenti ai siti delle notizie. Mi sarebbe bastato prendere il telefono e intervenire per essere d’improvviso occupata a discutere con il resto del mondo in modo forsennato, fino alla consumazione dei secoli.
– In che senso a me restano gli uomini?
La domanda mi uscí a mezza voce, il risultato di una timidezza, e la cosa mi diede fastidio. Provai a correggere il tono.
– Che commento è?
Seamus bevve due sorsi del suo cappuccino.
– Non me l’aspettavo, – disse. – Stanotte, guardando i risultati, ho cominciato a ridere. Sapevamo che poteva succedere, però nessuno lo pensava sul serio.
Di colpo sembrava vulnerabile, sincero, ma quello che notai fu la facilità con cui aveva evitato di rispondermi.
Perché a me, almeno, restavano gli uomini? Cosa significava? Soprattutto, cosa c’entrava? Forse intendeva dire che al di là degli sconvolgimenti internazionali esiste sempre la possibilità di rifugiarsi nel sesso, sublimando l’indignazione. Ma in tal caso, a lui non restavano forse le donne?
Mi aveva telefonato che ero ancora a letto. Non avevo sentito la sveglia, era tardi, vedendo il suo nome sul telefono avevo pensato di essermi dimenticata un appuntamento, eppure ero sicura di non avere niente di importante. Da una settimana ero sempre in ufficio fino alle due, alle tre di notte. Quella mattina, sapendo di potermelo permettere, avevo deciso di fare tardi. Poi la telefonata di Seamus.
– Giulia, cazzo. Hai visto?
Avevo aperto al volo Bloomberg.
– Quando arrivi? – aveva proseguito. – Ho bisogno di vedere una faccia che non mi dia fastidio. Se no finisce che picchio qualcuno.
Ed eccomi, dunque, seduta di fronte a lui in un bar triste. Ecco la frase sugli uomini. Ma quelle parole iniziali erano già state riassorbite, Seamus le aveva fatte scomparire.
– Bisognerà studiare la situazione, – dissi, – arriveranno le opinioni degli analisti.
– Per favore, non tirare fuori banalità, non ti ho chiamata per questo. Voglio sentire una cosa intelligente, cosí passo il resto della giornata a ripeterla a tutti.
– Ma ci devo pensare, non ho un’idea. Ho sottovalutato la questione.
– Michele una volta mi ha detto che sei molto sveglia.
Sotto il tavolo mi tolsi una scarpa. Tolsi anche l’altra.
– Michele?
– Sí, Michele. Su, dài. Lui.
Non avevo idea che Michele gli avesse parlato di me. Ero sempre stata convinta che di me e Michele nessuno sapesse niente. Rimisi le scarpe.
– Mi fa piacere che ti abbia detto che sono sveglia. Ringrazialo.
– Mi ha detto anche altre cose. Non brutte, solo un po’ strane. Cose che avete fatto. Certo lui è una persona di grande valore. Peccato abbia lasciato.
– Non ha lasciato. Vi siete scannati e hai vinto tu. È diverso.
Non so perché mi scappò una frase del genere: in fondo non ero nemmeno sicura che fosse la verità, eppure portavo dentro questa immagine di lotta fra loro due. Alle cose che Michele gli aveva raccontato di me preferii non pensare.
Seamus prese la penna dal taschino e disegnò alcune facce stilizzate sul tovagliolo di carta.
– Non ho voglia di salire su, – disse. – Parliamo cinque minuti di cose rilassanti. Mi piace molto quella ragazza famosa, quella star di Instagram.
– Quale?
– Ventenne, mora, tettona. Cognome strano. Si fa i selfie indossando dei pantaloncini cortissimi. Spesso mostra il didietro.
– I pantaloncini vanno di moda quest’anno. Li usano tante ragazze famose.
