Al di là dei confini
eBook - ePub

Al di là dei confini

Viaggio nel mondo dell'islam sulle tracce del grande avventuriero Ibn Battuta

  1. 384 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Al di là dei confini

Viaggio nel mondo dell'islam sulle tracce del grande avventuriero Ibn Battuta

Informazioni su questo libro

Ibn Battuta è conosciuto come il «Marco Polo arabo»: nel XIV secolo, il grande avventuriero viaggiò in gran parte del mondo allora conosciuto, e in trent'anni la sua odissea lo portò dal Marocco alla Mecca, da Costantinopoli e la Crimea fino a Samarcanda, l'India, l'Indonesia e la Cina. Nel racconto delle sue avventurose perigrinazioni, il «re di tutti i viaggiatori» descrisse l'islam come una religione del progresso e della tolleranza. Settecento anni dopo, Erich Follath ne ripercorre il cammino, attraversando un mondo islamico che nel frattempo è profondamente mutato. Soffermandosi in tredici luoghi fondamentali per Battuta, Follath riesce a immortalare con un'evidenza impressionante la situazione dell'attuale mondo islamico, sottolineandone i drammatici problemi, le lotte e le sfide future. Al di là dei confini è una ricerca sulle tracce di una delle personalità piú affascinanti del Medioevo, un viaggio lungo un anno in città antiche e moderne, un'inchiesta che si muove tra passato e presente, e che approfondisce alcune delle problematiche politiche di scottante attualità, offrendo al lettore un vivace reportage sul dirompente presente dell'islam. umma, vorrebbero forse espandere in Europa la "casa dell'islam" attraverso la forza dell'economia o in forme missionarie? Esiste ancora il senso di appartenenza religiosa, cosí scontato per Ibn Battuta? E se è scomparso, che cosa è subentrato alla pax islamica, che a metà del XIV secolo informava gran parte del mondo, a una società che nelle parole dello storico americano Marshall Hodgson "nel Medioevo si avvicinò piú di ogni altra all'ideale della costituzione di un sistema mondiale di norme sociali e culturali condivise"?»

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Al di là dei confini di Erich Follath, Alvise La Rocca in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Crescita personale e Viaggi. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
Print ISBN
9788806234508
eBook ISBN
9788858426869
Categoria
Viaggi
Capitolo nono

Delhi: sconvolgente

Quando riparte da Samarcanda, dopo essersi rimesso in forze, Ibn Battuta ha un obiettivo chiaro davanti a sé. Quanto sia importante lo dimostra questo solo fatto: rinuncia alle consuete vie traverse che gli sono tanto care. Vuole raggiungere Delhi piú in fretta possibile. Vuole conoscere il sultano Muhammad Tughluq, l’uomo piú potente dell’epoca. E trarne dei vantaggi.
Ora non è piú un viaggiatore per il puro amore dei viaggi. Le sue numerose visite e i lunghi soggiorni alla Mecca e a Medina lo hanno fortificato spiritualmente; sul piano culturale – cosí pensa, evidentemente – si è arricchito a sufficienza, ora vorrebbe fare carriera e godersi i beni del mondo. Cerca un lavoro redditizio, un’attività in cui possa mettere a frutto le sue conoscenze e l’esperienza di vita che ha acquisito. E attraverso la quale egli ottenga potere sugli altri, potere sulle persone da cui può ancora imparare qualcosa. Ha scelto accuratamente il posto migliore per la sua ascesa professionale, ha raccolto attraverso gli amici, i compagni di viaggio e le corti del mondo sempre maggiori informazioni. E ha scelto Delhi. Nei Viaggi descrive cosí il suo potenziale datore di lavoro: «Il sovrano dell’India […] tratta con riguardo e predilezione gli stranieri, cui assegna province da governare e cariche eminenti – fra l’altro sono stranieri gran parte dei suoi cortigiani, ciambellani, visir, qadi e parenti acquisiti ed egli ha dato ordine, nei suoi possedimenti, di chiamare gli stranieri col titolo di aziz [esimio], tanto che alla fine è diventato il loro nome» [437].
