Bastardi in salsa rossa
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Bastardi in salsa rossa

  1. 296 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Bastardi in salsa rossa

Informazioni su questo libro

Alle soglie di una carriera trentennale, Hap e Leonard sembrano ormai aver rinunciato a cambiare il mondo. Il primo si è appena ripreso da una brutta ferita da coltello; il secondo sembra piú interessato a esplorare l'universo degli incontri online che a gettarsi a capofitto in una nuova indagine. Ma quando Louise Elton, bellicosa donna di colore, chiede loro di fare chiarezza sull'omicidio del figlio, capiscono che è arrivato il momento di rientrare nella mischia.
Studente brillante destinato a un futuro diverso, Jamar aveva cominciato a investigare sul poliziotto che insidiava la sorella minore, per poi restare coinvolto in una vicenda di sbirri corrotti e combattimenti tra cani, a un passo da una verità che minaccia di lacerare la cittadina texana dove si è consumato il delitto. Tra dialoghi al vetriolo e inesorabili colpi di scena, Lansdale tratteggia in queste pagine l'ennesimo scorcio dell'America profonda, quella dove la violenza è una moneta di scambio pericolosamente diffusa.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
Print ISBN
9788806235291
eBook ISBN
9788858427255

1.

Mi stavo ancora riprendendo dal fatto di essere morto e, lasciatemelo dire, si trattava di un ritorno in piena regola.
Sono morto due volte in ospedale, dopo essere stato accoltellato, e l’ultima cosa che ricordo prima del risveglio dalla morte è che Leonard era lí, a ingozzarsi di biscotti, mentre attendeva che mi riprendessi. A dire il vero ero sveglio, ma riuscivo a tenere gli occhi aperti appena quanto bastava per vedere lui. Mi sentivo alla deriva su una barca lenta diretta verso il nulla, con un bastone infilato nel pisello. Che poi si è rivelato essere un catetere, solo che a me sembrava un bastone. E pure bello grosso.
Medici e infermieri mi avevano salvato dal fosso immenso e oscuro, e quando tornai in superficie non fu a Gesú che dissi grazie. Ringraziai lo staff di medici, i loro anni di preparazione, le loro enormi capacità. Ho sempre immaginato che, se fossi stato un dottore e avessi salvato la vita a qualcuno, e quel qualcuno si fosse risvegliato e avesse detto «grazie Gesú», gli avrei infilato un paio di pinze su per il culo e gli avrei detto di provare a vedere se Gesú poteva tirargliele fuori.
Morale della favola, ero tornato. Mi ci volle qualche mese per rimettermi in sesto, ma alla fine ci riuscii quasi del tutto, e ormai ero praticamente autonomo. Avevo perso qualche chilo mentre facevo la dieta del tubo-in-gola (non lo stesso tubo che era nel mio uccello, mi preme specificarlo), ma negli ultimi tempi ero tornato in gran forma. Sentivo di poter sollevare due quintali e mettere al tappeto un gorilla incazzato, anche se forse non in uno scontro leale.
Detto questo, c’erano anche giorni in cui avrei voluto piangere ininterrottamente e avevo la concentrazione di uno scoiattolo. I dottori mi avevano avvisato che ci sarebbero stati giorni cosí, giorni in cui non solo realizzavo di essere mortale, ma dovevo anche fare i conti con il concetto. Guardare i cartoni mi aiutava. Mi ripresi piuttosto velocemente e i dottori si meravigliarono della quasi totale assenza di stress postraumatico. A loro non l’ho detto, ma ho pensato, No, quello ce l’ho solo quando ammazzo la gente, e ho imparato a convivere con quel genere di stress, come se si trattasse di un compagno attaccabrighe. Avevo fatto parecchia pratica, visto che conoscevo Leonard da tutta una vita. Ma la velocità di recupero l’ho sempre avuta. Di capacità di recupero e testa dura ne avevo in abbondanza.
