Inizio
La storia di Ercole è d’amore, violoncello, bicicletta e destino.
Il giorno in cui nacque sopra la città passò un dirigibile – silenzioso – seguito da una fila di gru lunghe e magrette. Lorenzo sollevando il figlio dalla culla disse:
– Secondo me questo è un bambino comico, avventuroso, forte e musicale. Mettiamogli nome Ercole, come il nonno, eh?
– È un nome molto impegnativo, – disse Cecilia, ancora sognante per il parto.
Sofia, che aveva quasi due anni e le gote rosate, guardava il neonato con gelosia.
Quando ebbe quattro anni Ercole imparò ad andare in biciclettina – e con Lorenzo, Cecilia e Sofia giravano per diletto (a quell’epoca le auto erano rare), salutati da amici e conoscenti. Lorenzo amava mostrare la sua nuova famiglia e far vedere quanto si volevano bene – e tutti, conoscendo la storia di Irene morta sulla nave dell’India e la disperazione di Lorenzo, erano contenti vedendo come lui era rinato e aveva ritrovato il gusto di suonare.
Per via dell’orecchio intonato Ercole era molto seguito dal padre che lo vezzeggiava coi sopra nomi – fra i quali preferito era ratatÃn.
Un giorno, poco dopo che Ercole compà i cinque anni, Lorenzo arrivò a casa con un piccolo violoncello e gli disse:
– Siccome hai l’orecchio perfetto – e io me ne intendo – vedo che potrai diventare un buon musicista. Ecco, questo violoncellino si chiama un quarto. Oggi cominciamo a suonare.
Gli impostò la posizione della mano destra sull’impugnatura dell’arco e lo fece tirare sulle quattro corde, do sol re la. Cosà Ercole sentà la voce dello strumento. Lorenzo gli veniva dietro suonando le medesime note e correggendolo.
Mentre all’unisono erano sul do basso udirono le sirene degli allarmi (era appena scoppiata la guerra) e poco dopo arrivarono i bombardieri. Cecilia si affacciò e disse:
– Lorenzo, bisogna scappare.
– Ma no, – disse Lorenzo. – Quando il violoncello suona non c’è pericolo. Ercole è veramente portato, lo senti?
– Preparo un cafetÃn? – disse Cecilia.
In quella sul poggiolo apparve quel giovane alto con gli occhi celesti e la barbetta (che Ercole non vide perché non era ancora il momento) e fece segno a Lorenzo di volergli parlare senza che il figlio sentisse.
– Attento Lorenzo, – disse, – che non venga quel rosso malpelo a traviare il bambino con idee di lontano Oriente.
– Sarà come sarà , – disse Lorenzo.
Si udirono in quella, non lontano, le scosse delle prime bombe.
– Dobbiamo scappare? – disse Lorenzo.
– Per stavolta no, – disse l’arcangelo. – Ma al prossimo bombardamento, gambe!
Qualche giorno dopo, essendo venuto il prossimo bombardamento, scapparono e andarono sfollati nel paesino di A., piccolo, in mezzo ai campi. Qua e là si sentiva muggire – ed Ercole, dopo le prime difficoltà di pugni, pedate, parole strane e sopra nomi irridenti fu accolto nella banda di Ampelio – e con loro andando per fossi e fossone diventò esperto di salire sugli alberi e trovare i nidi degli uccelli – garadestole, merli, usignoli – talvolta con dentro le uova.
Fu camminando lungo la fossona che un pomeriggio incontrarono un uomo dai capelli lunghi, di aspetto selvaggio, sopra nome Scavejà ra. Con loro maschi c’era anche Maria, senza mutande, sorella di Ampelio, sopra nominata Tota.
– Cosa fai, Scavejà ra? – disse Maria Tota.
– Sorveglio, – disse Scavejà ra.
– Cosa sorvegli? – disse Ampelio.
– Che non venga il tedesco devastatore, – disse Scavejà ra.
– Ma è nostro alleato, – disse Ampelio.
– Poco, – disse Scavejà ra.
