Il Moro della cima
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Il Moro della cima

  1. 320 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il Moro della cima

Informazioni su questo libro

Una grande storia da un passato che non c'è piú, raccontata con gli occhi di un personaggio leggendario che, incredibile a dirsi, è esistito davvero.

Dicono che per vivere felici si debba trovare il proprio posto nel mondo: molti di noi passano la vita a cercarlo, per altri è questione di un attimo. Agostino Faccin, che tutti chiamano «il Moro», la felicità la scopre da ragazzo, tra le montagne di casa, nell'esatto momento in cui capisce che piú sale di quota e piú il mondo gli assomiglia. Quando gli propongono di diventare il guardiano del nuovo rifugio sul monte Grappa, non ci pensa su due volte. Ma la Storia non ha intenzione di lasciarlo in pace, la Grande Guerra è alle porte, e quella vetta isolata dal mondo diventerà proprio la linea del fronte.

«Come accade in Guareschi e Meneghello, anche nel libro di Malaguti la malinconia vira rapida al sorriso».
Enrico Brizzi, «La Stampa»

«Malaguti adopera la lezione di Rigoni Stern, interpretando con gli strumenti della narrativa un pensiero ecologista e poetico che va protetto quanto diffuso».
Giacomo Giossi, «il manifesto»

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2022
eBook ISBN
9788858438954
Capitolo diciassettesimo

