Il monastero delle ombre perdute
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Il monastero delle ombre perdute

  1. 336 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il monastero delle ombre perdute

Informazioni su questo libro

Roma, giugno 1625. La giovane Leonora Baroni entra con uno spasimante nelle catacombe di Domitilla, ma qui s'imbatte nel cadavere di un uomo e, con uguale orrore, in una donna dalla faccia di capra. Due giorni dopo l'inquisitore fra' Girolamo Svampa, in esilio in Toscana, riceve la visita di padre Francesco Capiferro, segretario dell'Indice, che ha l'incarico di riportarlo nell'Urbe per far luce sul delitto. Nominato commissarius nonostante l'opposizione di Gabriele da Saluzzo, suo storico nemico, lo Svampa, aiutato dal fedele Cagnolo Alfieri, inizia l'inchiesta prendendo contatti con la famiglia di Leonora, e subito comprende che il terreno su cui dovrà muoversi è parecchio scivoloso. Questa, infatti, è figlia di Adriana Basile, celebre cantante e sorella del grande scrittore napoletano Giambattista, che a causa di una fiaba finisce con l'essere pericolosamente coinvolto nella vicenda. A complicare le cose, il «circolo delle donne cantanti» raccolto intorno a Adriana e la sorella di quest'ultima, Margherita, un personaggio enigmatico, dai molteplici talenti, che per lo Svampa sembra nutrire un interesse particolare. «Lo Svampa si avvicinò con passi leggeri e si chinò su padre Capiferro per controllarne il respiro. Non gli era mai capitato di osservarlo cosí da vicino e per la prima volta fece caso alla sua fronte nobile, ben distesa, e al naso aquilino. Raramente si soffermava sui tratti fisici delle persone e ancor piú di rado ne conservava memoria. A quel genere di particolari, fin troppo comuni e ripetitivi, ne preferiva di piú astratti, derivati dalle sensazioni e dai contesti legati alla gente con cui aveva a che fare. Come se ogni singolo individuo si riducesse a una nebulosa di pensieri, colori e odori che di tanto in tanto entravano in collisione con lui, costringendolo a prenderne atto. Si rialzò e ripiegò verso l'uscita. Per il momento, il suo piano di vendetta doveva attendere. Tanto valeva occuparsi del caso per cui era stato richiamato a Roma».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
Print ISBN
9788806228699
eBook ISBN
9788858427934
Parte quinta

Le carte insanguinate

62.

Ripa Grande.

