La ferita, quella vera
  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

È il 1986 in un paesino della provincia francese: un posto dove tutti si conoscono da sempre e nel quale le vacanze, con l'arrivo dei villeggianti, sono l'unico, possibile momento di novità. François ha quindici anni e due pensieri che martellano ossessivi in testa. Il primo è il suo credo ferocemente comunista. Il secondo, l'assoluta urgenza di perdere la verginità. I giorni scivolano tra progetti ingegnosi, fantasie erotiche e approcci mal riusciti, fino all'incontro con Julie. L'incontro che forse potrebbe cambiare tutto. Ma ci sono cose che non cambiano mai, e molti anni dopo eccola lí, la ferita ancora aperta lasciata da quell'estate lontana.

«Le gioie fragili e febbrili dei ragazzi, la litania della loro insofferenza e dei loro desideri, raccontati in modo assolutamente perfetto».
Le Monde

«Ho sempre imbrogliato, ma oggi mi ritrovo stanco di eludere il discorso e con l'urgenza di ammettere che in effetti c'è qualcosa che è ora di raccontare. È arrivato il momento, per quanto mi costi, di risalire alla ferita. Di risalire all'86. All'estate dell'86».

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La ferita, quella vera di François Bégaudeau, Lorenza Pieri, Tiziana Lo Porto, Lorenza Pieri,Tiziana Lo Porto in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
Print ISBN
9788806224172
eBook ISBN
9788858427927

1.

La verità è che sono vent’anni che non smetto di ridere. Ed è preoccupante, quasi inquietante, un’anomalia visto che ci sarebbe piú che altro da piangere, tragedie, porcherie, malattie, fatica di vivere, paura di non vivere piú.
Tutt’intorno ci si preoccupa, ci si inquieta, si sospetta un problema, si intuisce un’ammissione di colpevolezza in questo mio negare con eccessiva veemenza. Nasconde qualcosa, una piaga, una scorticatura, uno strappo incurabile alla felicità.
Ho sempre imbrogliato, ma oggi mi ritrovo stanco di eludere il discorso e con l’urgenza di ammettere che in effetti c’è qualcosa che è ora di raccontare.
È arrivato il momento, per quanto mi costi, di risalire alla ferita.
Di risalire all’86.
All’estate dell’86.
Domenica 7 luglio 1986, ore 14.35, la Renault 19 familiare incrocia una R4 beige in cui a occupare l’abitacolo c’è solo una contadina sdentata con un foulard in testa. Viaggia in direzione Saint-Gilles-Croix-de-Vie, noi andiamo verso la casa di Saint-Michel-en-l’Herm dove i miei hanno vissuto per quindici anni, mio fratello per quattordici, mia sorella per nove, io per sette, e dove stiamo durante le vacanze scolastiche da quando nel settembre del 1978 ci siamo trasferiti a Nantes.
Cento chilometri fa ho chiesto a mio padre di farci arrivare alle quindici per la finale di Wimbledon. Ha guardato l’orologio e cominciato a forzare i sorpassi, subendo richiami regolari con i fari.
Di tanto in tanto una cunetta solletica il basso ventre. Un decimo di secondo in assenza di peso. Potremmo precipitare in un fosso per un incidente mortalissimo, cinque sbrindellati in un colpo, sarebbe orribile e lo racconterei dall’aldilà. E invece no.
Il guidatore zelante sorpassa nel suo slancio un rimorchio di barbabietole agganciate a un placido trattore. Al cartello barrato di Saint-Denis-du-Payré, il mio orologio al quarzo impermeabile Seiko segna le 14.46. Calcolo che mantenendo una velocità di novantacinque chilometri all’ora, potrei anche vedere le palle di riscaldamento durante le quali le tribune verde bottiglia acclamano il nome del loro preferito con un accento inglese che adoro imitare.
Una volta arrivati, scarico per formalità la ghiacciaia in polistirolo e una sacca piena di libri che non aprirò per tutta l’estate, né la sacca né i libri, poi sprofondo davanti alla tv addentando una golden aspra del giardino.
