Prima di me
eBook - ePub

Prima di me

  1. 208 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

È il 22 aprile 1977 quando per Graham Hendrick, goffo e noioso docente di storia alla London University, hanno inizio «i giorni di miele». Dall'indolenza di un matrimonio insapore, Graham torna a gioire accanto alla giovane Ann Mears, con trascorsi da attricetta in qualche film di serie B. Fino al triste giorno in cui Graham coglie in flagrante l'amata fedifraga, e poco importa che sia solo sullo schermo di un cinema di periferia. Il compassato professore precipita nell'abisso della gelosia retroattiva e la felicità dell'innamoramento deraglia in follia sanguinaria. Prima di me è una palpitante commedia nera che non lascia scampo: comico e macabro, raccapricciante e grottesco, è fra i romanzi piú cupi e divertenti che Julian Barnes abbia mai scritto. A trentotto anni, sposato da quindici, a metà strada con il pagamento di un mutuo e, verosimilmente, della sua stessa esistenza, a Graham Hendrick pare già di intravedere la china. Storico diligente, marito annoiato e padre distratto, è incapace di grandi emozioni e da tempo ha rinunciato ai piaceri del corpo, riducendosi a custodire tutto quanto abbia per lui valore nello spazio esiguo della sua scatola cranica. Poi, il 22 aprile 1977, incontra a una festa la giovane ed effervescente Ann Mears e da quel momento dà inizio ai suoi «giorni di miele». Dapprima si incontrano clandestinamente e di lei ama la spontaneità, la franchezza, quel modo incantevole e disinibito di parlare di sé e del suo passato; insomma, tutt'altro rispetto a ciò a cui lo ha abituato la moglie, la detestabile Barbara, dalla quale si separa molto presto. Graham e Ann convolano a nozze e la loro «vacanza» sembrerebbe destinata a durare tutta una vita. Senonché, Graham si ritrova in un cinema di periferia con la figlia Alice a vedere una pellicola in cui Ann recita il ruolo imbarazzante di sgualdrinella del gangster. È in quel preciso istante che il dubbio si insinua e il suo amore, che vorrebbe esclusivo, è inquinato dal rimpianto di non essere il primo, dall'ansia lacerante di scoprire chi e quanti lo hanno preceduto. Perché la sua gelosia, una lente che ingrandisce e distorce, non ha nulla a che fare con lo stato presente, e Graham, da storico rigoroso qual è, applica un metodo di ricerca infallibile, un'indagine tanto scrupolosa quanto ossessiva, al punto da non saper piú distinguere la vita vera dalla vita di celluloide, i fatti quotidiani dagli incubi notturni. C'è qualcosa che unisce Prima di me, pubblicato da Julian Barnes nel 1982, a Il pappagallo di Flaubert, uscito pochi anni piú tardi: il bisogno, la smania di scoprire la verità sulla vita di un altro, che si tratti del proprio idolo letterario e modello ispiratore, o della propria amatissima compagna di vita. La spettacolare maestria di Barnes consiste nel trascinarci passo passo dentro la dimensione comica della paranoia, fino a farci riconoscere la spaventosa plausibilità di ciò che appare dapprima semplicemente grottesco. Ne emerge un romanzo comico e scabroso, nonché un trattato lucidissimo sull'amore, il sesso, la gelosia, l'infedeltà e, non ultimo, il potere dell'immaginazione malata.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
Print ISBN
9788806221768
eBook ISBN
9788858426883
Otto

L’arenaria feminiana

Graham si sentiva male per non aver mai portato Alice allo zoo, ma cosí era andata. Non che odiasse gli animali: al contrario, trovava divertente la loro improbabilità, il modo fenomenale, quasi fantascientifico con cui si erano evoluti. Chi è stato a farvi quello scherzo da prete?, avrebbe voluto chiedere. A chi è venuto in mente che fosse una buona idea ridurti cosí?, aveva sussurrato all’orecchio della giraffa. Capisco la necessità di quel collo lungo per raggiungere le foglie piú alte, ma non sarebbe stato meglio fare gli alberi piú corti? O, visto che ci siamo, abituarti a mangiare cose piú vicine a terra? Coleotteri, per dire, o scorpioni? E come mai le giraffe pensavano che valesse la pena continuare a essere giraffe?