In brevissimo tempo la zona antistante il porto si gremí di gente. Il camerlengo di Ripa Grande con i suoi armigeri, le guardie di dogana, gli arsenalotti e i birri di Trastevere erano accorsi a frotte insieme a una gran quantità di popolo. Gli unici a cercar di porre rimedio ai danni dell’esplosione erano però i focaroli. Radunati per la maggior parte intorno a un carro con cisterna, stavano dirigendo con una pompa idraulica un getto d’acqua sul cratere di fumo e brace apertosi nel galeone di monsignor Gonzaga. Altri di loro correvano lungo le banchine per estinguere a suon di secchiate i focolai attecchiti sulle imbarcazioni circostanti.
Lo Svampa e Capiferro assistevano in disparte, ancora mezzi rintronati dalla deflagrazione che li aveva quasi scaraventati oltre i dossi del fiume. Pur essendone usciti illesi, l’inquisitore aveva riportato delle escoriazioni sul lato sinistro del viso e il segretario perso la sua pipa. Molto peggio di loro stava il vescovo di Rodi che, precipitatosi sul luogo in sella a un corsiero bardato di tutto punto, osservava il relitto della sua costosissima nave con la bocca e gli occhi spalancati.
Prima di esprimersi sull’accaduto, lo Svampa attese che due birri estraessero i corpi dalle macerie. Soltanto tre, dal momento che il resto della ciurma era sbarcato da giorni. I primi due appartenevano ai compagni d’arme di messer Ferrante, brutalmente deturpati dall’esplosione. Il terzo, trovato ai margini delle banchine, era invece di un giovane che fu identificato come il sorvegliante del galeone. A differenza degli altri due era stato trovato a terra e non sembrava essere stato coinvolto nella deflagrazione. Un breve esame rivelò, all’altezza della gola, la presenza di un bubbone violaceo in cui l’inquisitore riconobbe il punctum diabolicum.
– La nostra assassina si fa piú audace, – commentò Capiferro.
Lo Svampa annuí. – Ha ucciso il sorvegliante per introdursi a bordo, dopodiché ha dato fuoco alle polveri. Se fossimo giunti un attimo prima l’avremmo forse scorta mentre fuggiva.
– E ora? – continuò il segretario. – Il vostro piano è andato in fumo insieme alla nave.
– Non è detto, – replicò il commissarius, incamminandosi tra la folla verso il vescovo di Rodi.
Quest’ultimo, appena sceso da cavallo, fissava attonito l’albero di bompresso che, divelto da prua, si era conficcato a terra come l’enorme corno di un mostro marino.
– Devo rivolgervi alcune domande, – gli disse lo Svampa, scostando con malgarbo le persone che si frapponevano fra loro.
– Non me ne avete già rivolte abbastanza? – sbottò il prelato, riversando sul domenicano tutto il suo dispiacere.
– Rincresce piú a me che a voi, – gli assicurò con freddezza fra’ Girolamo. – Ma le circostanze m’impongono di far di necessità virtú.
Monsignor Gonzaga lo mandò al diavolo con un gestaccio. Poi, dato addio al natante come se fosse stato davanti alla tomba del padre, marciò verso di lui con lo sguardo truce. – Non qui, – grugní, indicando la sommità di un dosso. – Meglio là, dove nessuno può udirci.
Proseguirono quindi su una lieve pendenza coperta di sterpaglie, fermandosi in un punto abbastanza elevato da offrire la vista della zona portuale. Il fumo e le fiamme esalate dal relitto andavano estinguendosi sotto il getto d’acqua dei focaroli.
– Non ho da chiedervi nulla di personale, – attaccò lo Svampa. – Né soffermarmi su quanto mi avete già raccontato.
– E allora cosa? – lo sferzò il prelato, sempre scontroso.
– Intendo conoscere la rotta che avete seguito per giungere fino a Roma.
Gonzaga apparve perplesso. – Perché mai?
L’inquisitore fissava impassibile le rive del Tevere, un mosaico di natanti e forme umane che brancolavano caotiche, quasi mosse dalle forze del caso. – Limitatevi a rispondere.
– Be’, – disse il vescovo, – non ho nulla da nascondere. Provenivo da Candia.
– Una delle poche piazzeforti cristiane ancora sicure nel Mediterraneo orientale.
– O Mar Bianco, come lo chiamano i turchi, – confermò l’altro. – Mi ero spinto fin là per strappare alcune informazioni sullo stato di Rodi e…
– I vostri affari non m’importano. Ditemi quali scali avete fatto.
– Assai pochi, a onor del vero. Per far ritorno ai nostri lidi ho veleggiato senza sosta tra le isole greche, sfiorando come già sapete Negroponte e la Morea, per poi imboccare lo stretto di Messina. Soltanto allora mi son sentito al sicuro dalle navi ottomane e ho sostato a Napoli.
– Soltanto a Napoli? – volle sincerarsi il commissarius.
– Potete chiedere conferma al mio primo ufficiale, – rispose il prelato, tornando aggressivo. – Lo troverete senz’altro a ubriacarsi in qualche bettola di Trastevere.
Lo Svampa scosse il capo, a intendere che non ce n’era bisogno. – Napoli, dunque.
Gonzaga annuí. – Son rimasto attraccato al porto per una notte e un giorno.
– E in quell’occasione avete registrato eventi degni di nota?
– Nulla che io rammenti, a parte l’imbarco di qualche pellegrino diretto a Roma.
L’inquisitore si adombrò. – Dei pellegrini?
– Poveri diavoli, una decina in tutto, – spiegò il prelato. – Cercavano un imbarco per prender parte al giubileo. Li ho accolti sul mio galeone per pura carità cristiana. Ma prima di questo… – si portò la mano alla fronte, come per stimolare la memoria, – è vero, quasi dimenticavo… Ci fu anche la richiesta di messer Ferrante.
– Quale richiesta?
– Pretese di scendere a terra per confessarsi e ricevere i sacramenti.
– E voi lo consentiste?
– Perché mai avrei dovuto oppormi? Gli interessi di Ferrante Cattaneo erano per Roma, non per Napoli. Inoltre, se non m’inganno, egli si ripresentò a bordo nell’arco di poche ore, tranquillo e sereno. Il tempo di imbarcare i pellegrini di cui vi ho accennato e levammo l’ancora.
A quel punto lo Svampa guardò dabbasso, verso Capiferro che passeggiava come un bambino curioso intorno al carro-cisterna dei focaroli. – Bene, non ho altre domande.
Gonzaga emise una risatina incredula. – E mi avreste disturbato per una simile scemenza?
L’inquisitore, che stava già scendendo dal dosso, non lo degnò della minima considerazione.
– Napoli, – disse appena fu accanto a Capiferro. – C’è la possibilità che questa vicenda sia iniziata a Napoli.
– Ne siete sicuro?
Lo Svampa non lo era affatto, ma aveva a disposizione soltanto quella traccia. – Secondo il resoconto di monsignor Gonzaga sarebbe l’unico momento in cui Ferrante Cattaneo è sceso a terra dopo Negroponte e prima di Roma, – si limitò a spiegare. – Se corrisponde al vero, è stato là che il cavaliere di Santo Stefano può aver innescato qualcosa. Sempre che il vescovo di Rodi non mi abbia mentito…
Lasciò il discorso in sospeso, accorgendosi con una punta d’irritazione che il confratello non lo stava piú ascoltando.
– Cosa vi prende? – lo interrogò.
Capiferro si era accigliato e lambiccava il labbro inferiore in mancanza della pipa. – Napoli, avete detto, – rimuginò.
– Sí. Ebbene?
– Forse potrei dar consistenza alle vostre supposizioni con dei dati concreti. Dati che non provengono dalla bocca di un essere umano ma da fonti scritte, – e gli sorrise allusivo. – Ma per farlo dovremo tornare da padre Bollandus ed esaminare un particolare oggetto. Un oggetto che il nostro amico agiografo ci ha mostrato soltanto di sfuggita.