Tutto questo gli piace. Quel che lo attende è anche di mettere alla prova se stesso: Ibn Battuta non è sicuro di poter affrontare con successo complessi incarichi professionali. All’infuori della sua breve attività come giovane, inesperto cadí sulla strada tra Tunisi e Il Cairo, non ha ancora avuto un’occupazione fissa, una retribuzione come giurista, funzionario o imprenditore. È tempo di fare carriera, di interrompere il viaggio, di mettere radici, di una sosta piú lunga in terra straniera. E di riflettere sul da farsi. Se debba continuare con i suoi vagabondaggi, raggiungere l’Estremo Oriente, la leggendaria Cina. O se non debba invece tornare in patria, riabbracciare i genitori e gli amici a Tangeri, raccontare loro le meraviglie del mondo, delle città che ha visto.
Ibn Battuta si è preparato a questo viaggio nel modo migliore possibile; da tempo ormai è abbastanza esperto e accorto per non affidarsi piú soltanto al proprio intuito. Ha cercato sempre di viaggiare – in lettiga, a cavallo o su un carro – nel modo piú confortevole possibile, e le difficoltà, quali che fossero, non lo hanno mai fatto deviare rispetto alla meta. Ora, equipaggiato al meglio dal sultano Tarmashirin, parte per Delhi con decine di cavalli e servitori, portando con sé oro e gioielli; quasi una piccola corte.
Nei capitoli successivi dei Viaggi le tappe intermedie vengono descritte rapidamente, attraverso brevi note, come se Ibn Battuta volesse farci partecipi della sua impazienza. Attraversa alcune delle regioni del mondo piú affascinanti per il loro paesaggio e la loro storia, ma le descrive con brevi cenni. «Lasciata Samarcanda passammo prima da Nasaf […] e quindi arrivammo a Tirmidh [l’odierna Termez] […] grande, ben costruita, è attraversata da rivi d’acqua e ospita giardini ricchi di uva e di mele cotogne». Quindi procede con una scarna elencazione: «attraversammo il fiume Jayhun [l’odierno Amudar’ja] e dopo aver viaggiato un giorno e mezzo in un deserto di sabbia inabitato giungemmo a Balkh…» [416-17].
In questa parte dei Viaggi la descrizione, oltre che fredda, è anche poco precisa. Il percorso non sembra verosimile, Ibn Battuta scambia spesso un luogo per un altro e anche le indicazioni temporali per questa parte del viaggio sono opinabili. Deve aver viaggiato molto piú a lungo di quanto asserisca nel suo racconto. Sembra che le dimensioni di luoghi e tempi si siano letteralmente rimpicciolite.
Quando l’inverno lo costringe a fermarsi per diverse settimane l’irritazione per il ritardo emerge nettamente da ogni riga. A Kunduz deve far riposare i cavalli e i cammelli stremati ed è obbligato a concedere una pausa al suo seguito. Davanti a loro si levano minacciose alte cime e passi impervi: l’Hindu Kush, la montagna «che uccide gli indiani» [429] perché, gli viene spiegato, molti degli schiavi che provengono dal caldo del subcontinente non sono abituati al freddo e alle fatiche e muoiono.
Quando racconta della difficile ascensione, Ibn Battuta si limita alle informazioni essenziali: «Per superarla ci vuole un intero giorno di cammino, perciò aspettammo fino a quando il tempo migliorò: allora, ripreso il viaggio, iniziammo ad attraversarla a notte fonda e vi restammo tutto il giorno fino al calar del sole, stendendo a terra delle pezze di feltro davanti ai cammelli perché riuscissero a procedere senza affondare nella neve» [430]. Dopo aver attraversato il passo Khawak, scendono verso la spettacolare valle del Panjshir. Si sofferma lo stretto necessario anche su questa regione, e ritiene che non valga neanche la pena di dar conto della propria vita privata: lascia che la compagna e la figlia appena nata svaniscano nelle nebbie del racconto.