Ormai suonavamo forzati, stavamo tornando alla normalità. Ci mettemmo a controllare il telefono. Andammo avanti cosí per qualche minuto, in silenzio. Io leggevo i giornali online, provavo a interessarmi alla complessità del momento storico, ma dentro di me avrei solo voluto fare un bel discorso a Seamus. Un discorso sulla realtà del desiderio. Le misure, gli abiti, gli atteggiamenti, i pantaloncini, niente di questo si avvicina alla realtà del desiderio. La realtà del desiderio non si può fotografare. E se anche riuscissimo a fotografarla, sarebbe del tutto impubblicabile.
La sera tornai a casa presto, verso le otto. Nei notiziari parlavano solo dell’argomento del giorno; qualcuno stava facendo un discorso in cui la parola «democrazia» compariva piú di una volta, pronunciata con trasporto e una punta di tetraggine. Abbassai il volume e andai in camera. Mi spogliai e provai dei pantaloncini che avevo in fondo all’armadio. Andavano ancora bene, anche se guardandomi allo specchio pensai che trentadue anni non è piú l’età dei pantaloncini, indossarli richiede un certo sforzo, un impegno, una volontà di sfida; la naturalezza è scomparsa, al suo posto c’è un odio nuovo per le ginocchia in mostra.
Tirai fuori altri abiti estivi che tenevo da parte per le vacanze al mare. Capii che avrei potuto buttarli senza pentirmene. Invece li rimisi a posto, con cura.
Nell’armadio c’era anche una scatola di cartone, l’appoggiai sul letto. Conteneva molti fogli scritti a mano e una busta gialla. Misi da parte la busta e cominciai a leggere le pagine. Sapevo di cosa parlavano, ma la grafia ogni volta mi stupiva, era la mia e la sentivo come estranea.
Due mesi dopo la fine della mia storia con Michele, avevo ventidue anni, buttai giú una specie di riflessione. Una cosa poco seria, un gioco, quasi. In quel periodo studiavo Economia a Milano e avevo parecchio da fare, però trovavo il tempo di vivere e di pensarci su. Non mi piaceva fantasticare né volevo procurarmi del male apposta, quindi il mio scritto assunse, per forza, un tono goffo e scientifico. Il tono della giovinezza. Eppure m’interessavano le emozioni: il fatto che alcune persone trascorressero molto tempo a preoccuparsi di cose piuttosto piccole e dolorose, consumandosi piano piano; il fatto che fra queste persone ci fossi anche io.
Avevo letto in un libro che l’intera esistenza si basa su due pilastri: amare e invecchiare. Era una buona sintesi, chiara, semplice, sebbene non includesse, almeno non in modo esplicito, la realizzazione di quello che ancora oggi si chiama sogno borghese: casa grande, soldi giusti, bambino bello. Il sogno borghese nel senso di ciò che dà risposte plausibili.
Il mio scritto s’intitolava Voglio imparare dagli animali. In quel periodo mi capitava di riflettere su argomenti disparati, che però avevano un elemento in comune: mi ricordavano Michele. L’educazione degli animali era un argomento di questo tipo.
Partivo dicendo che farsi educare non deve essere molto gradevole per un animale. Non è bello, anche se in certi casi si ottengono dei risultati: gli animali imparano alcune regole, iniziano a comportarsi come vogliono le persone, talvolta arrivano a eseguire degli ordini complessi che li umanizzano. In tal caso si dice che gli animali sono ammaestrati: ammaestrati è persino piú che educati.
L’ammaestramento tuttavia non avviene solo fra specie diverse, riguarda anche gli esseri umani. Ci sono persone che s’incontrano e sanno subito cosa vogliono l’una dall’altra. Questo accade di rado, però, non soltanto nel campo degli affetti, ma pure negli affari commerciali. Spesso le persone sono sfasate, non vogliono le stesse cose. Non capiscono cosa stia dicendo l’altro, perciò devono trovare il modo di ammaestrarsi reciprocamente. Allora l’ammaestramento prende la forma, in apparenza distaccata, di una negoziazione.
