Dove sei, mondo bello
eBook - ePub

Dove sei, mondo bello

  1. 312 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Dove sei, mondo bello

Informazioni su questo libro

«Chi pensa che Sally Rooney parli di una generazione, sbaglia. Il suo è il racconto preciso, straziante di un'epoca».
Teresa Ciabatti

Alice ha scritto due romanzi di enorme successo, ma per trovare compagnia deve andare su Tinder. Eileen, la sua amica, lavora per una rivista letteraria, però non ci paga l'affitto. Simon ama da sempre la stessa donna, ma da sempre ne frequenta altre. Felix passa in birreria il tempo libero dal lavoro di magazziniere, ma la sua è soltanto una fuga. Alice, Eileen, Simon e Felix si parlano, si fraintendono, si deludono e si amano e, mentre attraversano il cerchio di fuoco dei trent'anni, si chiedono se esista davvero, al di là, un mondo bello in cui sperare.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2022
eBook ISBN
9788858439166

1.

Una donna era seduta nel bar di un albergo, con gli occhi alla porta. Il suo aspetto era lindo e curato: camicetta bianca, capelli biondi ravviati dietro le orecchie. Diede un’occhiata allo schermo del telefono, su cui era aperta un’interfaccia di messaggistica, poi tornò a guardare la porta. Era marzo inoltrato, il bar era tranquillo e oltre la vetrata alla sua destra il sole iniziava a tramontare sull’Atlantico. Erano le sette e quattro minuti, poi cinque, sei. Si ispezionò brevemente le unghie senza percettibile interesse. Alle sette e otto minuti un uomo entrò dalla porta. Fisico snello e capelli scuri, la faccia stretta. Si guardò intorno, passando in rassegna gli altri avventori, dopodiché tirò fuori il telefono e controllò lo schermo. La donna accanto alla vetrata lo notò ma, a parte osservarlo, non tentò di catturarne l’attenzione. Sembravano avere piú o meno la stessa età, intorno ai trent’anni. Lei lo lasciò dov’era finché lui la vide e si avvicinò.
Alice? disse.
Sono io, disse lei.
Ottimo, io sono Felix. Scusa il ritardo.
Con tono garbato lei rispose: Non c’è problema. Lui le chiese che cosa voleva bere e andò a ordinare al bancone. La cameriera gli chiese come se la passava e lui rispose: Bene, bene, tu? Ordinò un vodka tonic e una pinta di lager. Anziché portare al tavolo la bottiglietta di acqua tonica, la vuotò nel bicchiere con un rapido ed esperto movimento del polso. La donna al tavolo tamburellava le dita su un sottobicchiere, in attesa. Da quando l’uomo era entrato nel locale, i suoi modi si erano fatti piú vigili e scattanti. Adesso guardò il tramonto oltre i vetri come se destasse il suo interesse, benché prima non ci avesse minimamente fatto caso. Quando l’uomo tornò e posò le bevande sul tavolo, una goccia di lager tracimò e lei la guardò scivolare rapida lungo il bicchiere.
Dicevi che ti sei appena trasferita, disse lui. Giusto?
Lei annuí, sorseggiò il suo drink, si leccò il labbro superiore.
E perché l’hai fatto? chiese lui.
In che senso?
Nel senso, non sono molti quelli che si trasferiscono qui, in genere. Da qui è piú normale andarsene. Di sicuro non sei qui per lavoro, o sbaglio?
Be’. No, non esattamente.
Un breve scambio di occhiate sembrò confermare che si aspettava qualche spiegazione in piú. L’espressione di lei vacillò, come se stesse cercando di decidersi, quindi gli rivolse un sorrisetto disinvolto, quasi complice.
Be’, avevo comunque intenzione di trasferirmi e ho saputo di questa casa appena fuori dal paese, disse, un mio amico conosceva i proprietari. Era una vita che tentavano di venderla, a quanto pare, e alla fine hanno iniziato a cercare qualcuno che ci andasse a stare nel frattempo. Insomma, ho pensato che sarebbe stato bello vivere al mare. Forse è stata una decisione un po’ impulsiva, in effetti. Comunque… La storia è questa, altre ragioni non ce n’erano.
Lui beveva e ascoltava. Verso la fine del discorso lei sembrava essersi un po’ agitata, cosa che si tradusse in un respiro affannoso e in una specie di espressione autoironica. Lui assistette alla scena impassibile poi posò il bicchiere.