– Sei profeta? – disse Ercole.
– Scavejà ra, vuoi uovi di usignolo? – disse Maria Tota.
– Gradisco! – disse Scavejà ra.
Maria Tota gli diede le uova appena prese dal nido e Scavejà ra le ingoiò una dopo l’altra, tuorlo e guscio.
– Uovi fa sangue! – disse.
– Sei un letamaio, – disse Maria Tota (in realtà aveva detto leamà ro, nel suo dialetto).
C’erano a quei tempi personaggi come Scavejà ra – veri selvaggi – a cui nessun dottore dava pillole o prescriveva ricoveri perché mai si ammalavano, abitanti per lo piú nelle tane lungo i fossi e nei pagliai. Ercole era colpito, affascinato.
– Il primo capitolo è fatto, – disse l’arcangelo dagli occhi rossi.
– Chi ben comincia è a metà dell’opera, – disse l’arcangelo dagli occhi celesti.
– Scrivere è piú godimento di qualunque chiacchiera, – disse l’arcangelo dagli occhi rossi.
– È quasi come la grazia illuminante, – disse l’arcangelo dagli occhi celesti.
– Un giorno, – disse l’arcangelo dagli occhi rossi, – mi piacerebbe scrivere un poema, magari epico.
– Su che argomento? – disse l’arcangelo dagli occhi celesti.
– Per esempio il Paradiso e l’Inferno, – disse l’arcangelo dagli occhi rossi.
– È materia che conosciamo, dopo la vita di Ercole si può fare, – disse l’arcangelo dagli occhi celesti. – Dà i, andiamo avanti, che la mano mi trema.
L’ultima lezione
Passava il tempo giovane, quando i semi della vita si preparano a diventare destino.
Poco prima che Lorenzo salisse in cielo per fare il grande concerto con Boccherini, Cuccoli suo maestro e tutti i violoncellisti precedenti, Ercole ebbe l’ultima lezione dal padre.
Erano nella cameretta di sfollati – si vedevano dalla finestra i colli, parevano elefanti blu – era aprile.
– Caro Ercole, – disse Lorenzo. – Benché ancora immaturo il tuo suono è dolce, pastoso. Fai le note giuste e sulle corde cerchi a volte effetti particolari che hanno futuro.
– Papà , – disse Ercole, – ne hai avute tante di avventure col violoncello?
– Col violoncello, – disse Lorenzo, – sono perfino arrivato in capo al mondo.
– In capo al mondo? – disse Ercole.
– Il luogo piú lontano a cui uno può arrivare durante la vita, – disse Lorenzo.
– Anch’io voglio arrivare in capo al mondo, – disse Ercole.
– Ognuno ha il suo di in capo al mondo, – disse Lorenzo.
– E il mio qual è? – disse Ercole.
– Lo saprai quando ci arriverai, – disse Lorenzo.
– E quando ci arriverò? – disse Ercole.
– Non si sa mai prima di arrivarci, – disse Lorenzo.
– E tu come hai fatto a capire che eri in capo al mondo? – disse Ercole.
– Eh! – disse Lorenzo.
In quell’eh! c’era tutto: la sfida dell’uomo alto dagli occhi rossi ai Vini Veronesi, il concerto alle bestie della giungla, la morte di Irene in mezzo all’Oceano.
Fuori, nell’aria, stavano i due arcangeli che sempre, quando i discorsi si facevano di destino, si aggiravano. Lorenzo li vide ed ebbe il presentimento.
– Dà i papà , – disse Ercole, – suoniamo insieme.
Cosà cominciarono il preludio della Prima Suite di Bach – che è arioso, allegro –, Ercole gli metteva un che di scherzoso – perché era di natura scherzoso, come Lorenzo.
Andarono avanti all’unisono per un po’, padre e figlio – e nell’aria i due compari su quelle note ballavano e facevano piroette. Ercole non li vedeva ma Lorenzo sÃ: e di quel preludio qualcosa giunse in alto – sicché Boccherini, Cuccoli e tutti i violoncellisti precede...