Invito a nozze
  1. 232 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

«Erano le quattro del pomeriggio: la cucina quadrata, sepolta nel buio, era quieta. Frankie, seduta al tavolo con gli occhi semichiusi, pensava a un matrimonio e fantasticava». Frankie Addams, a dodici anni, è già vicina al metro e settanta d'altezza, e immagina che i freak del circo itinerante - il gigante, la donna cannone, l'ermafrodito - le strizzino l'occhio con intenzione. Legge della guerra sui giornali e sogna di arruolarsi, ma piú di tutto sogna di scappare dalla cittadina di provincia dove ha come soli amici il cuginetto di otto anni e la domestica nera del padre. Quando viene invitata a Winter Hill per il matrimonio del fratello, Frankie prepara la valigia e si augura di non tornare mai piú. È la premessa di un viaggio dalla penombra di una casa natale dove «tutto rimaneva immobile» alle insidie di un mondo che, mai come quell'estate, pareva «lanciato a una velocità di millesettecento chilometri all'ora».

«Con l'accumulo di immagini e la musicalità della prosa, Carson McCullers riesce a evocare la singolarità dell'esperienza senza mai giudicarla».

Joyce Carol Oates «Tutta l'opera di Carson McCullers gira intorno al problema insolubile del desiderio umano». Tennessee Williams

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
Print ISBN
9788806192280
eBook ISBN
9788858427811

Parte seconda

1.