Ho capito, disse. E prima stavi a Dublino, giusto?
Tra l’altro. Sono stata qualche tempo a New York. Sono di Dublino, mi pare di avertelo detto. Ma fino all’anno scorso ho vissuto a New York.
E cosa farai adesso che sei qui? Cercherai lavoro o che?
Lei esitò. Lui sorrise e si appoggiò allo schienale, sempre guardandola.
Scusa per tutte queste domande, disse. Mi sa che la storia non mi è ancora del tutto chiara.
Figurati, nessun fastidio. Ma non sono molto brava a rispondere, come vedi.
E quindi che lavoro fai? È l’ultima domanda.
Lei restituí il sorriso, adesso contratto. Sono una scrittrice, disse. Perché non mi dici cosa fai tu?
Ah, non è fuori dal comune come il tuo. Mi piacerebbe sapere cosa scrivi, ma non te lo chiederò. Io lavoro in un magazzino, fuori città.
E cosa fai?
Be’, cosa faccio, ripeté lui con piglio filosofico. Prendo gli ordini dagli scaffali, li metto in un carrello e li porto su all’imballaggio. Niente di che.
Quindi non ti piace?
Oddio no, disse lui. È un lavoro del cazzo. Ma se facevo qualcosa che mi piaceva mica mi pagavano, ti pare? È questo il punto col lavoro, se fosse piacevole uno lo farebbe gratis.
Lei sorrise e disse che era vero. Fuori il cielo si era scurito, e giú al parcheggio delle roulotte le luci iniziavano ad accendersi: l’alone freddo e salmastro delle lampade da esterno, le finestre illuminate di un giallo piú caldo. La cameriera era uscita da dietro il bancone per passare lo straccio sui tavoli liberi. La donna di nome Alice la osservò per qualche secondo, poi tornò all’uomo.
E allora, cosa si fa per divertirsi da queste parti? chiese.
È come in qualunque altro posto. Pub qui in giro ce ne sono pochi. C’è un club giú a Ballina, sono circa venti minuti di macchina. E poi abbiamo le giostre, chiaro, ma quelle sono piú per i bambini. Immagino che qui non avrai tutti questi amici, o sbaglio?
Mi sa che da quando sono arrivata sei la prima persona con cui ho avuto una conversazione.
Lui alzò le sopracciglia. Sei timida? disse.
Tu che dici.
Si guardarono. Lei adesso non sembrava piú agitata, ma in qualche modo distante, mentre lui le percorreva il viso con gli occhi, come cercando di venirne a capo. Alla fine, dopo un secondo o due, non sembrò ritenere di esserci riuscito.
Non lo escluderei, disse.
Lei gli chiese dove abitava e lui disse che aveva una casa in affitto con degli amici poco lontano. Guardando fuori dalla vetrata aggiunse che da dov’erano seduti si vedeva, appena dopo il parcheggio delle roulotte. Si protese sopra il tavolo per indicargliela, ma poi disse che in realtà era troppo buio. Comunque, è appena lí dall’altra parte, disse. Mentre era proteso accanto a lei i loro occhi si incontrarono. Lei abbassò lo sguardo, e tornando a sedersi lui sembrò reprimere un sorriso. Lei gli chiese se i suoi vivevano ancora in zona. Lui disse che sua madre era morta l’anno prima e che suo padre era «Dio sa dove».
Cioè, a dirla tutta, probabilmente è da qualche parte tipo Galway, aggiunse. Non credo proprio che si farà vivo dall’Argentina o che. Ma non lo vedo da anni.
Mi dispiace molto per tua madre, disse lei.
Già. Grazie.
A dire il vero anch’io non vedo mio padre da un po’. Non è… molto affidabile.
Felix alzò gli occhi dal bicchiere. Ah? disse. Beve?
Mh-mh. E poi… hai presente, racconta storie.
Felix annuí. Credevo che quello fosse il tuo, di mestiere.
A queste parole lei arrossí visibilmente, il che parve coglierlo di sorpresa se non addirittura metterlo in allarme. Molto spiritoso, disse lei. Comunque. Vuoi bere qualcos’altro?
Dopo un secondo bicchiere ne presero un terzo. Lui le chiese se aveva fratelli e lei disse uno, un fratello piú piccolo. Lui pure, disse, aveva un fratello. Alla fine del terzo drink Alice aveva la faccia rosa e gli occhi vitrei e lucidi. Felix era identico a quando era entrato nel bar, nessun cambiamento di modi né di tono. Ma mentre lo sguardo di lei vagava sempre di piú per il locale, manifestando un interesse esteso all’ambiente circostante, l’attenzione di lui nei suoi confronti si era fatta piú vigile e intensa. Lei fece tintinnare il ghiaccio nel bicchiere vuoto, intrattenendosi per conto suo.
