
- 632 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
L'intruso
Informazioni su questo libro
«Una prosa incandescente».
Stephen King
«Tana French non delude mai»
Ian Rankin
«Tana French ispira nei suoi lettori una devozione quasi religiosa»
The New Yorker
«È sempre piú chiaro che Tana French, americana di nascita e ora di stanza a Dublino, è l'autore di crime piú interessante e piú importante emerso negli ultimi dieci anni».
The Washington Post
2° su The New York Times
3° sul Los Angeles Times
1° su Der Spiegel
I detective Antoinette Conway e Stephen Moran non sono popolari alla Omicidi di Dublino: nessuno perdona a Antoinette di essere una donna e a Moran di essere suo alleato. È per questo che a loro toccano solo le rogne e la routine di cui nessuno vuole occuparsi, come sembra essere l'assassinio di Aislinn Murray. L'hanno ritrovata in casa, riversa accanto a un tavolo apparecchiato per una cena romantica. All'apparenza, il classico litigio tra innamorati finito in tragedia. Ogni indizio incastra il ragazzo della vittima, ma Conway non è convinta, e resiste alle pressioni di chi vorrebbe chiudere l'incartamento in fretta. Troppe interferenze, troppe ombre nella vicenda. E quando inizia a indagare sul serio, quello che doveva essere un caso scontato prende una piega inattesa. È solo paranoia oppure, sotto la superficie scintillante, l'unità di punta della polizia nasconde qualcosa?
«Una meraviglia, puro piacere, un poliziesco dal gran ritmo, ma pieno di sfumature...French pensa e architetta trame come pochi altri».
Los Angeles Times
«Un romanzo che non lascia scampo da una autrice che è una fuoriclasse».
The Independent
«Una lettura eccitante e coinvolgente regalataci da una delle migliori scrittrici di thriller del momento».
The Guardian
Stephen King
«Tana French non delude mai»
Ian Rankin
«Tana French ispira nei suoi lettori una devozione quasi religiosa»
The New Yorker
«È sempre piú chiaro che Tana French, americana di nascita e ora di stanza a Dublino, è l'autore di crime piú interessante e piú importante emerso negli ultimi dieci anni».
The Washington Post
2° su The New York Times
3° sul Los Angeles Times
1° su Der Spiegel
I detective Antoinette Conway e Stephen Moran non sono popolari alla Omicidi di Dublino: nessuno perdona a Antoinette di essere una donna e a Moran di essere suo alleato. È per questo che a loro toccano solo le rogne e la routine di cui nessuno vuole occuparsi, come sembra essere l'assassinio di Aislinn Murray. L'hanno ritrovata in casa, riversa accanto a un tavolo apparecchiato per una cena romantica. All'apparenza, il classico litigio tra innamorati finito in tragedia. Ogni indizio incastra il ragazzo della vittima, ma Conway non è convinta, e resiste alle pressioni di chi vorrebbe chiudere l'incartamento in fretta. Troppe interferenze, troppe ombre nella vicenda. E quando inizia a indagare sul serio, quello che doveva essere un caso scontato prende una piega inattesa. È solo paranoia oppure, sotto la superficie scintillante, l'unità di punta della polizia nasconde qualcosa?
«Una meraviglia, puro piacere, un poliziesco dal gran ritmo, ma pieno di sfumature...French pensa e architetta trame come pochi altri».
Los Angeles Times
«Un romanzo che non lascia scampo da una autrice che è una fuoriclasse».
The Independent
«Una lettura eccitante e coinvolgente regalataci da una delle migliori scrittrici di thriller del momento».
The Guardian
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Informazioni
Print ISBN
9788806234133eBook ISBN
97888584279101.
Il caso entra, cioè arriva nelle nostre mani, in un’alba di gennaio gelida e coperta, di quelle che ti fanno pensare che il sole non riuscirà mai a sollevarsi sopra l’orizzonte. Io e il mio partner stiamo finendo un turno di notte: una secchiata di noia e una di stupidità , che credevo non esistessero nella squadra Omicidi, il tutto sepolto sotto una valanga di scartoffie da compilare. Due deficienti decidono di concludere il loro sabato sera ballando sopra la testa di un altro deficiente, per ragioni che non sono chiare a nessuno, nemmeno a loro. Troviamo sei testimoni, tutti ubriachi persi, tutti con una storia diversa da quella degli altri cinque. E tutti con l’idea fissa che noi dobbiamo scordarci l’omicidio e indagare sul perché loro sono stati buttati fuori dal pub / lasciati dalla ragazza / fregati da uno spacciatore. Quando il testimone numero sei mi ordina di scoprire come mai gli hanno sospeso il sussidio di disoccupazione, sto per spiegargli che non ha diritto al sussidio perché è troppo stupido per qualificarsi legalmente come essere umano. Dopodiché, li avrei sbattuti in strada tutti e sei a calci nel culo. Ma il mio partner se la cava meglio di me con la pazienza, il che è uno dei motivi per cui lavoro con lui. Alla fine riusciamo a ottenere quattro dichiarazioni che non solo collimano tra loro, ma anche con le prove. Quindi ora possiamo imputare l’omicidio a uno dei due deficienti e l’aggressione all’altro, il che significa che abbiamo salvato il mondo dal male, in qualche modo che non me ne frega molto di approfondire.
