Come avevo potuto non parlargliene e chiedergli perché aveva sopportato la soppressione dell’intervallo?
Adesso tutte le commedie filano verso la fine, ma quella zona di prefinale era, direi, necessaria. Ti faceva capire la posizione dell’autore, in bilico verso la conclusione.
Non sempre il pubblico ci pensava, contento di muoversi verso il bar, dov’erano pronte le ordinazioni dei capocomici: un caffè, un cappuccino, un tè, una spremuta di qualche cosa.
Abbiamo sempre vissuto quell’intervallo sapendo che i nostri capocomici piú grandi ne avevano avuti due o anche tre. Erano il frutto di una certa produttività creativa degli autori, ma anche di un’abitudine.
A noi attori, vecchi attori, manca molto l’attesa della critica. Alla fine della prima si restava alla sede del giornale per chiedere della critica. Qualche volta deludente, altre entusiasmante.
Per il critico era interessante vedere quale effetto aveva lo spettacolo sul pubblico e parlare anche di questo nel suo scritto. Usciva distrutto da quelle nottate.
A volte gli articoli erano già quasi pronti, magari perché qualche critico aveva assistito alle prove oppure un amico dell’autore gli aveva passato il testo. Comunque la critica era sempre lunga e dettagliata. Non cosÃ, adesso: al critico è concesso uno spazio breve e noi lo aspettiamo anche qualche settimana. La nostra attesa della prima è finita.
Mi viene in mente, chiarissimo, il festival wagneriano di Bayreuth, al quale ho partecipato un paio di volte. Non solo prevedeva, per tradizione, gli intervalli nell’opera, ma addirittura lo spazio di una cena.
Una volta che sono andata per un Tannhäuser, ricordo che mi è passata accanto una lussuosa Mercedes che conteneva una signora evidentemente teutonica con un piccolo diadema che lasciava presagire l’abito lungo e i robusti piedi calzati d’argento. Aveva sicuramente una prenotazione per la cena.
Il pubblico germanico, amante della tradizione, conciliava felicemente, in serate come quella, l’amore per l’opera e per il buon cibo. Una felicità che in fondo potrebbe essere anche italiana.
Comunque ricordo che fu una bellissima edizione dell’opera.
E ricordo che mi hai detto, sempre col tuo sorriso: «Quanto hai viaggiato per criticarmi!»
Entro in teatro come sempre troppo presto, come sempre troppo elegantina. Guardo il manifesto: La brocca rotta di Von Kleist. Non conosco nessuno tranne il protagonista.
«Perché l’ha voluto fare?» mi dico.
Un giovane giornalista mi risponde senza volerlo:
«Tanto ne avranno tagliata mezza!»
Tra lo scarso pubblico impera il jeans anche femminile. Le ultime magliette maschili della stagione. Il giovane giornalista è già sparito.
Il pubblico, che sembrava scarso, aumenta, si profilano molti ritardatari come da tipica première romana.
Perché il teatro dev’essere diventato una punizione? Non credo che sia un maledetto caso, quasi sempre è intenzionale. Come è intenzionale la trasformazione contorta di vecchi testi piacevoli, forse troppo semplici (ma non certo questo), anche sopportabili, pensavo seduta sola durante l’infernale seconda ora. Da quando si è creduto necessario sovvenzionare il teatro, il teatro ha cessato di dover anche divertire.
La libertà rendeva gli uomini piú intelligenti. Libertà dagli obblighi di una finta cultura. Intanto sta per cominciare la seconda parte, con qualche vuoto in platea.
Certo non è una novità . Noto che i piú giovani se ne sono già andati mentre i piú vecchi sono rimasti. Seduta accanto a me c’è una signora. Vecchia.
Mi dice: «Pensi che avevo visto la commedia con la Torrieri, non la ricordavo, altrimenti non ci sarei venuta. Mi ricordavo i costumi, però. Belli!»