Ti va di vedere casa mia? chiese. Ero impaziente di sfoggiarla ma non ho nessuno da invitare. Voglio dire, certo, inviterò i miei amici. Ma sono sparsi un po’ ovunque.
A New York.
Piú che altro a Dublino.
Dov’è la casa? chiese lui. Possiamo andarci a piedi?
Assolutamente. Anzi, dobbiamo. Io non guido, tu?
Non adesso, no. O comunque non correrei il rischio. Ma la patente ce l’ho, sí.
Ah ecco, mormorò lei. Romantico. Ne prendi un’altra o andiamo?
A questa domanda lui si accigliò, o forse era il modo in cui la domanda era stata formulata, o l’uso della parola «romantico». Lei rovistava nella borsetta senza alzare lo sguardo.
Massí, andiamo, perché no, disse lui.
Lei si alzò e iniziò a infilarsi il soprabito, un impermeabile monopetto beige. Lui la guardò arrotolarsi una manica per pareggiarla con l’altra. In piedi, era appena appena piú alto di lei.
È lontano? chiese.
Lei gli sorrise scherzosa. Ci stai ripensando? disse. Se a un certo punto sei stanco di camminare puoi sempre mollarmi e tornare indietro, io ormai ci sono abituata. A farla a piedi, intendo. Non a farmi mollare. Forse sono abituata anche a quello, ma non è il genere di cosa che confido agli sconosciuti.
A questo lui non replicò, si limitò ad annuire, con un’espressione paziente e vagamente severa, come se questo aspetto della personalità di lei, la sua tendenza a essere «spiritosa» e prolissa, fosse, dopo un’ora o due di conversazione, un tratto che aveva notato e deciso di ignorare. Mentre uscivano diede la buonanotte alla cameriera. Alice ne rimase colpita, e lanciò un’occhiata da sopra la spalla come nel tentativo di scorgerla ancora una volta. Quando furono fuori sul marciapiede, gli chiese se la conosceva. Dietro di loro la marea si spezzò in una debole corrente rassicurante e l’aria era gelida.
La ragazza che lavora lí? disse Felix. Sí, la conosco. Sinead. Perché?
Si chiederà cosa ci facevi lí a parlare con me.
Con tono piatto, Felix ribatté: Direi che un’idea ce l’ha. Da che parte?
Alice infilò le mani nelle tasche dell’impermeabile e imboccò la salita. Nel tono di lui sembrava aver ravvisato una sfida o perfino un rifiuto, ed era come se questo, invece che intimorirla, avesse rafforzato la sua determinazione.
Perché, ti capita spesso di incontrarci delle donne? chiese.
Per tenerle dietro, lui era costretto a camminare veloce. È una strana domanda, disse.
Davvero? Forse sono io che sono strana.
Sono fatti tuoi se ci incontro della gente? disse lui.
Se sono fatti tuoi non sono miei, ovviamente. Ero solo curiosa.
Lui sembrò pensarci su, e nel frattempo, con voce piú pacata e meno sicura, ripeté: Okay, ma non vedo in cosa sarebbero fatti tuoi. Dopo un attimo aggiunse: Sei stata tu a proporre quell’albergo. Per tua informazione. In genere io non ci vado mai. Quindi no, non ci incontro tutta questa gente. Okay?
Okay, non c’è problema. A stuzzicare la mia curiosità è stato il tuo commento sulla ragazza dietro il bancone che «avrebbe un’idea» su quello che facevamo lí.
Be’, che era un appuntamento l’ha capito sicuro, disse lui. Non intendevo nient’altro.
Anche se non si voltò a guardarlo, la faccia di Alice iniziava a tradire un certo divertimento, o quantomeno un divertimento diverso. Non ti dà fastidio che chi ti conosce ti veda incontrarti con delle sconosciute? chiese.
Intendi perché è imbarazzante o co...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dove sei, mondo bello
  4. 1.
  5. 2.
  6. 3.
  7. 4.
  8. 5.
  9. 6.
  10. 7.
  11. 8.
  12. 9.
  13. 10.
  14. 11.
  15. 12.
  16. 13.
  17. 14.
  18. 15.
  19. 16.
  20. 17.
  21. 18.
  22. 19.
  23. 20.
  24. 21.
  25. 22.
  26. 23.
  27. 24.
  28. 25.
  29. 26.
  30. 27.
  31. 28.
  32. 29.
  33. 30.
  34. Ringraziamenti
  35. Il libro
  36. L’autrice
  37. Della stessa autrice
  38. Copyright