Per certi versi, gli sarebbe piaciuto portare Alice allo zoo: era un posto in cui persino il genitore piú imbranato non avrebbe fatto cilecca. E per quanto stucchevole, squattrinato o disprezzabile apparisse agli occhi del figlio, per quanto imbarazzanti fossero i suoi vestiti al saggio di fine anno, allo zoo poteva sempre riscattarsi. Poteva contare sulla generosità degli animali che lo inondavano della loro gloria riflessa, quasi fossero un prestigioso prodotto dell’immaginazione parentale. Guarda, è stato il mio papà a inventarli tutti; sí, anche i coccodrilli e gli emú e le zebre. L’unico aspetto delicato era il sesso: l’erezione di quel rinoceronte che pendeva come il pugno spellato di un gorilla o un taglio di carne che non hai il coraggio di chiedere al macellaio. Ma persino quei momenti potevano trovare spiegazione nell’evoluzione aberrante degli animali.
No, la vera ragione per cui Graham detestava gli zoo era perché sapeva che ne sarebbe uscito rattristato. Subito dopo il divorzio si era trovato a discutere di diritti di visita con Chilton, un collega con il quale prendeva un caffè di tanto in tanto, anche lui reduce da un matrimonio finito.
– E tua figlia dove vive? – aveva chiesto Chilton.
– Non è facile rispondere. Una volta si poteva dire St Pancras, quando c’erano ancora i vecchi quartieri, ma ora con la linea di Londra Nord…
Chilton non gli aveva lasciato il tempo di finire, non per insofferenza, ma semplicemente perché aveva già ottenuto sufficienti informazioni.
– Allora puoi portarla allo zoo.
– Oh. A dire il vero pensavo di portarla… beh, domenica prossima, comunque… di portarla… a prendere un tè in un autogrill sulla M1. Ho pensato che potesse essere qualcosa di diverso.
Chilton si era limitato a sorridere con l’aria di chi aveva capito tutto. Quando, qualche settimana piú tardi, anche Ann aveva dato per scontato che quella domenica sarebbe andato allo zoo con Alice, Graham non aveva commentato e aveva continuato a leggere come se niente fosse. Naturalmente avrebbe dovuto capire subito, quando Chilton ne aveva parlato. La domenica pomeriggio era destinata alle visite: ospedali, cimiteri, case di riposo e residenze di famiglie separate. Portare i figli dove ti eri ricostruito una vita era fuori discussione per via degli immaginari effetti nocivi che si sprigionavano dall’eventuale amante o dalla nuova moglie; portarli lontano manco a parlarne, visti i tempi limitati; e poi occorreva pensare alle due ossessioni pomeridiane dei bambini: merenda e pipí. Lo zoo era la risposta per chi abitava a Londra Nord: divertimento assicurato, moralmente inattaccabile dall’altro genitore, sale da tè e toilette in abbondanza.
Ma Graham non voleva saperne. Se lo immaginava, lo zoo di domenica pomeriggio: rari turisti, sparuti guardiani, frotte tristi di genitori single di mezza età con aria falsamente spensierata, aggrappati inutilmente e con disperazione a bambini di varie taglie. Se un viaggiatore nel tempo vi fosse atterrato all’improvviso, avrebbe dedotto che la specie umana aveva rinunciato al suo antico metodo di riproduzione, perfezionando in sua assenza la partenogenesi.
Date le circostanze, Graham si era rifiutato di esporsi a quella grande tristezza e aveva deciso che non avrebbe mai portato Alice allo zoo. Una volta, forse sollecitata da Barbara, la figlia ne aveva fatto cenno ma Graham aveva adottato una rigida linea morale, rimarcando quanto fosse ingiusto tenere gli animali in cattività. Piú volte aveva citato l’allevamento intensivo dei polli e, se per un adulto le sue osservazioni potevano sembrare ampollose, Alice le giudicava piene di buon senso: anche lei, come la maggior parte dei bambini, aveva una visione idealistica e sentimentale della Natura e la considerava qualcosa di diverso dall’Uomo. Per una volta Graham era riuscito a spuntarla su Barbara aggrappandosi a principî morali posticci.
Preferiva portare Alice in qualche sala da tè o a visitare musei e una volta, senza troppo successo, in un autogrill. Quel giorno non aveva messo in conto l’avversione della figlia di fronte a quella mole di cibo, allineato democraticamente e a qualunque ora dietro a un bancone. La vista di un pasticcio di rognone alle quattro del pomeriggio aveva praticamente annientato ogni speranza di vederla gustare un pasticcino.
Se faceva bello, passeggiavano in un parco o guardavano le vetrine dei negozi chiusi. Se pioveva, se ne stavano seduti in macchina a chiacchierare.
– Perché hai lasciato la mamma?
Era la prima volta che lo chiedeva e Graham non sapeva cosa rispondere. Girò la chiave nel quadro solo per accendere l’impianto elettrico, poi mise in azione i tergicristalli. I vetri si spannarono e rimasero a guardare una partita di pallone improvvisata nel giardinetto umidiccio di fronte a loro. Bastarono pochi secondi perché la pioggia trasformasse i profili dei giocatori in chiazze indistinte di colore. Di colpo, Graham si sentí perduto. Perché non esistevano i manuali delle buone risposte? Perché la rubrica I consumatori segnalano non comprendeva una sezione sui matrimoni falliti?