A Parvan riceve l’invito dell’emiro locale (un uomo dal «fisico imponente») a un banchetto; lí vicino c’è un eremo in cui vive un vecchio che gli abitanti chiamano «padre dei santi». Questo Ata Awliya afferma di avere trecentocinquanta anni e che «ogni cento anni gli crescevano nuovi capelli e nuovi denti». I suoi racconti lo affascinano. Se non avesse tanta fretta e non fosse ossessionato da Delhi, la sua meta, avrebbe certamente cercato di approfondire il discorso. Si accontenta di un incontro probabilmente breve. Gli chiede diverse cose, «ed egli mi narrò una serie di racconti: non mi convinse del tutto, ma Dio sa se disse il vero» [429-30].
Riprende subito il viaggio. Accenna di sfuggita anche a pericolosi contrattempi. In prossimità del passo successivo – potrebbe trattarsi del passo Khyber o di un’angusta gola piú a sud – il gruppo viene attaccato da predoni afgani, alcuni uomini del seguito cadono in un’imboscata e per ore rimangono separati da Ibn Battuta. «Dovemmo affrontarne alcuni che stavano ai piedi della montagna, ma ci bastò scagliare qualche freccia perché se la dessero a gambe», racconta con distacco. Lui e i suoi uomini raggiungono incolumi la meta. Sono arrivati in territorio indiano, nel Punjab, la «terra dei cinque fiumi». Ibn Battuta indica come data d’arrivo il settembre del 1333, ma gli studiosi ritengono piú attendibile posticipare la data di almeno un anno.
Siamo di fronte a una cesura nella vita di Ibn Battuta; la prima parte dei Viaggi termina qui. Ha ormai compiuto trent’anni, da tutti i punti di vista si chiude un’epoca. L’importanza per l’uomo di Tangeri degli oltre sette anni che trascorrerà alla corte del sultano e degli altri due anni spesi in viaggi per il paese, la loro decisiva rilevanza per la sua vita e la sua formazione, emergono anche solo dall’ampiezza dei suoi racconti sul subcontinente indiano, che coprono il quaranta per cento dell’intera Rihla. A nessun altro sovrano dedica altrettanti capitoli come a Tughluq, il sultano di Delhi: agli occhi di Ibn Battuta non solo uno dei sette dominatori del mondo, ma il piú importante tra loro. In ogni caso sarà il piú importante nella vita dell’avventuriero marocchino.
Ibn Battuta ha percorso la stessa via – o una molto simile –, dal Medio Oriente attraverso le alte montagne dell’Hindu Kush, percorsa un secolo prima dai conquistatori turchi che sottomisero i contadini del Punjab e istituirono il sultanato di Delhi. La prima ondata degli eserciti musulmani saccheggiò la città, distrusse i templi indú, perseguitò a morte gli «idolatri». Tuttavia già la generazione successiva di sultani cercò di garantirsi il potere non solo attraverso assassini e vessazioni ma anche attraverso un sistema di tassazione; rimpiazzarono i signori locali con governanti afgani o turchi, talvolta anche indú, che mettevano gli uni contro gli altri, in una forma di divide et impera che in seguito il colonialismo britannico avrebbe perfezionato. E che metteva in chiaro che chi si fosse convertito alla religione «superiore», piú evoluta, dei vincitori, l’islam, non solo si sarebbe trovato dalla parte «giusta» della storia, ma ne avrebbe anche tratto concreti vantaggi economici.
Ma nel XIV secolo i sultani non potevano sentirsi al sicuro, anche se estesero progressivamente i loro domini fino all’estremità meridionale del subcontinente indiano. Erano minacciati dai rivali mongoli del Nord, ma soprattutto dalle insurrezioni popolari.