Il giorno prima del matrimonio non fu come tutti gli altri, per Frankie. Dopo quell’estate soffocante e vuota, la città le si spalancò d’un tratto davanti e la accolse in maniera nuova. Per via del matrimonio, Jasmine si sentiva unita a tutto ciò che vedeva quel sabato, girando per la città con l’aria di una regina e andando dappertutto. Fin dal mattino, il mondo non le sembrava piú estraneo; si trovò di colpo a farne parte, e nulla la stupiva: come per magia, tutto era naturale.
Aveva visto, nella casa di campagna di uno zio di John Henry, certi vecchi muli ciechi girare eternamente in tondo per smuovere un torchio che spremeva il succo della canna da zucchero; e aveva pensato alla vecchia Frankie, che nella monotonia della vita estiva assomigliava a quei muli di campagna: in città, bighellonava attorno ai banchi dei grandi magazzini, sedeva in prima fila agli spettacoli del Palace, girellava intorno al negozio di suo padre o si fermava agli angoli delle vie a osservare i soldati. Ma quel sabato mattina fu diverso: andò in luoghi dove non si era mai sognata d’entrare; prima in un albergo: non era il primo della città e neppure il secondo, ma era un albergo. E ci andò in compagnia di un soldato, e anche questo fu un avvenimento imprevisto: era la prima volta che incontrava quel militare. E se soltanto ieri la vecchia Frankie avesse visto quella scena da lanterna magica in fondo al periscopio di un mago, avrebbe stretto le labbra, incredula. Ma era una mattina, quella, in cui accadevano molte cose straordinarie, e la meraviglia era perfino capovolta: l’inatteso non le provocava piú sorpresa, ma quel che aveva sempre conosciuto, quel che le era familiare ora la colpiva con uno strano senso di pudore.
La giornata cominciò con il risveglio all’alba, e fu come se il fratello e la fidanzata, durante la notte, avessero dormito in fondo al suo cuore, cosí che il pensiero le corse subito al matrimonio. Poi pensò alla città. Ora che abbandonava la sua casa provava una strana sensazione, come se in quell’ultimo giorno la città la chiamasse, l’aspettasse. L’azzurro freddo dell’alba tingeva le finestre della sua stanza. Il vecchio gallo dei MacKean cantava. Frankie si alzò in fretta, e accese l’abat-jour e il generatore.
Era la vecchia Frankie di ieri a trovarsi nell’imbarazzo, ma Jasmine non si meravigliava piú di nulla, e già da un pezzo si era abituata all’idea del matrimonio. La notte intercorsa aveva la sua parte in tutto ciò. Nei dodici anni precedenti, ogni volta che si era verificato un cambiamento improvviso sempre Frankie aveva conosciuto uno stato di ansia, mentre il cambiamento era in corso; ma dopo averci dormito sopra una notte, all’indomani, nessuna novità le appariva piú cosí improvvisa. Due estati avanti, quando con i West aveva fatto una gita alla baia di Port Saint Peter, la prima sera di mare, con l’oceano grigio e mosso e la spiaggia deserta, le aveva dato l’impressione di una cosa nuova e strana; Frankie aveva gironzolato aguzzando gli occhi e mettendo le mani sulle cose, quasi dubbiosa. Passata la prima notte, e appena sveglia il giorno dopo, era come se conoscesse Port Saint Peter da sempre. Ora accadeva lo stesso con il matrimonio. Frankie non si poneva piú domande e pensava ad altro.
Si sedette alla scrivania. Indossava soltanto i pantaloni del pigiama, a strisce bianche e azzurre, arrotolati sopra il ginocchio. Dondolando il piede destro, scalzo, sul sinistro, cominciò a pensare a tutto ciò che avrebbe dovuto fare quell’ultimo giorno. Alcune poteva nominarle, ma altre non poteva né contarle sulle dita, né elencarle a parole. Per cominciare, stabilí di farsi dei biglietti da visita con «F. Jasmine Addams» stampato in corsivo su graziosi cartoncini. Si calcò in testa la visiera verde da sole, ritagliò un foglio di cartone e agganciò a ciascun orecchio una penna. Ma il suo cervello era inquieto e distratto da altri pensieri: poco dopo, cominciò a mettersi in ordine per andare in città. Quella mattina si vestí con cura indossando l’abito di organza, che era quello serio, da signorina, e il migliore; si diede un po’ di rossetto sulle labbra e qualche goccia di Dolce serenata. Quando lei scese, suo padre, molto mattiniero, era già affaccendato in cucina.
– Buongiorno, papà!