Becker riceve il servizio di Lendl e vince il primo set. Tiro su un braccio con foga. Come l’insieme della popolazione mondiale e malgrado la mia simpatia per i Paesi dell’Est, detesto il ceco dalla maglia a losanghe, e i diciassette focosi anni del tedesco compensano il debito della sua nazionalità.
Mi mancano due anni a vincere Wimbledon. Nelle interviste che rilascio alla stampa internazionale dalla mia stanza a Nantes, dico che non ne ho fatto un’ossessione, che per me si tratta solo di accontentare i fan impazienti di vedere il mio gioco d’attacco esprimersi al meglio sul prato londinese.
Il rosso Becker conquista il secondo set e procede di filato verso una facile vittoria. Dovrei esultare, palpitare di quella gioia che si prova quando ci si avvicina al sacro, i miei occhi dovrebbero velarsi di angoscia ogni volta che il mio favorito serve una seconda palla.
Non esulto. Il mio cuore batte a ritmo normale. Non mi si vela un bel nulla.
La verità è che mi annoio, ed è la prima volta che succede davanti a una finale. Quando Lendl rimonta a un tre a tre durante il terzo set, mi ritrovo a temere che lo vinca e che dovrò subire ancora uno o due set.
Sono combattuto tra il mio ruolo di fan del tennis e la smania di muovermi. Tre scambi piú in là, qualcosa risolve il dilemma. Mi vedo disertare la sala da pranzo e incrociare mio padre, che si rallegra di questo mio slancio verso l’aria aperta invece di starmene rinchiuso come un idiota. Mi vedo staccare la bici Motobécane a doppia corona dal fondo del granaio. Mia madre ha seguito la manovra e chiede che cosa ho in mente. Le dico che vado a fare un giro del paese. Ha un sorriso che capisce tutto e fa sí con la testa.
– Non la guardi la fine della partita?
– Ho una cosa da fare.
E per fare quella cosa so chi devo trovare.
Senza mani corro giú per rue des Saints-Martyrs, taglio la piazza del mercato deserta in diagonale, brucio disinvolto lo stop della posta. Il paese è vuoto. Sono tutti transumati verso la spiaggia, tranne le sagome ricurve e nere dei vecchi rintanati nelle sacche d’ombra.
Due di loro discutono con le mani sul bastone davanti all’Hôtel des Abbés dove, fintanto che era vivo, Napoleone si fermò una notte. Dormí male per via delle zanzare di palude e l’indomani ripartí verso nord per fondare La Roche-sur-Yon.
Sdraio la mia Motobécane 2x5 velocità sull’erba in fondo al sentiero di sassi che porta dai Courreau. Ci sono le farfalle. Il cancello cigola. Il vomere dell’aratro immobile s’è stancato di arrugginirsi in mezzo al cortile. Alla fine è lei ad aprirmi, grida acuta, mi bacia senza labbra, nel farlo si toglie gli occhiali Sécu che aveva già quando mi guardava i mercoledí pomeriggio. Nei riposini sul lettino ai piedi del suo, russava e rantolava come un orco. Poi ci svegliavamo e tutto era dolce. La brioche ai fiori d’arancio davanti ai cartoni animati delle quattro. Le Fruité al pompelmo. Il placido brusio del frigo Brandt. La sua voce.
– Sei cresciuto ancora, eh?
Per una volta la trita osservazione ha un senso. La visita medica di fine anno ha riportato che mi sono allungato di sette centimetri in otto mesi. Ho la voce piú roca anche se non quanto vorrei, un brufolo che torna ciclicamente sotto il labbro inferiore, uno strato di peluria alla base del naso e non ho avuto il coraggio di chiedere un rasoio elettrico per il mio compleanno il marzo scorso. Da sei mesi taglio i peli con le forbici, una cosa imbecille. Imbecillità duratura al posto di un fastidio preciso, una scelta da sfigato, la mia.