Tutto per aria

Autunno 1917

La strada del Firmato cresceva giorno dopo giorno, senza sosta, lungo vermone di pietra bianca che poco per volta smangiava il fianco alla montagna, avviticchiandosi in larghe volute lungo le balze, lordando di detriti e sfasciumi i pendii a pascolo.
Giú nei paesi gli uomini erano alla fronte e le donne chiuse in casa, quindi spettava ai veci, che si prendevano gli ultimi tiepidi soli d’autunno in piazza, osservare in silenzio il procedere dei lavori. Qualcuno sputava per terra quando passava un’auto con gli ufficiali che presiedevano alle opere, ma i piú erano quasi intimiditi: accettavano la cosa perché erano quelli dell’esercito a comandare, cosí come in tempi normali sono i siori o i preti, e poi erano impressionati al vedere la rapidità con cui le mine e le perforatrici si aprivano la via spazzando ogni ostacolo.
Però se un 18BL si ribaltava su un tornante, o se la pioggia rallentava i lavori, allora i veci provavano una sorta di segreto compiacimento, perché la montagna era da sempre roba loro, e ora quelli lí ci facevano quello che volevano, e senza chiedere nemmeno permesso.
Ma questi erano dettagli secondari, sentimentalismi: il fatto incontrovertibile, e che metteva quasi tutti d’accordo, era la facilità con cui arrivavano i soldi, ora che era l’esercito il paròn.
Se non fosse stato per le bombe e per i morti che avevano iniziato a riempire lunghi elenchi in ogni contrada, quasi c’era da metterci la firma, a restare in guerra, cosí in breve tutti avrebbero avuto la loro strada davanti a casa, e qualche franco in tasca.
Infatti assieme ai soldati un po’ vecchiotti della territoriale, visto che bisognava fare in pressa, l’esercito assunse bambini e ragazzi: bastava che sapessero tenere in mano la mazzetta, o avessero spalle larghe abbastanza per le gerle colme di pietre.
La manodopera non mancava davvero, visto che nell’inverno tra il ’16 e il ’17 il quintale di farina raddoppiò il prezzo, tallonato stretto dal vino. La carne ormai la si sognava soltanto, e i rari pollastri, per quel che valevano, venivano nascosti sotto al letto e curati meglio dei figlioli.
Il Moro sperò, senza dirlo a nessuno, che gli aerei cucchi che ogni tanto andavano a seminare granate su Bassano facessero un salto anche per di là e bloccassero quella porcheria. Ma appariva sempre piú chiaro che il Firmato doveva aver stretto qualche patto segreto con i macachi dall’altra parte, e cosí, mese dopo mese, la striscia bianca avanzava inesorabile.
– Vita, vita! – ridevano i malgari e l’oste di San Giovanni. – Quando finisce la guerra, taliani o cucchi che si sia, la strada la resta a noialtri! Ma pensa te, si arriverà su con le vacche in quattro e quattr’otto!
– Perché, alle tue vacche gli brucia il culo quando salgono? Hai paura che finisca l’erba prima che arrivi? – replicava il Moro, che capiva quelle ragioni, ma non riusciva a levarsi dalla testa il pensiero che quella strada gli pareva un insulto alla montagna.
I campi puoi ararli e concimarli e scavarli finché vuoi, quella è terra abituata a essere calpestata dall’uomo. Ma le montagne sono signore, e può conoscerle solo chi ha la gamba per salirle. Troppo facile farsi una strada: cosa avrebbero inventato poi, un marchingegno che ti porta in cima magari senza nemmeno camminare, standotene seduto in panciolle a goderti il panorama?
Inoltre, quella strada mostrava che la guerra sarebbe stata ancora lunga, e che nessuno era al sicuro, nemmeno la Grapa. In mona alla vittoria lampo e ai brindisi a Vienna entro il Natale del ’15.
Ci misero un anno esatto ad arrivare sotto la cima, mantenendo il tracciato bello largo e a pendenza costante, cosí che potesse essere percorso comodamente dai 18BL o, in mancanza di questi, dagli zoccoli dei muli e dagli scarponi dei fanti.
Il Moro sapeva che non aveva senso pregare per queste cose, d’altra parte si era ben visto quanto gliene importasse a Dio del liberanosdomine dopo il maggio radioso.
Si limitò ad augurarsi, a seconda della giornata e dell’umore, che la guerra finisse prima che arrivassero alla cima con le perforatrici, o che nel piazzare le cariche per sbancare la roccia saltassero tutti in aria.
Poi però, quando gli capitava di passare lungo i cantieri, gli dispiaceva aver fatto quei pensieri, perché gli operai erano perlopiú soldati sbrindellati, barbuti e silenziosi, con le mani nere per la fatica e la faccia bianca per la polvere.
Nei mesi precedenti tanti soldati che erano riusciti a dimostrare di avere a casa un fazzoletto di terra da mettere a grano o, ancora meglio, a tabacco, avevano ottenuto licenze straordinarie, perché la fronte, oltre che di moschetti, aveva bisogno di sigari e pagnotte. Gli operai della strada invece dovevano essere semplici braccianti a giornata, cavatori, insomma i piú pitocchi fra i pitocchi.