Suo padre si chiamava Royal Quincy Addams; era proprietario di una gioielleria a pochissima distanza da Main Street. Le rispose con una specie di borbottio, perché, da persona matura, gli piaceva bere tre tazze di caffè prima di iniziare la conversazione del giorno: meritava, d’altronde, un po’ di pace e di riposo prima di sprofondare il naso nel suo lavoro. Jasmine, essendosi dovuta alzare durante la notte per bere un bicchier d’acqua, lo aveva sentito tramestare nella sua stanza. E quella mattina aveva il viso pallido come il formaggio, gli occhi arrossati e pesti. Era una di quelle mattine in cui suo padre era capace di mandare indietro un piattino perché la tazza non ci si adattava bene, ci si muoveva sopra; allora posava la tazza sulla tavola o sul caminetto, lasciando cerchi scuri sopra ogni cosa, mentre le mosche vi si ammucchiavano placidamente intorno. Sul pavimento era sparso lo zucchero e ogni volta che gli scricchiolava sotto i piedi il suo volto si contraeva. Quella mattina indossava un paio di pantaloni grigi alla zuava e una camicia azzurra col colletto sbottonato e la cravatta non annodata. Da giugno in poi, Frankie aveva nutrito, sebbene non volesse ammetterlo, un segreto rancore verso di lui, proprio dalla notte in cui le aveva detto: «Ma chi è questa stupidona tutta gambe che, a dodici anni, vuole dormire ancora insieme al suo vecchio papà?» Adesso però il rancore era svanito. Le sembrò, d’un tratto, di vedere suo padre per la prima volta, e lo vedeva non soltanto come era in quel momento, ma come nei ritratti del passato che le turbinavano e le si accavallavano nella mente. Tali ricordi, passeggeri e fugaci, costrinsero Jasmine a fermarsi, immobile e col capo piegato, e a osservarlo contemporaneamente nella stanza reale e dentro di sé. Ma aveva qualcosa da dirgli e, quando parlò, la sua voce suonò falsa:
– Papà, credo di dovertelo dire subito. Dopo il matrimonio, io non tornerò piú.
Lui aveva bene le orecchie per sentire, grandi orecchie a sventola con gli orli violacei, ma non l’ascoltava. Era vedovo, essendo morta la madre di Frankie il giorno stesso che lei era nata, e come tale aveva le sue fissazioni. Certe volte, specialmente di primo mattino, non dava retta alle cose che Frankie diceva o gli suggeriva. Perciò lei alzò la voce e gli scandí bene le parole.
– Devo comprare il vestito e le scarpe e un paio di calze rosa di seta per andare al matrimonio.
Il padre la ascoltò, e dopo attenta considerazione le fece un segno di assenso. I fiocchi d’avena bollivano lentamente tra bollicine azzurre e collose, e mentre apparecchiava la tavola Frankie lo esaminava e pensava. Le mattinate d’inverno con i fiori di ghiaccio sui vetri delle finestre, la stufa che brontolava, e l’aspetto strano della mano massiccia e scura del padre, poggiata sulla sua spalla, mentre la aiutava a superare una parte difficile di un problema di aritmetica dell’ultimo minuto.
Frankie vedeva ancora le lunghe, azzurre serate primaverili, e il padre sul balcone, con i piedi sulla ringhiera, occupato a bere la birra ghiacciata che le aveva ordinato di portargli dal Finny’s Place. Lo vedeva, ancora, nel negozio, curvo sul banco di lavoro mentre immergeva una minuscola molla nella benzina, che fischiettava esaminando con la sua lente rotonda l’interno di un orologio. Cosí i ricordi arrivavano improvvisi, mulinando, ognuno vestito con i colori della sua stagione, e per la prima volta Frankie volgeva lo sguardo su tutti i dodici anni della sua vita, e, da lontano, li ripensava come una cosa sola.
– Papà, – disse, – ti scriverò delle lettere.
Lui stava passeggiando nell’aria sonnacchiosa dell’alba come uno che ha smarrito qualche cosa e non sa piú cosa. Guardandolo, il suo vecchio rancore spariva, e lei si sentiva triste. Quando se ne fosse andata, lui, rimasto tutto solo nella casa, avrebbe sentito la sua mancanza, avrebbe sofferto di quella solitudine. Frankie avrebbe voluto dire qualche parola per esprimergli il suo rincrescimento e il suo affetto, ma proprio allora lui si schiarí la voce, in quel modo tutto particolare di quando si accingeva a comandare:
– Mi vuoi fare il piacere di dirmi cosa ne è stato del cacciavite e della chiave inglese? Erano nella cassetta degli attrezzi in veranda, sul retro.
– La chiave inglese e il cacciavite… – Frankie stava con le spalle curve e il piede sinistro contro il polpaccio della gamba destra, – li ho presi io, papà.
– E ora dove sono?
Frankie Jasmine si mise a pensare. – Sono a casa dei West.
– Ora stai bene attenta, e ascoltami, – disse il padre, stringendo il cucchiaio con cui aveva rimestato l’avena e scuotendolo quasi a sottolineare le sue parole. – Se non hai il buon senso e il giudizio di non toccare le mie cose…
La guardò a lungo, in modo minaccioso, e concluse: – Bisognerà che ti dia una lezione. D’ora in poi, dovrai rigare dritto, se no ti darò una lezione! – Annusò improvvisamente l’aria. – Ma quel toast, non è che sta bruciando?