Insomma c’ero, stavo meglio, ero tornato al lavoro, mi sentivo abbastanza normale, tranne per le brevi visite della fatina della mortalità e per le rare occasioni in cui mi preoccupavo della morte termica del sistema solare, provocata dall’inevitabile esplosione del sole. Sono un tipo un po’ ansioso.
Quel giorno avevo da svolgere del lavoro d’ufficio nell’agenzia di investigazioni Brett Sawyer, dove lavoravo per la mia ragazza, Brett, e col mio migliore amico, Leonard. Ero seduto con i piedi sulla scrivania, constatando che i miei calzini erano spaiati, e mi sentivo come il classico investigatore privato, anche se le mie capacità investigative erano al livello di quelle matematiche e io sono l’ultima persona alla quale dovreste chiedere di farvi la dichiarazione dei redditi. Ma sono un tipo tenace. Ecco un’altra caratteristica da aggiungere alla velocità di recupero e alla testa dura. Quando avevo sedici anni, mio padre mi procurò un lavoro: dovevo aiutare un tizio a raccogliere legna e abbattere vecchie case che aveva comprato per rivendere il legname di scarto. Il mio primo giorno di lavoro, mio padre gli disse: «Potrebbe fare cazzate, ma non è uno che molla».
Da allora, questo è diventato una specie di motto personale.
Mi trovavo in ufficio da solo perché quella mattina nessun altro poteva essere lí. Leonard era a Houston a fare sesso con un ragazzo conosciuto in rete, cosa che mi rendeva nervoso per entrambi, e Brett si stava curando un’influenza. Condivideva il malanno con una giovane donna di nome Chance, che a quanto pareva era mia figlia. Il test del Dna lo provava, e io ne ero veramente felice. La conoscevo solo da poco tempo, ma si era integrata nella famiglia, che comprendeva me, Brett, Leonard e il cane Buffy, come se fosse stata con noi sin dalla nascita.
Chance viveva a casa nostra, lavorava part-time al giornale locale come correttrice di bozze e cercava un impiego a tempo pieno. Aveva una laurea in Giornalismo, che è come avere una laurea in Latino: non serve a un granché.
Come Brett, Chance non era al lavoro, era a casa con l’influenza e riposava sul divano. Ero quasi certo che sarei stato il prossimo a beccarmi il virus, ma per il momento mi sentivo alla grande. Dopo essere stato accoltellato allo stomaco ed essere morto per un po’, la tosse e il raffreddore potevano anche baciarmi il culo.
Buffy, la femmina di pastore tedesco che Leonard aveva salvato da uno stronzo che la prendeva a calci, in quel momento era con me, sdraiata sul divano. Era una cagna educata, e molto piú addomesticata di me. Chiedete a Brett. Ve lo confermerà.
Era una bella mattinata, sedevo in ufficio con un paio di jeans nuovi nel quale, come aveva detto per una volta la mia signora, il mio culo stava a meraviglia, e indossavo anche delle scarpe nuove, che Buffy aveva rosicchiato solo un pochino. Avevo anche un bel maglione verde senza macchie di cibo. La biancheria intima era pulita. I capelli un po’ radi erano pettinati e bevevo una tazza di caffè con vera panna e una bustina di dolcificante. Avevo pure una confezione aperta dei biscotti alla vaniglia di Leonard, che lui aveva nascosto dietro il frigorifero dell’ufficio, ed erano deliziosi. Non solo per il sapore, ma perché Leonard pensava che fossero ben nascosti.
Avevo intenzione di mangiarli tutti e di rimettere il sacchetto vuoto dietro il frigo. Avrei anche potuto infilare dentro il sacchetto un bigliettino che diceva: «La fatina dei biscotti è stata qui. Fanculo. In ospedale non me li hai offerti».