All’appello brioso di sua moglie, René Courreau, che non ho mai visto senza berretto, ha trascinato le pantofole fino alla sala da pranzo, dove la credenza non s’è ancora data alla fuga.
– Guarda qua com’è cresciuto il buffoncello.
René sorride per approvare. René sorride continuamente. Una bontà di quelle che non le puoi scrostare, come gli stivali da campagna che si vedono sulle scale.
La credenza non s’è mossa, e nemmeno la testa di cervo che per una qualche incomprensibile ragione chiamavo Éric.
Su mia richiesta mi dicono che Joe non è tornato per pranzo dopo il giro dei giornali.
– Lo sai com’è fatto, non dice mai niente a nonnino e nonnina.
Nonnino e nonnina si sono sposati nel giugno del 1956 per legittimare un figlio che è arrivato due settimane dopo la cerimonia in chiesa e se n’è ripartito ventun anni dopo, stritolato dalla lamiera della Simca 1100 che il suo miglior amico Jean-Michel Potier ubriaco di pastis aveva scagliato contro il muro di cinta dello stadio comunale. Jean-Michel ne è venuto fuori indenne e depresso a vita. Prima che nonnina ne morisse di dolore, nonnino ha tirato fuori dall’hangar la Tre Cavalli per andare a Luçon a vedere se per caso l’assistenza pubblica non avesse un piccolino che rimpiazzasse il loro. Gli hanno presentato un maschietto di sei anni che era stato raccattato sulla strada di Triaize, mollato lí da una cicogna o da un oggetto volante non identificato. La settimana dopo, nonnina è andata a vedere il bambino caduto all’ufo e lo ha amato all’istante come un figlio. Non si sapeva il nome né niente, e allora gli hanno chiesto, come vuoi che ti chiamiamo piccolino? Il piccolo di ufo ha detto, Joe. Era la prima parola che diceva, doveva tenerci, di colpo nonnina l’ha preso sulle ginocchia e ha detto, dài un bacio alla tua nonnina, Joe. Da quel momento non ha mai smesso di pronunciare la j alla francese, come per sua cugina Jacqueline che è nata con la poliomielite, quando invece il piccolo di ufo l’aveva pronunciata all’americana, come in John Wayne di cui magari è figlio, anche se non si ha notizia che John Wayne sia mai stato a Luçon, e neanche a Les Sables-d’Olonne, dove gli americani comprano una dopo l’altra le case davanti al mare.
Nonnina mi fa sedere e mi offre il pezzo di brioche ai fiori d’arancio destinata a Joe. Rifiuto con la mano, mi propone del burro da metterci sopra. Faccio presente che ho fretta, avvicina un barattolo di confettura di prugne. Mi alzo per andarmene, porta dalla cucina un vasetto di senape pieno di Fruité al pompelmo e decorato con diversi membri della famiglia dei Barbapapà. Barbabella, Barbabravo, qualche altro.
– Come sta la piccola Laurence?
Faccio spallucce per dire che non lo so, gesto da attore perfezionato negli anni perché nonnina mi pone sistematicamente la domanda. Il frigo Brandt ronza.
– Nemmeno a noi ci scrive piú.
Nonnino raddoppia il sorriso preparandosi alla parte. Sa dove nonnina vuole arrivare. I mercoledí si organizzavano in modo che la signora Bertin lasciasse lí sua figlia Laurence e giocassimo tutti e due nel cortile accanto al vomere già arrugginito, e che ci piacessimo molto, e che poi ci sposassimo nella chiesa di San Cristiano, protettore degli innamorati. Abbiamo giocato, ci siamo piaciuti molto, non ci siamo sposati. Laurence Bertin è andata a vivere a La Rochelle con la madre divorziata e le ultime notizie sono che è fan di Whitney Houston. La vita non va com’era scritta, la pagina è bianca e per riempirla devo sottrarmi alle mani di brioche di nonnina.
– Di già? Non si capisce perché non stai mai fermo, tu.