E cosí finí che al Moro iniziarono quasi a stare simpatici questi operai, anche se gli rovinavano la montagna, piú che altro perché con la loro miseria scalcagnata gli mostravano una faccia di quella porca guerra ben diversa da quella disegnata sulla «Domenica del Corriere», dove a farla da padroni c’erano gli elegantoni dell’aviazione, con le loro giacche di cuoio e le sciarpette bianche, o quegli esaltati degli arditi, che avevano a schifo la vita, loro e altrui beninteso, o quell’arruffapopoli di D’Annunzio, che non era contento se non riusciva a infilarsi in mezzo dappertutto, come il prezzemolo.
Questi della territoriale ubbidivano e spaccavano pietre dall’alba al tramonto, senza domeniche, perché anche Dio doveva ubbidire a Cadorna, se non voleva finire sotto processo. Dietro ai miserabili della territoriale arrivava l’esercito, ancora piú cencioso e macilento, dei ragazzetti impiegati per tritare le rocce piú grosse e creare il fondo della strada. Si portavano la fetta di polenta e la bottiglia d’acqua in una sacca a tracolla, poi si sedevano per terra a gambe larghe, e per ore menavano martellate con delle mazze piú grosse di loro.
Spesso i soldati anziani, che probabilmente avevano lasciato a casa in giro per l’Italia figli della stessa età, si prendevano in simpatia quei bambini, e nelle rare pause se li vezzeggiavano a modo loro, allungandogli un tozzo di pane, o prendendoseli sulle ginocchia.
Il problema era intendersi, perché i bambini, già allertati dalle madri e dai preti di tenersi alla larga da quella masnada, accettavano di buon grado il cibo, ma quando un losco figuro ti prende sulle ginocchia, ti mostra un ghigno di pochi denti e ti biascica una formula infernale del tipo ce accattamo nu bellu ciuccio, arri arri cavalluccio, l’unica cosa da fare è scappare in lacrime.
La strada fu completata ai primi di ottobre del ’17, e, visto che le disgrazie non vengono mai da sole, il Moro, il mattino di domenica 7 ottobre, festa della Vergine del Rosario, seppe che era in arrivo, questa volta su un’automobile scoperta, di nuovo lui, il Firmato, per controllare come erano andati i lavori.
Il Moro pensò di chiudere baracca e burattini e di rifugiarsi in qualche valloncello sperduto dove mai lo avrebbero trovato. Poi però si impose la calma: se dopo la prima visita dell’anno precedente nessuno aveva chiesto di lui, era evidentemente riuscito a perpetrare il suo delitto ai danni di Cadorna facendola franca.
E cosí si fece largo nella sua mente un sottile e suadente pensiero: se vi era riuscito nella prima occasione, perché non doveva farcela di nuovo?
Cadorna arrivò nel primo pomeriggio. Da mezze parole degli ufficiali che, come la volta precedente, avevano iniziato a sciamare lí attorno con un’ora di anticipo, il Moro capí che il capo dell’esercito italiano arrivava dritto da Udine.
L’auto, imbiancata dalla polvere della strada appena percorsa, arrivò allo slargo in cui i lavori ancora continuavano. Il rifugio era a circa dieci minuti di camminata veloce, e il Firmato, evidentemente di buonumore, volle farsi la passeggiata.
Al Moro parve un’altra persona dall’ottobre prima. Non che fosse ilare, ma adesso, almeno, parlava di piú. Era soddisfatto dei lavori, e a ogni dettaglio che veniva sottoposto alla sua attenzione il Firmato annuiva seccamente con un abbozzo di sorriso, evidentemente il massimo livello di soddisfazione che il suo grado o la sua personalità gli permettevano.
Quando infine Cadorna uscí dal rifugio, dirigendosi all’auto, il Moro sentí due ufficiali, rimasti indietro, scherzare sottovoce sul fatto che adesso il capo se ne andava a riposare un po’ sui Berici.
Sebbene fossero distanti da lui, e fossero convinti di non essere uditi, il vento gli portava frammenti del dialogo.
– Dici che ha ragione?
– Non dico niente. Mi limito a sperare.
– Speriamo sí. Ancora due settimane, poi l’autunno sarà troppo inoltrato.
Il Moro non si perse ad almanaccare a cosa facessero riferimento i due graduati, tenendo fede all’antica verità che chi ha già abbastanza guai a cui star dietro fa bene a non ficcare il naso nei guai altrui.
Quel che il Moro non si interessò di conoscere, del resto, sarebbe stato fin troppo noto di lí a pochi giorni. C’erano stati grandi spostamenti di truppa dietro le linee nemiche, e poi notizie confuse di divisioni tedesche arrivate sulla fronte dell’alto Isonzo, e ci furono pure i soliti disertori che, prima di ogni grande operazione da una parte o dall’altra, fanno il salto di trincea e vanno a riferire per filo e per segno cosa si sta macchinando.