Mentre me ne stavo lí seduto, riflettendo sul mio ritorno dalla morte, credo che stesse cominciando a prendere piede il classico pensiero sulla natura dell’universo che ti porta a un passo da una di quelle brillanti rivelazioni che si possono trovare in un libro di filosofia, quando la porta si aprí e una signora di colore entrò nell’ufficio.
Era molto curata, sovrappeso, indossava dei pantaloni rossi elasticizzati, un’ampia maglia verde e delle pantofole rosa. Le mancava solo un cappello da chiesa con un’esca colorata e una pallina da golf cucite sopra. Aveva con sé una borsa grossa quanto una valigia. Poteva avere una quarantina d’anni. O forse cinquanta. Di sicuro aveva l’aria molto stanca.
Tolsi i piedi dalla scrivania.
La donna disse: – C’è solo lei qui?
– Sí, signora.
– Dov’è il nero?
– Leonard o Marvin?
Marvin non lavorava piú lí. Aveva venduto la società a Brett, ma pensai che forse la donna si riferisse a lui.
– Loro sono neri? – chiese lei.
– Sí, signora. Costantemente.
– Lavorano tutti e due qui?
– In realtà solo uno. Ma è un gran lavoratore, proprio come me.
– Quale dei due neri ha la faccia incazzata?
– Entrambi. Uno è tozzo e a volte porta un bastone, e ha circa cinque o sei anni piú di me. Non lavora piú qui. L’altro è muscoloso, ha la mia età e gli piacciono i biscotti alla vaniglia. Proprio come questi.
Diedi un colpetto alla busta.
– Credo di aver visto quello muscoloso.
– Ora che ci penso, sono muscolosi entrambi. Ma uno è piú vecchio e piú pesante, come un orso che è stato addestrato a portare i vestiti.
Mi fissava intensamente.
– Come può vedere, – le dissi, – io non sono nessuno dei due.
– Pensavo solo al fatto che non riesco a intuire la sua età. I bianchi sono difficili da giudicare. Posso avere un biscotto?
– Ne prenda due. Le va del caffè?
– Ha una tazza pulita?
– Ci può scommettere.
Mi spiegò come le piaceva il caffè. Le preparai una tazza. Per lei niente dolcificante; prese quattro bustine di zucchero, le mischiò con uno dei nostri cucchiai di plastica, assaggiò, chiese un’altra bustina e io gliela diedi. Tra un sorso di caffè e l’altro, inzuppò uno dei biscotti e lo sgranocchiò. Sapeva il fatto suo.
– Suppongo non importi chi sia, dei due. L’ho visto salire e poi riscendere le scale, dunque ho pensato che lavorasse qui, ed essendo nero volevo parlare con lui.
– Anche tra noi bianchi c’è chi sa parlare e indagare molto bene.
– Immagino.
– Come ha fatto a vederlo?
– In che senso?
– Il nero, Leonard. Non credo che si sia appostata dentro l’albero del parcheggio con un binocolo in mano.
– Sta facendo il saputello?
– Solo un po’.
– Abito di fronte, signor detective. Ecco perché sono qui in pantofole. Mi sono messa quello che avevo sotto mano.
– Lo immaginavo.
– Balle, – disse lei.
– D’accordo, non lo avevo immaginato.
– Ho portato i soldi. Non voglio niente gratis.
– Non avrei offerto nulla gratis.
– Già, – disse. Prese un portamonete dalla sua borsa enorme, che aveva abbastanza spazio da contenere un universo parallelo, e vi scavò dentro come se stesse cercando l’oro di re Salomone. Tirò fuori un fascio di banconote che avrebbe fatto strozzare un dinosauro e lo schia...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Bastardi in salsa rossa
  4. 1.
  5. 2.
  6. 3.
  7. 4.
  8. 5.
  9. 6.
  10. 7.
  11. 8.
  12. 9.
  13. 10.
  14. 11.
  15. 12.
  16. 13.
  17. 14.
  18. 15.
  19. 16.
  20. 17.
  21. 18.
  22. 19.
  23. 20.
  24. 21.
  25. 22.
  26. 23.
  27. 24.
  28. 25.
  29. 26.
  30. 27.
  31. 28.
  32. 29.
  33. 30.
  34. 31.
  35. 32.
  36. 33.
  37. 34.
  38. 35.
  39. 36.
  40. 37.
  41. 38.
  42. 39.
  43. 40.
  44. 41.
  45. 42.
  46. 43.
  47. 44.
  48. 45.
  49. 46.
  50. 47.
  51. 48.
  52. 49.
  53. 50.
  54. 51.
  55. 52.
  56. 53.
  57. 54.
  58. 55.
  59. 56.
  60. 58.
  61. Ringraziamenti
  62. Il libro
  63. L’autore
  64. Dello stesso autore
  65. Copyright