Il sultano Muhammad Tughluq sale presumibilmente al potere attraverso un parricidio organizzato da lui stesso; dopo aver conquistato il trono nel 1325, si destreggia per un quarto di secolo: conosce evidentemente i pericoli. A questo scopo cerca di convertire quanti piú indú possibile promettendo loro di ridurre le tasse dopo la conversione. Poiché in gran parte non lo seguono, consente loro perlomeno di praticare liberamente la propria religione. Li mantiene tuttavia in uno stato di estrema soggezione economica, pretende tributi esorbitanti, estorce loro i cereali fino all’ultimo grammo. Sa che molti dei suoi sudditi lo odiano e vede un unico mezzo adatto a consolidare il proprio potere: assegnare le piú importanti posizioni nell’apparato statale a «lavoratori stranieri» provenienti dai paesi dell’islam, a capaci amministratori e uomini di legge dell’Arabia o dell’Anatolia, dei quali possa fidarsi. O la cui fedeltà egli possa almeno temporaneamente comprare. Tughluq ha bisogno di uomini fidati, che garantiscano il suo potere e, se possibile, facciano di meglio: elogino il sovrano, lo adulino, accrescano la sua fama nel mondo con i propri racconti. E possibilmente tutto insieme.
Ha bisogno di uomini come Ibn Battuta. «Gentiluomo, pellegrino, giurista, affabulatore, viaggiatore del mondo e ospite di emiri e di khan: Ibn Battuta aveva buone ragioni per ritenere di essere proprio il genere di funzionario che Muhammad Tughluq stava cercando», scrive Ross Dunn1.
Ma Ibn Battuta non può dare per scontato che il sultano abbia sentito parlare di lui, che qualcuno a Delhi attenda con ansia il suo arrivo, là è un perfetto sconosciuto. Nel consesso di tutti gli stranieri importanti e vanitosi che come lui cercano di ottenere i favori del sovrano, egli potrebbe avere la peggio. Le ricchezze di Tughluq e le opportunità di ascesa a Delhi non sono un mistero. A Ibn Battuta serve un buon piano. Deve far vedere che chi si presenta non è un giramondo ma un ospite importante, che deve essere trattato con tutti gli onori. In altri termini, per ottenere udienza presso il sovrano ed essere accolto nel suo sistema di governo, con un incarico il piú prestigioso possibile, deve bluffare, impressionare.
Ibn Battuta ha già raccolto in Afghanistan diversi regali e ha fatto acquisti fino al limite delle proprie possibilità economiche. È in viaggio con trenta cavalli, una decina di cammelli, splendidi abiti e un intero carico di frecce. Ha saputo che ogni nuovo arrivato deve presentare al sultano doni assai preziosi per essere ricambiato con doni di valore ancora piú alto. È un gioco rischioso, ma Ibn Battuta tenta il tutto per tutto. Si indebita con uno dei piú scaltri mercanti del Punjab, compra altri animali, tappeti, promettendo che ripagherà tutto con interessi e interessi composti.
Prima ancora di arrivare a Multan, la prima grande città in territorio indiano, il nostro viaggiatore è intercettato dai servizi segreti del sultano. Gli agenti utilizzano un servizio di corrieri detto barid. Quasi ogni chilometro le sentinelle del sultano erigono dei piccoli padiglioni dove i corrieri portano a passo di corsa lettere sigillate. A ogni tappa il corriere è sostituito da uno nuovo che corre alla stazione successiva. Ibn Battuta afferma di non aver mai visto un sistema piú efficace e veloce di trasmissione delle informazioni. A volte i corrieri portano al sovrano anche frutti particolarmente squisiti o otri d’acqua di fonte. Delhi, la capitale, è a dieci giorni di viaggio ad andatura «normale» da Multan. Con lo stesso sistema, non altrettanto veloce, vengono trasferiti anche i criminali di stazione in stazione, legati a una lettiga.