Cadorna però era stato irremovibile nella sua certezza: ormai si andava verso la fine di ottobre, nessuna grande operazione poteva aver luogo con quel tempo. Quindi diede istruzioni di spostare le linee sulle posizioni difensive, ordinò di integrare le truppe e di fare arrivare gli ufficiali di nuova nomina, e se ne andò sui Berici, convinto che fino al marzo successivo non sarebbe accaduto nulla di significativo.
Evidentemente i cucchi sentirono la mancanza del Firmato, e pensarono bene di andarlo a trovare a Vicenza. Cosí arrivò il 24 ottobre.
Il Moro, e assieme a lui tanti altri lí, non si accorse di niente fino al 27. Poi, per un paio di giorni, fu il momento delle chiacchiere. Si diceva, a mezza bocca e quasi con timore, che parecchio piú in là le cose si fossero messe maluccio, e che il Firmato avesse dato ordini alle armate dell’Isonzo di ripiegare sul Tagliamento, e di fare qualche passettino indietro anche a quelli della IV Armata, su in Cadore.
Fin qua niente di troppo preoccupante, sia perché l’Isonzo era in tanta malora, sia perché in quegli anni le avanzate italiane erano state cosí tanto sbandierate che a tutti, compreso il Moro, pareva che dopo cosí tanta terra conquistata, fare un passetto indietro fosse quasi un atto di cortesia nei confronti del nemico.
La botta arrivò soltanto alla sera di lunedí 29. In verità il giornale era uscito già al mattino, ma al Moro il foglio con il bollettino del Firmato glielo sventolò sotto al naso Gino Creansa, il mediatore, che veniva da Bassano in calesse e si stava passando tutte le osterie per portare la novità.
La mancata resistenza di riparti della IIo Armata vilmente ritiratisi senza combattere, o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all’avversario di penetrare nel sacro suolo della Patria. La nostra linea si ripiega secondo il piano stabilito. I magazzini ed i depositi dei paesi sgombrati sono stati distrutti. Il valore dimostrato dai nostri soldati in tante memorabili battaglie combattute e vinte durante due anni e mezzo di guerra, dà affidamento al Comando Supremo che anche questa volta l’esercito, al quale sono affidati l’onore e la salvezza del Paese, saprà compiere il suo dovere.
Il Moro era sceso al paese da qualche giorno, perché il tempo non prometteva bene, e perché, come l’anno passato, non gli andava di restare lassú fino al disgelo, mentre la famiglia pativa le incognite del terzo inverno di guerra.
Gino Creansa aveva fretta, ma verso il Moro nutriva un’antica stima, tanto piú che era anche grazie a lui se anni prima aveva chiuso un paio di affari grossi con dei siori del Club, per cui si limitò a sbuffare mentre il Moro si prendeva tutto il suo tempo per tentare di capire cosa volessero dire quelle righe lí.
Quando gli restituí il foglio già sciupato per le tante mani che se lo erano passato, il Moro non lo salutò nemmeno, ma si diresse cupo verso la sua contrada. Gino lasciò fare, anche lui avrebbe fatto tappa ancora in tre o quattro osterie, poi sarebbe corso a casa per prepararsi al peggio.
Di tutta la trafila del Firmato, il Moro continuava a rimuginare quelle due frasette secche secche, che parevano strette tra gli altri periodi, ampi e pomposi, ma che, proprio come le vespe, erano quelle che piú gli davano fastidio.
La nostra linea si ripiega secondo il piano stabilito.
I magazzini ed i depositi dei paesi sgombrati sono stati distrutti.
Il Moro quella sera si rigirò nel letto quel che poté, e alla fine si alzò nel cuore della notte. Dopo la pioggia che era caduta per tutta la giornata, i nuvoloni ancora bassi e gravidi si erano presi un attimo di riposo, sparpagliandosi per la pianura. La luna ormai piena inargentava la vecchia vigna sul muro sbrecciato di casa sua. Erano pochi i pampini ormai neri ancora attaccati ai tralci rinsecchiti. Non l’aveva curata come si doveva, quella vigna: se l’avesse potata negli anni, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il Moro della cima
  4. Alla fine il Moro rise
  5. Gli incredibili racconti di Jack Scape
  6. Il pistòk
  7. Menico
  8. La busa dell’agnellessa
  9. La Grapa
  10. Come il Moro divenne il Moro
  11. Di nuovo in alto
  12. Il rifugio
  13. Preparativi
  14. Si inizia
  15. Farci il callo
  16. Il patriarca
  17. Gli scivolatori
  18. Segni
  19. Guardare la guerra
  20. La strada di Firmato
  21. Tutto per aria
  22. Nella tormenta
  23. Ritorno alla Grapa
  24. La galleria
  25. Fantasmi morti e vivi
  26. Il ritorno della statua
  27. Cimiteri
  28. Il Grappa
  29. Al re!
  30. Ringraziamenti e fonti
  31. Il libro
  32. L’autore
  33. Dello stesso autore
  34. Copyright