Trovarsi in una relazione è come essere sia prigionieri sia guardie. In qualità di prigionieri abbiamo due possibilità. La prima è impazzire, gridare, cercare di fuggire e condannarci a una brutta fine. La seconda è provare a capire cosa ci stanno chiedendo, cosa vogliono da noi, sempre che vogliano qualcosa. Magari c’è un modo di accontentare le guardie, per esempio adattandosi al loro linguaggio. Si può pensare a una situazione amorosa in cui una persona voglia dire all’altra «Ti amo», ma l’altra persona non voglia sentire queste parole. Esistono individui cosí: non vogliono che si dicano certe frasi, s’imbarazzano, s’innervosiscono. Il bravo animale ammaestrato capirà subito come comportarsi e imparerà a stare zitto.
Però, si è detto, nella relazione siamo anche guardie. Se come prigionieri dobbiamo adattarci a non dire «Ti amo», come guardie possiamo ripeterlo quanto ci pare, possiamo importunare l’altro con insistenza, rinchiuderlo nella gabbia della nostra miseria e da fuori cantargli serenate. Oppure possiamo decidere di non dire piú niente di bello, smettendo all’improvviso e senza spiegazioni. L’altro ci chiede: «Per favore, non urlarmi ti amo ogni minuto». Noi rispondiamo: «Ah sí? Allora da questo momento non ti dirò mai piú una parola». O tutto o niente. Perché sí, perché ci va. Perché riteniamo di avere accesso alle motivazioni superiori per cui le cose si fanno in un certo modo.
Il mio scritto si concludeva cosí:
Nei rapporti con gli altri siamo sia imprigionati sia imprigionanti. Di conseguenza c’è confusione, è difficile fare chiarezza. È difficile cambiare ruolo ricordandosi, nel frattempo, che l’idea iniziale era quella di entrare in contatto, di avvicinarsi a un essere umano, per capire chi è. Un’idea troppo nobile e dunque impraticabile, infatti presto la dimentichiamo: siamo impegnati a districarci fra il personaggio di guardia e quello di prigioniero, siamo presi dal capire cosa stiamo facendo e dicendo in un certo momento, poi bisogna scegliere cosa fare e dire nel momento successivo, e come, e cosí via. C’è molto lavoro di pianificazione, insomma.
Il risultato finale delle relazioni umane è un affaticamento.
Posai le pagine scritte e aprii la busta gialla, provando una sensazione di ritualità. Vidi le foto, tante. Le conoscevo bene. Foto che mi ritraevano nuda. Di spalle, in piedi, sdraiata, pronta, incline allo spettacolo. Spesso sorridente. E invitante nello sguardo, il tipo di sguardo che si stenta a credere di avere mai avuto. Purtr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Lealtà
  4. 1. L’educazione degli animali
  5. 2. Canary Wharf
  6. 3. Oscurità, irrazionalità, euforia
  7. 4. È bello sposarsi d’autunno?
  8. 5. La materia di cui sono fatti i mercati
  9. 6. Lungofiume e quadri coi papaveri
  10. 7. È l’amore
  11. 8. Cosa si dice veramente in Italia?
  12. 9. Il potere della piacevolezza
  13. 10. La vita passa e io non ballo
  14. 11. Un caso estremo di persistenza della memoria
  15. 12. Tutti gli uomini di Smiley
  16. 13. Le familiarità dell’amore romantico
  17. 14. Un nano da giardino a forma di Marx
  18. 15. Piccole mani
  19. 16. Super Saturday
  20. 17. Un deserto è un’ossessione
  21. 18. L’epoca dei racconti
  22. 19. Il Gioco dell’Oca della Disperazione
  23. 20. Vessazioni
  24. 21. L’amore è una debolezza dei nervi
  25. 22. L’eminenza grigia
  26. 23. Una cristallizzazione
  27. Il libro
  28. L’autrice
  29. Copyright