– Perché la mamma e io non eravamo piú felici insieme. Non… non andavamo piú d’accordo.
– Però mi hai sempre detto che amavi la mamma.
– Sí, ma a un certo punto non è stato piú cosí.
– Non me l’hai mai detto. Hai continuato a farmi credere che amavi la mamma fino al giorno in cui te ne sei andato.
– Beh, non volevo… agitarti. Avevi gli esami e le tue cose –. Quali cose? Le mestruazioni?
– Pensavo che avessi lasciato la mamma per, per lei –. Disse quel «lei» con un tono neutro, senza alcuna enfasi. Graham era certo che la figlia sapeva che si chiamava Ann.
– Infatti.
– Perciò non hai lasciato la mamma perché non andavate piú d’accordo. L’hai lasciata per lei –. Questa volta con enfasi, non con tono neutrale.
– Sí; no; cioè, piú o meno. La mamma e io non andavamo d’accordo già da molto tempo.
– Secondo Karen te ne sei andato perché sentivi che stavi invecchiando e volevi scaricare la mamma per prendertene una piú giovane.
– No, non è andata cosí –. Chi era Karen?
Scese il silenzio. Graham sperò che la conversazione fosse finita. Armeggiò con la chiave, ma non riuscí a mettere in moto.
– Papà, è stato… – Graham riuscí a cogliere in fondo agli occhi della figlia tutto il suo risentimento. – È stato un affare di cuore? – Pronunciò le parole con una certa titubanza, come se stesse usando quell’espressione per la prima volta.
Rispondere che non capivi cosa intendesse era fuori discussione. Rispondere che quella non era una vera domanda, idem. C’erano solo due caselle che si potevano spuntare e bisognava farlo in fretta.
– Sí, credo di sí.
Ammetterlo, senza sapere cosa volesse dire, né immaginare come Alice avrebbe potuto reagire a quella risposta lo aveva reso molto piú triste che portarla allo zoo.
Uno, si domandò Graham. Perché esiste la gelosia? Non solo per lui, ma per molta gente. Da cosa nasce? Ha a che fare con l’amore in un modo o nell’altro, eppure non si sa in quale misura né che senso abbia. Perché si era accesa all’improvviso nella sua mente, come la spia dell’altimetro di un aeroplano: sei secondi e mezzo, evacuazione, ora! Ecco cosa accadeva ogni tanto nella testa di Graham. E perché la gelosia aveva preso di mira proprio lui? Era forse un capriccio della chimica? O veniva dispensata alla nascita? Era una sorta di tendenza ereditaria, come il sedere grosso e la vista debole, due inconvenienti di cui Graham soffriva? E se cosí era, non poteva forse scomparire a un certo punto? Non poteva darsi che la sostanza chimica contenuta in quella scatoletta lassú dopo qualche anno si esaurisse? Forse, ma Graham ne dubitava: da anni aveva il sedere grosso e non si registrava alcun segnale di miglioramento su quel fronte.
Due. Siccome per qualche misteriosa ragione la gelosia pareva inevitabile, perché mai doveva agire a ritroso? Perché era l’unica emozione primaria a comportarsi cosí? Con le altre non succedeva. Se guardava una fotografia di Ann da ragazza o di quando era piú giovane, era assalito dal comprensibile rimpianto di non esserci stato; e se Ann gli raccontava di qualche immeritata punizione che le era stata inflitta durante l’infanzia, un istinto di protezione gli ribolliva in corpo. Ma si trattava di emozioni remote, come filtrate attraverso una garza; ci voleva poco a risvegliarle e poco a sopirle, continuando semplicemente a vivere nel presente, che non è il passato. La gelosia invece affiorava a fiotti, a ondate improvvise che ti lasciavano senza fiato; e se la matrice era irrilevante, la cura era sconosciuta. Perché il passato emotivo aveva il potere di farti impazzire?
Secondo Graham, c’era solo un altro caso simile. Alcuni studenti – non molti, non piú di uno all’anno, diciamo – si lasciavano prendere dal passato. Ne aveva uno sottomano proprio in quel periodo, un ragazzo rosso di capelli, un certo MacQualcosa (Gesú, gli occorreva ormai un anno per imparare i nomi di tutti quanti e a quel punto non li avrebbe mai piú rivisti; quasi quasi non ne valeva la pena), che si era letteralmente inferocito davanti all’incapacità del bene (cosí la vedeva lui) di trionfare sul male nella Storia. Perché x non aveva avuto la meglio? Perché z aveva sconfitto y? Graham gli vedeva scritte in faccia la confusione e la collera mentre lo fissava durante le lezioni in attesa di sentirsi dire che la Storia si era sbagliata, o per lo meno gli storici, che x in realtà si era solo dileguato ripresentandosi anni dopo come w, eccetera. Di norma Graham avrebbe attribuito tali reazioni a… a cosa? Immaturità, o piú precisamente, a una causa piú specifica, per esempio a un’educazione religiosa. Ma ora non ne era piú cosí sicuro. La rabbia di MacQualcosa nei confronti del passato metteva in gioco emozioni complesse scaturite da un vasto assortimento di personaggi e avvenimenti. Non era da escludere che fosse affetto da un senso della giustizia retroattivo.