Quando Frankie Jasmine, quello stesso giorno, uscí di casa, era ancora mattina presto. Il morbido grigiore dell’alba si era illuminato, e ora il cielo era di un azzurro pallido e umido, quasi un cielo appena dipinto ad acquarelli e non ancora asciutto.
C’era un senso di freschezza nell’aria luminosa, e uno strato di fresca rugiada sull’erba ingiallita e riarsa. Da un giardino lungo la via Frankie Jasmine udiva venire delle voci, le voci sonore dei bambini del vicinato che cercavano di scavare una piscina. Erano bambini di tutte le altezze e di tutte le età, e non facevano parte di nessuna associazione. Nelle estati passate, in quel quartiere, la vecchia Frankie era stata quasi il capo o la presidentessa degli scavatori della piscina. Ora, a dodici anni, si era ormai resa conto che, continuando a scavare metri e metri di terra, non sarebbero riusciti ad avere altro che un fosso melmoso.
Ora Frankie Jasmine, attraversando il proprio giardino, rivedeva con gli occhi della fantasia i bambini brulicanti e udiva in fondo alla via le loro grida e i loro canti. Quella mattina, per la prima volta in vita sua, percepiva una certa dolcezza in quei suoni, ed era commossa. Strano a dirsi, lo stesso giardino di casa sua, che aveva sempre detestato, ora la commoveva un po’, dopo che per tanto tempo non ci aveva nemmeno badato. Lí, sotto l’olmo, c’era la sua vecchia riserva di bibite fresche, una cassa che si poteva spostare seguendo l’ombra, con la scritta: «Osteria alla goccia di rugiada».
Era quella l’ora del mattino in cui, con le gazzose pronte in un secchio, Frankie si sedeva con i piedi scalzi sul banco, il cappello messicano calato sulla faccia, gli occhi chiusi e, aspirando il forte odore della paglia scaldata dal sole, aspettava.
Certe volte venivano dei clienti, e allora mandava John Henry all’A. and P. a comprare dolci, ma altre volte Satana tentatore aveva il sopravvento, e si beveva lei tutta la scorta. Quella mattina però la bancarella sembrava molto piccola e incerta, e lei sapeva che non l’avrebbe mai piú gestita. Frankie Jasmine la riteneva ormai una cosa passata e finita, accaduta tanto tempo prima. In quell’istante, ebbe una nuova idea: fra due giorni, quando si fosse riunita a Janice e Jarvis lontano da lí, avrebbe rievocato i vecchi giorni, e… Ma fu un progetto che Frankie Jasmine non finí perché, mentre quei nomi le indugiavano nella mente, tutta la felicità per il matrimonio insorse dentro di lei e, sebbene fosse un giorno di agosto, rabbrividí.
Anche Main Street le sembrava di rivederla dopo molti anni, sebbene l’avesse percorsa da cima a fondo il mercoledí prima. C’erano i soliti magazzini di mattoni che occupavano quattro interi isolati, la banca grande e bianca e, in lontananza, il cotonificio, tutto fitto di finestre. L’ampio viale era diviso in due da una stretta striscia di erba ai cui lati le automobili avanzavano lentamente, quasi centellinando la strada. I marciapiedi, grigi e lustri, la folla dei passanti, le tende rigate sopra le porte dei negozi, tutto era come sempre, eppure mentre camminava, quella mattina, Jasmine si sentiva libera come una viaggiatrice che non avesse mai visto la città prima di allora.
Ma non era tutto: arrivata in fondo a Main Street lungo il lato sinistro, e tornata indietro per il marciapiede di destra, Frankie Jasmine si rese conto di un’altra novità: riguardava varie persone, alcune note, altre sconosciute, che incontrava o superava lungo la strada. Un vecchio nero, impettito e superbo sul sedile del suo carro sferragliante, trasportava verso il mercato del sabato una mula cieca e triste.
Lei gli rivolse uno sguardo che il nero ricambiò, e, in apparenza, questo fu tutto. Ma in quello sguardo Frankie Jasmine sentí correre tra i loro occhi come un nuovo inesplicabile legame, quasi si conoscessero già. Ebbe l’improvvisa visione del Paese di quell’uomo: i campi, le sterrate, i pini calmi e scuri, e tutto nell’attimo in cui il carro, a scossoni, la oltrepassava sul selciato urbano. Allora desiderò che quell’uomo la conoscesse e fosse al corrente anche lui del matrimonio.
La stessa cosa si ripeté parecchie volte di seguito, lungo quei quattro isolati: con una signora che entrava nel negozio di McDougal, con un omino che aspettava l’autobus di fronte alla grande Prima banca nazionale insieme a Tut Ryan, un amico di suo padre. Era una sensazione impossibile da spiegare in parole, e quando...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Invito a nozze
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Il libro
  8. L’autrice
  9. Della stessa autrice
  10. Copyright