Abbiamo formalizzato la denuncia contro i due colpevoli e siamo intenti a battere i nostri rapporti, in modo che siano già belli e ordinati sulla scrivania del capo quando arriverà in ufficio. Di fronte a me, Steve fischietta, un’abitudine che di solito mi fa venire voglia di menare le mani. Ma il mio collega è decisamente bravo con quella vecchia melodia tradizionale, mi ricorda le filastrocche che cantavo da bambina, un fischiettare basso, assente e sereno, che si interrompe nei momenti in cui è necessaria una maggior concentrazione e torna con trilli e infiorettature quando il rapporto riprende a scorrere come si deve.
Steve, il sussurro ronzante dei computer, il vento invernale fuori dalle finestre, il silenzio. La Omicidi si trova all’interno del Dublin Castle, nel pieno centro della città , ma il nostro edificio è separato dalle meraviglie che i turisti vengono a visitare, e abbiamo muri spessi; persino il traffico del mattino presto su Dame Street ci arriva solo come un morbido e innocuo rumore di fondo. I mucchi di carte e fotografie e appunti scarabocchiati sulle varie scrivanie si stanno caricando di energia, sono azioni che aspettano di accadere. Fuori dalle alte finestre schermate dalle tende, la notte si assottiglia e compare un grigio freddo; lo stanzone odora di caffè e termosifoni caldi. A quell’ora, sorvolando su tutti i motivi per cui il turno di notte fa schifo, posso quasi dire di amare la sala detective.
Io e Steve conosciamo tutte le ragioni ufficiali per cui ci toccano spesso i turni di notte. Siamo entrambi single, niente moglie o marito o bambini che ci aspettano a casa; siamo i piú giovani della squadra e reggiamo la fatica meglio di quelli che sono già vicini alla pensione; siamo gli ultimi arrivati – anch’io, nonostante sia qui da due anni – perciò il concetto è: fatevi la vostra gavetta, stronzi. Che poi è quello che facciamo. Questo non è il lavoro in divisa, dove se il tuo capo è brutto e cattivo puoi fare richiesta di trasferimento. Non c’è un’altra squadra Omicidi dove farsi trasferire; c’è questa, unica e sola. Se vuoi lavorarci, e lo vogliamo tutti e due, ti becchi quello che ti arriva.
Alcuni lavorano davvero nella squadra Omicidi che io sognavo quando ho scelto la mia professione: quella dove passi la giornata giocando partite mentali contro geni psicopatici, sapendo che basta un battito di ciglia al momento sbagliato per fare la differenza tra la vittoria e un altro cadavere. Io e Steve possiamo solo allungare il collo per vederli, gli psicopatici, quando gli altri della squadra li accompagnano oltre la saletta interrogatori, dove noi ci stiamo rompendo la testa su un altro Coniuge dell’Anno, uno dei tanti che ci tocca interrogare per via della serie infinita di omicidi domestici di cui dobbiamo occuparci. Il capo ce li affida apposta, perché sa che li odio. I due deficienti del balletto sulla testa dell’altro perlomeno sono stati una boccata d’aria fresca.
Steve clicca «Stampa» e la stampante nell’angolo comincia il suo ticchettio asmatico.
– Tu hai finito? – chiede.
– Quasi –. Sto controllando eventuali refusi nel rapporto. Non voglio dare al capo nessuna scusa per rompermi le scatole.
Il mio collega intreccia le dita sopra la testa e si stira all’indietro, facendo cigolare la sedia. – Una pinta? I pub piú mattinieri stanno già aprendo.
– Stai scherzando, vero?
– Per festeggiare.
Steve se la cava meglio di me anche con il pensiero positivo. L’occhiata che gli lancio intende spegnere in boccio le sue speranze. – Festeggiare cosa?
Lui sorride. Steve ha trentatre anni, uno piú di me, ma sembra piú giovane. Forse è il fisico da adolescente, gambe lunghe e spalle strette, forse sono i capelli arancioni che si drizzano nei punti sbagliati; o forse è quella sua implacabile allegria. – Li abbiamo presi, quei due, non l’hai notato?
– Li avrebbe presi anche tua nonna, quei due.
– Probabile. E dopo sarebbe andata a farsi una pinta.
– Era un’alcolizzata?
– Di alto livello. Io mi sto solo sforzando di essere all’altezza dei suoi standard –. Va alla stampante e comincia a sfogliare pagine. – Dà i, andiamo.
– No, grazie. Un’altra volta –. Proprio non ce la faccio. Voglio andare a casa, andare a correre, ficcare qualcosa nel microonde e friggermi il cervello guardando qualche programma di merda alla tivú. E poi dormire un po’, prima di dover ricominciare tutto daccapo.
La porta si apre di scatto e O’Kelly, il nostro sovrintendente, mette dentro la testa, come al solito, per vedere se riesce a beccare qualcuno che dorme. Al mattino arriva sempre tutto rosa e tirato a lucido, odoroso di doccia e fritture varie, ogni singolo capello del riportino al suo posto. Non ho prove che lo faccia per girare il coltello nella piaga degli stanchi bastardi che puzzano di turno di notte e di ciambelle stantie, ma sarebbe in linea con il personaggio. Stamattina almeno ha un’aria sbattuta: borse sotto gli occhi, macchie di tè sulla camicia. Con questa immagine, mi sa che ho già esaurito la mia quota di soddisfazione per la giornata.
– Moran, Conway, – dice, fissandoci con diffidenza. – È arrivato qualcosa di buono?
– Una rissa in strada, – rispondo. – Una vittima –. Lasciamo perdere l’azzeramento della vita sociale: il vero motivo per cui tutti odiano il turno di notte è che non arriva mai nulla di buono. Gli omicidi di alto profilo, con storie complesse e moventi affascinanti possono verificarsi di notte, a volte, ma vengono scoperti al mattino. Gli unici omicidi che vengono segnalati di notte, sono quelli commessi da stronzi ubriachi il cui movente è che sono degli stronzi ubriachi. – Le consegneremo i rapporti tra un attimo.
– Cosà vi siete tenuti occupati. Avete risolto?
– Grosso modo. Stasera legheremo gli ultimi capi sciolti.
– Bene, – dice O’Kelly. – Allora siete liberi per occuparvi di questo –. E ci tende un foglio di chiamata.
Per un attimo, come una scema, oso sperare. Se un caso arriva in sala detective direttamente dal capo, invece che attraverso l’amministrazione, si tratta di qualcosa di speciale. Un caso troppo importante, o tosto, o delicato, per affidarlo al primo che si trova di turno in quel momento; deve andare alle persone giuste. Quando è il capo ad affidarti direttamente un caso, gli altri in sala detective drizzano le orecchie. Questo significherebbe che io e Steve siamo finalmente, finalmente, usciti dall’angolo dei perdenti, e siamo dentro.
Devo stringere il pugno per evitare di allungare la mano verso il foglio. – Di cosa si tratta?
O’Kelly ride. – Togliti quello sguardo affamato dalla faccia, Conway. L’ho preso mentre salivo, l’ho portato di persona per evitare il fastidio a Bernadette… Gli agenti in divisa sulla scena dicono che sembra un classico «domestico» –. Getta il foglio sulla mia scrivania. – Io ho detto che sarete voi a decidere cosa sembra. Non si sa mai, potreste avere fortuna: magari è un serial killer.
Per evitare un fastidio all’amministrazione? Col cazzo. O’Kelly ha portato su quel foglio per godersi la mia espressione. Lo lascio dov’è. – Il turno di giorno arriva tra qualche minuto.
– E voi siete qui adesso. Se devi andare a un appuntamento galante, sbrigati a risolvere questo caso.
– Stiamo lavorando ai nostri rapporti.
– Gesú, Conway, non devono essere un’opera di James Joyce. Va bene quello che avete scritto. E datevi una mossa: questa faccenda è successa a Stoneybatter, e sui moli ci sono di nuovo i lavori in corso.
Un secondo dopo clicco «Stampa». Steve, il piccolo leccaculo, si sta già mettendo la sciarpa.
Il capo è davanti alla lavagna bianca e contempla la lista dei turni, stringendo gli occhi. Dice: – Avrete bisogno di una mano.
Steve sembra esortarmi con lo sguardo a non abbassare la testa, e dico: – Possiamo gestire da soli un «domestico». Ne abbiamo già risolti abbastanza.
– E qualcuno con un po’ di esperienza può insegnarvi a risolverli nel modo giusto. Quanto ci avete messo a chiudere il caso di quella giovane rumena? Cinque settimane? Con due testimoni che avevano visto il suo compagno mentre la pugnalava, con la stampa e quei deficienti delle pari opportunità che ci accusavano di razzismo, perché se fosse stata una ragazza irlandese avremmo già trovato il colpevole…
– I testimoni non volevano parlare con noi –. Steve mi fa segno con gli occhi: «Taci, Antoinette». Troppo tardi. Ho abboccato, proprio come O’Kelly sicuramente sperava.
– Esatto. E se anche oggi i testimoni non vorranno parlare con voi, voglio sul posto una persona piú esperta che li convinca a farlo –. O’Kelly tocca la lavagna. – Breslin è di turno stamattina. Prendete lui. È bravo con i testimoni.
Io dico: – Breslin è molto occupato. Direi che ha di meglio da fare che sprecare il suo tempo prezioso tenendo per mano noi.
– Questo è vero, ma stavolta gli tocca. Perciò non sprecatelo, il suo tempo prezioso.
Steve continua ad annuire, e i suoi occhi mi urlano il messaggio: «Chiudi la bocca, poteva andare peggio». Il che è vero. Mi mordo la lingua e non ribatto piú. – Gli telefono mentre andiamo, – dico, prendendo il foglio sulla scrivania e infilandolo nella tasca della giacca. – Può raggiungerci sul posto.
– Fallo, capito? Bernadette sta già contattando la Scientifica e il patologo, e le dirò di trovarti un paio di reclute da assegnare temporaneamente alla Omicidi per l’indagine. Non avrai bisogno del mondo intero, per questo caso –. O’Kelly si dirige verso la porta, afferrando le pagine dalla stampante mentre esce. – E se non volete che Breslin vi faccia sfigurare troppo, prendete un caffè. Avete un aspetto di merda.
Nel parco intorno al castello i lampioni sono ancora accesi, ma in città comincia a farsi strada qualcosa che somiglia vagamente al mattino. Non piove, il che è un bene. Da qualche parte vicino al fiume ci possono essere impronte di scarpe in attesa di essere rilevate, o cicche di sigarette con sopra del Dna. Comunque si gela e l’aria è umida, una fine nebbiolina che forma aloni intorno ai lampioni; è quell’umidità che ti entra nelle ossa finché ti senti piú freddo dell’aria intorno a te. I primi caffè stanno aprendo, c’è odore di gas di scarico e salsicce fritte. – Vuoi fermarti per un caffè? – chiedo a Steve.
Lui si sta stringendo meglio la sciarpa intorno al collo. – Cristo, no. Piú presto arriviamo sul posto…
Non finisce la frase. Non ce n’è bisogno. Piú presto arriviamo, piú tempo abbiamo prima che lo scolaro preferito del maestro venga a mostrare a noi poveri fessi come si fa. Non capisco nemmeno perché mi importi ancora, ma è un conforto vedere che Steve la pensa come me. Abbiamo tutti e due le gambe lunghe e camminiamo in fretta, senza parlare.
Siamo diretti al parcheggio della polizia. Sarebbe piú facile prendere la mia macchina o quella di Steve, ma è una cosa da non fare, mai. In molti quartieri la gente non ama i poliziotti, e se qualcuno sfregia la mia Audi TT io gli taglio un braccio. E ci sono casi, non sai mai in anticipo quali, in cui arrivare con la tua macchina significa dare il tuo indirizzo di casa a qualche gang di psicopatici. E pochi giorni dopo loro legano il tuo gatto a un mattone, gli dà nno fuoco e lo gettano dentro spaccando una finestra.
In genere guido io. Al volante sono meglio di Steve e come passeggera sono molto peggio; se guido, arriviamo a destinazione con un umore migliore. Nel garage, prendo le chiavi di una Opel Kadett piuttosto graffiata. Stoneybatter è nella vecchia Dublino, lavoratori e gente che non ha mai lavorato, mescolati con gruppetti di yuppie e artisti che hanno comprato lÃ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- L’intruso
- Prologo
- 1.
- 2.
- 3.
- 4.
- 5.
- 6.
- 7.
- 8.
- 9.
- 10.
- 11.
- 12.
- 13.
- 14.
- 15.
- 16.
- 17.
- 18.
- Ringraziamenti.
- Il libro
- L’autrice
- Copyright