Gli agenti dei servizi segreti mandano ai loro capi informazioni dettagliate su ogni nuovo arrivato; non viene trascurato nulla, apprende Ibn Battuta. Né la descrizione dell’aspetto esteriore né quella del «comportamento», e naturalmente i dossier fanno ampio riferimento alla dotazione economica dello straniero e del suo seguito. Al giramondo in cerca di lavoro questo non dispiace, non ha niente da nascondere; al contrario, quanto piú precise sono le informazioni che arrivano al sovrano sulle straordinarie ricchezze del viaggiatore, tanto maggiore dovrebbe essere la sua curiosità. E la sua disponibilità a incontrarlo di persona, a concedergli udienza.
Ibn Battuta deve trattenersi per due mesi a Multan. Conosce il governatore locale, un emiro di nome Imad al Mulk [Sartiz], che significa «dagli occhi scuri» [440-41]. Si annoia, ma sa che deve avere pazienza. La compagnia è piacevole ed esigente: è composta da religiosi e notabili che, come lui, cercano un impiego a corte. La buona notizia è che a Delhi si può ottenere facilmente un lavoro ben retribuito. Nessuno tuttavia può lasciare Multan per Delhi e per il palazzo del sultano senza impegnarsi a risiedervi. Tughluq è generoso, ma non vuole collaboratori temporanei che si riempiano le tasche e poi prendano il largo.
Nei suoi colloqui di presentazione con le autorità di Multan, Ibn Battuta deve garantire piú volte che servirà il sovrano per sempre. Deve anche sottoscrivere questo impegno. Non dice se per caso esita. Firma la dichiarazione, e forse pensa tra sé: se mi stancherò troverò una via di uscita. La vita gli ha insegnato a togliersi dalle difficoltà, a cavarsela con le proprie forze e contro ogni probabilità. Finalmente ottiene luce verde: sembra che sia stato preso in considerazione per una posizione di vertice. Delhi lo aspetta.
Per strada il gruppo viene assalito dai banditi. Ibn Battuta viene ferito leggermente ma perde due dei suoi compagni di viaggio. «Opponemmo una tenace resistenza» [451], racconta; alla fine li sconfiggono. Piú di una decina di assalitori vengono fatti prigionieri, per loro non c’è clemenza. Per dissuadere possibili imitatori, su consiglio delle guide locali che accompagnano il gruppo, vengono decapitati sul luogo.
Ibn Battuta osserva il paese che diventerà la sua nuova patria, attentamente e con stupore. Vede intorno a sé cose che lo entusiasmano: campi in fiore, terrazzamenti di riso, alberi di un frutto squisito che chiamano mango, frutti sconosciuti che chiamano shaki e barki [449]. Scrive che l’India ha i migliori terreni. E animali strani. In un fitto bosco vicino a una fonte il gruppo si trova improvvisamente di fronte a un animale che Ibn Battuta non ha mai visto. Si spaventa, ma rimane anche affascinato dalla sua forza primitiva: è un rinoceronte, che col suo corno colpisce al fianco un cavallo.
Descrive anche situazioni che gli ripugnano, usanze locali che attribuisce alla sciagurata miscredenza degli abitanti: vede donne che accettano di salire sul rogo col marito defunto. «Il rogo della donna dopo la morte del marito è un atto raccomandato ma non obbligatorio», scrive [453]. Nella cittadina di Ajudahan gli accade qualcosa di insolito. Si reca in visita allo sceicco Farid al-Din. In Egitto aveva conosciuto il suo parente Burhan al-Din. È un incontro breve, emozionante: «gli porsi i saluti dello shaykh Burhan al-Din; egli ne fu molto sorpreso e disse: “Non ne sono degno!”» [452].
Poco prima di arrivare a Delhi i viaggiatori sono accolti da un inviato del sultano, che porta loro notizie deludenti. Muhammad Tughluq non è in città. Li incontrerà eventualmente piú tardi, per ora possono comunque raggiungere la capitale.