«Se non sbaglio la Torrieri è diventata famosa per O’Neill», le rispondo. E lei:
«Chi?»
Intanto un pregevole germanologo apre la seconda parte introducendo La brocca rotta e parlando di Von Kleist. La signora si alza e creando non poco disturbo se ne va.
Ho coperto il rumore con una risata, ma non so se sia stato meglio. Cercavo il mio amico per un parere. Non c’era…
Molti attori di teatro sono stati anche autori. Inutile citarli. È su di loro che si concentra la mia curiosità .
Non è roba solo da leggere, è anche da recitare, e la scelta delle parole è certamente una cosa difficile. Io non so fare altro, credo.
È praticamente far vivere qualcuno che non sai se vuole vivere o addirittura nascere. Durante questo travaglio a chi puoi rivolgerti?
Un personaggio può impadronirsi di se stesso lasciando trasecolato l’autore. Succede piú facilmente in un testo teatrale. Nato da uno spunto immaginario che pur assomiglia alla vita, improvvisamente s’incammina deciso e dirompente nella sua realtà trascinando l’autore lontano dalla sua fantasia.
Una piccola parte dell’antico personaggio sarà interpretata dal giovane e temerario figlio che ha trovato da solo la sua strada per uscire dalla penna.
Potrebbe anche essere il successo della commedia. Spesso lo è.
Il teatro è stato per una lunga stagione il centro di attitudini ridicole.
A partire dal famoso «birignao», largamente imitato, bene o malissimo. Fino all’entrata in vigore di vere e proprie regole di recitazione che hanno caratterizzato primi attori e prime donne.
Sono le cose che il tempo, che non sempre ha cattivo gusto, si è lentamente scrollato di dosso. La discreta moda simulata non è sempre gradevole. Tuttavia il teatro deve pur avere il suo guizzo ridicolo, altrimenti che gusto c’è?
L’immagine di uno spettacolo è abbastanza fugace se non ti diverti. Ma se ti diverti, ti si deposita nel corpo ovunque, testa, mani, occhi, gambe, schiena: sono frammenti di quella storia che hai vissuto, per mesi, un anno, due, ma sempre e comunque vissuto. Una vita come uno specchio dalle molte facce. E tendi sempre a guardarti nelle prime facce dello specchio.
Il teatro è la magia del ricordo, iterazione anche storica. In molti casi la storia è sembrata piú bella. Il destino piú generoso. Le note a margine segnalano sempre degli errori. Non li vuoi conoscere, tanto il tempo saprà a chi dar ragione.
Molto spesso – è il destino dei vecchi – una ragazza o anche un gruppetto di giovani mi chiede consigli su come si cominci, su cosa si debba fare.
In genere, dato che non si sa mai cosa rispondere in questi casi, se si vuole essere onesti o perlomeno sinceri, si parla della pressoché impossibile certezza interiore di avere talento. Bisogna chiederselo, e con lucidità : «Ho talento?»
Forse neanche la Duse lo sapeva.
Magari Sarah Bernhardt sÃ, visto che era piú frizzante e si vestiva da uomo.
Però c’è un modo per saperlo, o almeno per capire se si vuole veramente intraprendere questa carriera. Se entri in scena e senti che ci stai bene, e prendi addirittura un applauso, anche piccolo, capirai di aver chiuso con l’altra esistenza. Allora ti sarà chiaro che il teatro sarà la tua nuova vita, e di quella di prima te ne importerà sempre meno. Il teatro è anche piú forte dell’amore, nella tua vita prenderà un posto piú importante di qualsiasi uomo. Forse anche di un figlio.
Si tende a credere che il teatro abbia delle regole.
Da chi non ne fa parte, ti senti dire: «Come sono andate le prove? Siete contenti?»
Ci si trova a rispondere sempre le stesse cose, che i primi due giorni ci hanno confermato la bontà del testo, la ragazza nuova è incerta...