Tre. Perché questo tipo di gelosia retroattiva si era manifestato proprio adesso, nell’ultimo quarto del ventesimo secolo? Graham non era uno storico per niente. Gli angoli si smussavano, le ostilità tra nazioni e continenti si attenuavano, le civiltà si facevano piú civili: agli occhi di Graham era tutto innegabile. Non dubitava che a poco a poco il mondo si sarebbe trasformato in un gigantesco stato sociale consacrato a scambi sportivi, culturali e sessuali, la cui moneta internazionale sarebbe consistita in apparecchiature Hi-Fi. Evitare sporadici eventi sismici o eruzioni vulcaniche sarebbe stato impossibile, ma persino le aggressioni vendicative della Natura si sarebbero potute prevenire in tempo.
Perché allora questa gelosia indesiderata e mal sopportata poteva persistere e soltanto per continuare a fotterti? Come l’orecchio medio, utile solo per farti perdere il senso dell’equilibrio, o l’appendice che esiste solo per infiammarsi e costringerti a rimuoverla. Come si rimuove la gelosia?
Quattro. Perché, con tutta la gente al mondo, doveva capitare proprio a lui? Che fosse una persona molto sensibile lo sapeva. Barbara, naturalmente, aveva cercato di fargli credere che era un mostro di egoismo, un orribile maniaco, un nanerottolo senza cuore, ma la cosa era del tutto comprensibile. Anzi, il solo fatto che Graham lo capisse era un’ulteriore prova della sua sensibilità. E tutti lo avevano definito tale: la madre per consolarlo, la prima moglie per schernirlo, i colleghi per elogiarlo, la seconda moglie per esprimere, con quel suo sguardo obliquo, affetto e derisione al contempo. Ecco cos’era, e la cosa gli andava a genio.
E poi non è che fosse proprio un casanova. C’era stata Barbara, poi Ann, e quello era praticamente tutto. Forse ciò che aveva provato per Barbara era stato amplificato dall’entusiasmante novità delle emozioni, mentre i suoi sentimenti per Ann, ai quali riconosceva piena maturità, erano affiorati poco per volta. E fra i due episodi? Beh, fra i due episodi vi erano state alcune occasioni in cui si era impegnato a far sorgere qualcosa di molto vicino all’amore, ma il tutto si era concluso con una sorta di impellente sentimentalismo.
E siccome era arrivato ad ammettere tutto questo sul proprio conto, gli sembrava particolarmente ingiusto che fosse lui a essere punito. Qualcuno aveva attizzato il fuoco, ma era stato lui a bruciarsi. Forse era questo il nocciolo della questione. Forse arrivava da qui la teoria di Jack sul matrimonio: «A ciascuno la sua croce». Forse questa tesi, per quanto corretta, non andava molto lontano. E se alla fine dei conti non fosse dipeso dalla natura del matrimonio – nel cui caso, trattandosi di Jack, si poteva biasimare la «società», scrollare le spalle e continuare a essere infedele fino a quando non gli fosse passata – bensí dalla natura stessa dell’amore? Ipotesi, questa, molto meno allettante: di fatto, ciò che tutti avevano inseguito si rivelava sempre inevitabilmente fallimentare e senza appello, quasi una reazione chimica. No, quel pensiero non gli piaceva per niente.
– Puoi sempre scoparti una delle tue studentesse.
– Certo che no.
– Certo che sí. Lo fanno tutti. A che servono, altrimenti? D’accordo, non sei esattamente un figo, ma di solito ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prima di me
  4. I. Tre vestiti e un violino
  5. II. In flagrante
  6. III. A ciascuno la sua croce
  7. IV. Sansepolcro, Poggibonsi
  8. V. Ritardati e Cervelloni
  9. VI. Il Signor Autolavaggio
  10. VII. Su un mucchio di letame
  11. VIII. L’arenaria feminiana
  12. IX. A volte un sigaro…
  13. X. La sindrome di Stanley Spencer
  14. XI. Il cavallo e il coccodrillo
  15. Il libro
  16. L’autore
  17. Dello stesso autore
  18. Copyright