Dehli entusiasma Ibn Battuta fin dal primo sguardo. «Città immensa e importantissima, la piú grande non solo dell’India, ma di tutto l’Islam d’Oriente, bella e nel contempo ben protetta, circondata da mura che non hanno uguali nel resto della terra» [456]. Lo colpisce particolarmente la moschea principale: straordinaria per imponenza e bellezza, prima della conquista musulmana nel 1188 era un tempio buddista, «un cosiddetto but-khana, cioè un tempio di idoli». «Nel cortile a nord si staglia invece il minareto, che non ha uguali in terra d’Islam […] Una volta vi salii […] le persone ai piedi del minareto sembravano tanti bimbi piccoli. […] Al centro sorge una colonna gigantesca che non si sa di che materiale sia fatta: uno dei loro sapienti mi disse che la chiamano Haft Gush, cioè “Sette Materiali”, perché da tanti materiali, appunto, essa è composta» [458]. L’intero complesso «è una delle meraviglie del mondo» [459].
Ibn Battuta è ricevuto dal visir, che è il rappresentante del sultano. Deve andare in visita di cortesia dalla madre del sultano portandole doni. Naturalmente, esperto com’è, si è informato sul comportamento da tenere. «[…] anche noi eseguimmo una riverenza prosternandoci e portando la mano a terra rivolti verso il trono»: cosí descriverà la scena piú oltre nei Viaggi [556]. L’anziana donna lo impressiona, lo stupisce, soprattutto, quando racconta del suo impegno sociale, delle sue visite ai poveri e ai malati.
Al nuovo arrivato da Tangeri viene assegnato un comodo alloggio, arredato con preziosi tappeti. I servitori portano carne, riso e bevande. La mattina successiva si presenta il visir, che si informa se è tutto in ordine. Consegna all’ospite vesti preziose e una grossa somma di denaro che gli servirà «per far lavare i suoi vecchi vestiti». Ibn Battuta apprezza questa dimostrazione di stima, anche se non implica ancora niente di concreto riguardo a una possibile offerta di lavoro, alla futura carriera, alle ricchezze che si è ripromesso.
Attende in ansia l’incontro con l’uomo piú potente del mondo. Ma prima che avvenga lo colpisce una sventura privata: la sua bambina non ha retto alle fatiche del viaggio. Dal racconto non trapela fino a che punto sia addolorato per la morte della figlia; nello stile dell’epoca trattiene per sé quasi ogni emozione. Ma la descrizione delle circostanze precise della sepoltura, del profumo d’incenso, dell’acqua di rose, della recita dei versi del Corano, della presenza del visir, tradisce il suo profondo dolore. Ibn Battuta ricorda anche espressamente che la sua compagna, agli ultimi gradini della gerarchia sociale in quanto schiava, viene invitata al banchetto funebre nella casa della madre del sultano.
Avvicinandosi alla città il sultano fa una sosta in un castello a sette chilometri da Delhi. Lí sono convocati i nuovi arrivati. Forse Ibn Battuta è deluso, sperava che gli fosse concessa fin dall’inizio un’udienza pri...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Al di là dei confini
  4. Introduzione. Il piú grande viaggiatore di tutti i tempi. Il mio anno con Ibn Battuta
  5. I. Tangeri: le origini
  6. II. Il Cairo: trionfante
  7. III. Damasco: istruttiva
  8. IV. La Mecca: divina
  9. V. Shiraz: magica
  10. VI. Dubai: incredibile
  11. VII. Istanbul: verso il futuro
  12. VIII. Samarcanda: rivelatrice
  13. IX. Delhi: sconvolgente
  14. X. Malé: irreale
  15. XI. Giacarta: un luogo di speranza
  16. XII. Hangzhou: travolgente
  17. XIII. Granada: fedele alla tradizione
  18. Epilogo. L’eredità di Ibn Battuta
  19. Postfazione
  20. Ringraziamenti
  21. Nota del traduttore
  22. Il libro
  23. L’autore
  24. Copyright