Da sempre stimo a sessanta il numero di anni che mi toccano da vivere e li divido per la mia età. A sei anni ne avevo fatti un decimo, a dieci un sesto. Ogni anno si riducono, scalpito, di notte aspetto il giorno. A quindici anni ne ho già fatti un quarto e il 7 luglio 1986 ho già bruciato diciotto ore, non c’è piú tempo da perdere.
Il bar della piazza del municipio non lo chiamiamo L’Extase, come dice il cartello illuminato per metà, lo chiamiamo «da Gaga». Anche se il proprietario non si chiama Gaston né si veste in modo eccentrico o raffinato. Né tanto meno dice ga-ga-gà per far ridere i neonati, che non gli piacciono neanche tanto, preferisce pescare rane e il Ricard, se possibile contemporaneamente. Una volta l’hanno trovato addormentato ubriaco sulla riva dello stagno dei Sagrestani, con una rana in cima al cappello Miko e la canna tra le gambe che glielo faceva duro senza motivo, come capita spesso anche a me. Mamma Baquet dice che finirà per bersi tutto il bar, sedie e tavoli compresi. Nell’istante in cui entro, lui finisce un solitario sul bancone e mi saluta sollevando con l’indice la tesa del cappello di paglia senza rana.
– Cosa serviamo al nantese?
L’anno scorso bevevo Monaco. Quest’anno è un altro giorno, ho cambiato, mi sono spuntati peli anche nel cervello, non mi manca molto a essere uomo, voglio che se ne accorgano ma prendere una birra alla spina qui su due piedi mi farebbe passare per quello che vuole che se ne accorgano. Chiedo un panaché, un po’ insoddisfatto del compromesso che svaluta le due opzioni. Le mezzetinte per non rischiare di essere cosí sicuri di sé da diventare ridicoli, un’altra scelta perdente e anche questa è mia.
Un vecchio con il berretto fiaccato dal caldo se ne sta zitto davanti a un Suze, occhi rugosi chiusi. Per tutta la vita ha gestito una fattoria. La fattoria è rimasta bloccata nel passato e lui insieme alla fattoria. Gaga lo accompagnerà appena il bar chiude.
Chiedo se questo pomeriggio Joe s’è fatto vivo. Ostento e godo nel dire «fatto vivo». Gaga alza le spalle per rispondere che non sa e indica con un re di cuori Tony Moreau.
Per sapere le cose devi parlare con Tony Moreau, che trovi solo da Gaga, e da Gaga sta solo tra il biliardino e il muro decorato con le coppe dell’associazione sportiva di Saint-Michel. Nessuno l’ha mai visto neanche al cesso. All’inizio Gaga sospettava che si svuotasse dentro il buco dove cadono le palline di gomma quando metti un franco, ma no.
– Ciao, Tony.
L’anno scorso aveva già l’anello all’orecchio sinistro, ma non questa maglietta Seb c’est bien.
– Come butta, Tony?
Chi vince resta, e dunque resta sempre Tony, che difende con una mano limitandosi soltanto a muovere la stecca del portiere e caccia fuori gli insulti senza guardare a chi sono destinati.
– Si dice che a Nantes ci sono solo verginelli, roba da non crederci.
– Hai visto Joe?
Tony sceglie sempre i calciatori rossi. Se gli chiedi perché ti dice è il colore dell’ano di tua sorella dopo che me la sarò ripassata. Cosí di colpo, facendo scendere le dieci palline. Poi chiede la puntata del tizio davanti che probabilmente non sa chi è Tony perché ha messo una banconota da dieci franchi dietro la rete rossa come l’ano di m...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La ferita, quella vera
  4. 1.
  5. 2.
  6. 3.
  7. 4.
  8. 5.
  9. 6.
  10. 7.
  11. 8.
  12. 9.
  13. 10.
  14. 11.
  15. 12.
  16. 13.
  17. 14.
  18. 15.
  19. 16.
  20. 17.
  21. 18.
  22. 19.
  23. 20.
  24. Il libro
  25. L’autore
  26. Dello stesso autore
  27. Copyright