63.

Rione Pigna.

Davanti alla facciata del Collegio romano, Johannes Bollandus era intento a caricare i suoi averi su un piccolo carro. L’arco del sole aveva superato da molto il momento della canicola, ma lui aveva il volto arrossato e lucido di sudore, tradendo l’insofferenza al caldo delle genti del Nord. Dietro una coppia di muli uniti da un giogo, il pianale era stipato da pile di libri e da un baule semiaperto da cui s’intravedevano un astrolabio e un orologio a lanterna.
– Ve ne andate sul piú bello? – proferí una voce alle sue spalle.
Preso com’era a cacciare tra gli spazi liberi i suoi ultimi effetti personali, l’agiografo sobbalzò per lo spavento. – Ah, quale sorpresa… – squittí, riconoscendo padre Capiferro. – Me ne vado, sí, – ripose con modi sbrigativi. – Ritengo d’essermi trattenuto fin troppo.
– Al contrario, – obiettò lo Svampa, comparendo alla sua sinistra. – Dovrete aspettare un altro po’. Finché il caso non sarà risolto, per lo meno.
– Ma vi ho già detto tutto quel che sapevo! – protestò Bollandus.
– Me lo auguro, – disse intimidatorio il commissarius. – Saranno i fatti a decretarlo.
– E nell’attesa che ciò accada, – soggiunse il segretario, – gradirei dare un’ultima scorsa alla vostra mappa.
– La mappa?
– Quella dei sotterranei, – precisò Capiferro. – I sotterranei che ci hanno condotti dalla cripta di San Nicola in carcere fino al monastero perduto di Ammone. Rammentate?
Per un attimo Bollandus diede l’impressione di volersi gettare in ginocchio e supplicare i due domenicani di lasciarlo andare. Gli ultimi eventi dovevano aver messo fin troppo alla prova il suo cuor di coniglio, senza contare la notizia del galeone esploso a Ripa Grande. Un’occhiata imperiosa dello Svampa, tuttavia, indusse il belga a balzare sul carro e a estrarre da un baule una pergamena del colore dell’oro.
Il segretario se la fece subito consegnare. – Confermate che vi fu data dalla donna mascherata? – volle accertarsi. – Una donna di cui non conoscete né l’identità né la provenienza?
– Sí, – rispose il gesuita.
– Bene, – si limitò a dire il segretario, dopodiché iniziò a esaminare il documento. Lo espose con cura alla luce e lo studiò da molto vicino, recto e verso, in ogni angolo, addirittura annusandolo. – Come immaginavo… – mormorò poi compiaciuto. – Oltremodo interessante…
– Smettete di gongolarvi, – lo ammoní lo Svampa, – e manifestate il vostro pensiero.
Capiferro rimase ben muto finché non ebbe concluso la sua minuziosa perizia. – La prima volta che vidi questo vello m’ingannai, – decretò infine. – Vedete il disegno della facciata di San Nicola in carcere? – e mostrò la mappa al confratello. – È diverso dall’attuale. Ha un aspetto arcaico, in linea con la pergamena che è senz’altro molto antica. Per queste ragioni all’inizio avevo supposto che avesse almeno tre secoli.
– E non è cosí? – si stupí Bollandus.
– L’inchiostro è stato steso di fresco, – rivelò il segretario. – Nemmeno da un mese, a giudicare dall’odore.
– Come spiegate allora l’antichità della pergamena? – intervenne lo Svampa.
– Qui viene il bello, – ridacchiò Capiferro. – La pergamena, ribadisco, è di sicuro molto antica. Cosí antica che ripensandoci, poche ore fa, mi è tornato alla memoria un suo particolare. Date un’occhiata ai margini.
L’inquisitore non capiva dove il confratello volesse andare a parare e nemmeno in quale modo una simile verifica potesse avvalorare la testimonianza del vescovo di Rodi. Tuttavia l’assecondò. E seguendo l’invito si accorse che il disegno dei sotterranei occupava soltanto il centro de...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il monastero delle ombre perdute
  4. Prologo
  5. Parte prima. Corpus delicti
  6. Parte seconda. La carrozza nera
  7. Parte terza. L’avemaria dei morti
  8. Parte quarta. La notte delle spie
  9. Parte quinta. Le carte insanguinate
  10. Epilogo
  11. Nota dell’autore
  12. Ringraziamenti
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright