Cairn
eBook - ePub

Cairn

  1. 128 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Cairn è una parola di origine gaelica che significa «mucchio di pietre» in due diverse accezioni: da una parte mucchi di pietre come monumenti sepolcrali preistorici, arcaiche tombe; dall'altra, in epoca moderna, i segnavia sui tragitti montani per indicare la prosecuzione di un sentiero. Sono due immagini simboliche che stanno entrambe molto a cuore a Testa. La prima per il rapporto con i morti, centrale da sempre nelle sue poesie, il dialogo da pari a pari con gli scomparsi, la consapevolezza di essere fatti della stessa pasta. La seconda immagine, quella del segnavia, è legata alla ricerca di una strada che contrasti lo smarrimento esistenziale. Ma i due simboli sono anche intrecciati, perché i morti possono dare indicazioni di percorso, o perlomeno a loro si vorrebbe chiederle. Tra le nuove tonalità, quella dell'invettiva che Testa adotta per la prima volta in alcune poesie di questo libro: invettiva contro un certo tipo di politici e onnipresenti figure del conformismo. Il poeta dai versi sommessi questa volta ha perso la pazienza. E per riconquistarla non gli è rimasto che muoversi in tempi e spazi remoti: dentro e fuori di sé.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
Print ISBN
9788806237240
eBook ISBN
9788858427897
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia

Volti e chiodi

sotto la sferza di un’irruente primavera
san michele d’arenaria è, Clelia cara,
il romanico rifugio del ripasso
delle ore del passato:
altre cose, altri esseri,
il sé morto piú volte a se stesso
– distratto e incapace ormai
d’immaginare quello che è stato.
Ora ospite di voci insidiose e petulanti,
flussi incontrollati,
passaggi maldestri e alteri:
la sostanza del malessere.
Un tessuto invaso dai batteri.
Un terreno popolato di gramigna.
Fragile come questa pietra color ocra
nei riflessi della sera:
palmette, un leone che sogghigna,
aquile, draghi, sirene, pesci
e un bambino che tira i baffi a un uomo.
Rossano, si disgrega l’arenaria...
ed io, allo sbando, con lei
sedimento marino ritornando

Picnic

quasi sera ma ancora luce
per scavalcare la staccionata d’abete
ingrigita da pioggia e licheni
e poi la recinzione elettrica
che tiene a bada bestiame e turisti.
Il vaticinio delle felci,
il passaggio attraverso arbusti,
le asiatiche ortiche
e l’erba alta del bosco
prima di arrivare alla radura:
un lucciolio obliquo tra gli alberi.
Qui cinquant’anni fa
un padre giocava a pallone col figlio:
la porta due tronchi di larice
il prato molle d’acqua
il cielo color indaco
un tempio la grande betulla
taglioferita sullo sfondo.
Qui l’unico picnic di famiglia:
un mancato esercizio di catechismo ferragostano.
Pollo freddo, uova sode rimaste intatte,
panini, acqua tiepida della borraccia,
lo stesso termos di caffè del pasto in stabilimento
e una bottiglia di birra
(non ancora iniziata l’èra delle lattine)
e lei che prima sorrideva
come stesse per piangere
e poi chissà perché arrabbiata
(il mistero inesplicabile del suo perenne rodío
orlato di chiodi).
Vent’anni fa qui
il figlio diventato padre
giocava a pallone con il suo bambino.
Della tribú di porcospini
che, da piú generazioni,
presidiava in pattuglia la zona,
oggi nessuna traccia.
Solo le lacrime sepolte
che fanno ritorno
in strisce di resina:
il dolore lascia, sottile, la sua scia.
Questo è tutto, mi pare.
Si smorza in tremore d’elegia
la calura del giorno.
La rugiada s’annuncia nel bosco
mentre esitante dici:
«Fa freddo qui. Meglio andar via»

Palazzo di Giustizia

la linea del métro è la 2, quella circolare
da Simonis - Leopold II a Simonis-Elisabeth.
Si scende a Louise.
Invece che per Quatre Brasstraat
meglio il vicino viale del parco
che ancora non conosce primavera:
foglie gialle dei platani
sminuzzate a terra,
fango, pozze d’acqua nera.
Poi il Palazzo.
Controlli di polizia all’ingresso:
spoliazione e metal detector.
C’è chi sobrio e logoro nel vestire
si rifugia nell’atrio enorme velato di luce grigia
– qui solo per passare il tempo,
leggere i giornali sui tavoli di legno scuro,
trovare un riparo non trovandolo altrove:
habitué della legge che con la legge
nulla hanno a che fare.
Ali di corvo imperiale ripiegate in aula toghe.
Nella stanza accanto loden e impermeabili
che pendono ognuno dal proprio gancio
come malfattori dalla forca.
Passano veloci e indaffarati gli avvocati,
fascicoli sotto il braccio, sguardo deciso.
Preavviso di un sogno in agguato
e pur già sognato tante volte.
A destra e a sinistra
giravolte di scale
colonne statue sale
corridoi senza sbocchi
finestroni che dànno su cortili e pozzi
in fondo a mura e tetti color piombo.
Si racconta che in questa labirintica
e segreta vastità di spazi
si siano svolte – vischio sulla quercia –
varie attività parassitarie:
riti massonici,
rivendite dell’usato,
mercati carnali,
barbieri, chiromanti,
consulti sciamanici,
clandestini tornei di carte
e, nel gelo, ardori d’amanti.
In oscuri vicoli ciechi
dove s’arriva ansanti
davanti a cataste
d’armadi a saracinesca,
scrivanie, leggii, seggiole da ufficio,
tende divorate dalle tarme,
tane di scarafaggi.
Di fronte, ammutolite porte dalla maniglia bloccata
che non cedono alla curiosità della spinta.
Delusione uguale a quella del prete
che, in giro per la benedizione pasquale,
trova sbarrata ogni casa.
Nel cuore dell’ordine giudiziale
l’abisso – spettrale – del caos
«m...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. CAIRN
  4. Ora e qui
  5. Spinarosa
  6. Il fumo azzurro delle lontananze
  7. Album di Capaneo
  8. Cairn
  9. Volti e chiodi
  10. Portale di fango
  11. Vuoto d’ore
  12. Nonsisadove
  13. Nota
  14. Il libro
  15. L’autore
  16. Dello stesso autore
  17. Copyright