Tutto per i bambini
eBook - ePub

Tutto per i bambini

  1. 296 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Parigi, 2019. Moglie e madre modello, Mélanie gestisce un canale YouTube che ha milioni di iscritti, Happy Récré, interamente dedicato ai suoi figli, Sam e Kim, di otto e sei anni. I bambini si esibiscono in una recita ininterrotta davanti alla telecamera: Mélanie ha trasformato le loro identità in un bene di consumo. Ma un giorno i riflettori di Happy Récré fanno cortocircuito. Kim è scomparsa.«Ritornando ai temi che le sono cari, come l'abuso di potere e la violenza famigliare, Delphine de Vigan si avvale con maestria dei meccanismi del thriller per un'analisi sconvolgente delle derive di un mondo in cui l'esibizione di sé e la finzione sono diventati la norma».
«Madame Figaro» Primi anni Dieci del Duemila. Mélanie, che è cresciuta davanti allo schermo della televisione, ipnotizzata dai reality e dalle loro promesse di notorietà, ha un solo obiettivo nella vita: diventare famosa. Quando supera le selezioni per un nuovo show - seppur non tra i piú noti - Mélanie è al settimo cielo. Ma quell'unica esperienza si rivela disastrosa. Il segno del fallimento è una ferita che non si rimargina.
2019. Moglie e madre modello, Mélanie vive in un lussuoso complesso residenziale nei sobborghi di Parigi e ha creato un canale YouTube di grande successo, Happy Récré, interamente dedicato alla vita quotidiana dei suoi figli, Sam, di otto anni, e Kim, di sei. La formula di Mélanie ha conquistato la rete: il prodotto di quest'anonima madre intraprendente è seguito, ammirato, amato da milioni di iscritti. Sponsor, promozioni, campagne: i bambini si prestano alle richieste delle aziende che passano per il filtro materno; Sam e Kim vivono una recita ininterrotta e le loro identità sono ormai un brand. Ma un giorno i riflettori del mondo di Mélanie fanno cortocircuito: Kim è scomparsa. Della squadra di polizia che conduce le indagini fa parte la giovane Clara, che si appassiona subito al caso. La piccola Kim ha lasciato poche tracce: incontro sbagliato, fuga, rapimento? Non si può scartare nessuna ipotesi, e Clara sospetta che la chiave di tutto sia nascosta dietro le quinte di Happy Récré. Scavando nell'universo dei baby influencer, Clara si rende conto allora che la felicità esibita dagli schermi è un'ingannevole illusione. Perché la realtà in cui si muovono i piccoli Sam e Kim, piú che al regno fatato descritto da Mélanie, assomiglia a un vero e proprio inferno autorizzato.«Delphine de Vigan mostra l'impatto dei social sulla vita famigliare. Ci racconta dei bambini che mettiamo in mostra, ma anche del bambino nascosto in ognuno di noi».
«Le Monde des Livres» « Tutto per i bambini è un viaggio, inquietante e insieme appassionante, al cuore del mondo dei baby influencer filmati dai loro genitori in cerca di fama e ricchezza».
«L'Obs»

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2022
Print ISBN
9788806251024
eBook ISBN
9788858438640
Argomento
Literatur

Un altro mondo

Abbiamo avuto l’opportunità di cambiare il mondo, per poi accontentarci dei canali di televendite.
STEPHEN KING, On Writing.
DIVISIONE ANTICRIMINE – 2019
SCOMPARSA DELLA MINORE KIMMY DIORE
Oggetto:
Trascrizione e analisi delle ultime Instagram Stories postate da Mélanie Claux (coniugata Diore).
STORY 1
Pubblicata il 10 novembre, alle ore 16.35.
Durata: 65 secondi.
Video girato in un negozio di calzature.
Voce di Mélanie: «Carissimi, eccoci da Run Shop per comprare le nuove sneakers a Kimmy! Vero, micina? Hai bisogno di sneakers nuove perché le altre cominciano a starti un po’ strette. (La fotocamera del cellulare riprende la bambina, che esita per qualche secondo prima di annuire, poco convinta).
Allora, ecco le tre paia che ha selezionato Kimmy, numero 32. (Nell’immagine compaiono le tre paia allineate). Ve le condivido piú da vicino: un paio di Nike Air dorate della nuova collezione, un paio di Adidas con tre strisce e un paio non di marca con un rinforzo rosso… Dobbiamo deciderci e, come sapete, Kimmy odia scegliere. Perciò, carissimi, contiamo davvero su di voi!»
Sullo schermo appare in sovrimpressione un minisondaggio:
«Quali deve prendere Kimmy?
A – Le Nike Air
B – Le Adidas
C – Le sneakers non di marca».
Mélanie ruota il cellulare verso di sé e conclude: «Carissimi, per fortuna ci siete voi, e sta a voi decidere!»

Diciotto anni prima

Il 5 luglio 2001, giorno della finale di Loft Story, Mélanie Claux, i suoi genitori e sua sorella Sandra erano seduti ai loro soliti posti davanti al televisore. Dal 26 aprile, data di lancio del programma, la famiglia Claux non si era persa neanche una prima serata del giovedí.
A pochi minuti dalla loro liberazione, dopo essere rimasti chiusi per settanta giorni in uno spazio circondato da muri – una villa prefabbricata, un finto giardino e un vero pollaio –, gli ultimi quattro concorrenti erano stati riuniti nell’ampio soggiorno, i due ragazzi stretti uno accanto all’altro sul divano bianco, le due ragazze sedute ai lati sulle poltrone abbinate. Il conduttore, la cui carriera aveva appena preso una piega strepitosa quanto imprevista, ricordò tutto eccitato che era finalmente giunto il momento cruciale, tanto atteso: − Conto da dieci a zero, e siete fuori! − Chiese per l’ultima volta se il pubblico fosse pronto a unirsi a lui, poi iniziò il conto alla rovescia, «dieci, nove, otto, sette, sei, cinque», con l’accompagnamento di un coro docile e poderoso. I partecipanti si accalcarono verso l’uscita, valigia alla mano, «quattro, tre, due, uno, zero!» La porta si aprí come spinta da una corrente d’aria, scoppiò un’ovazione.
Ora il conduttore si spolmonava per sovrastare il rumore della folla ammassata all’esterno e il clamore del pubblico impaziente, rinchiuso nello studio da oltre un’ora. − Sono fuori! Arrivano! Settanta giorni e ritorno sulla terra per Laure, Loana, Christophe e Jean-Édouard! – Un’inquadratura d’insieme mostrò piú volte il fuoco d’artificio sparato dal tetto della villa che li aveva ospitati durante quelle lunghe settimane, mentre gli ultimi quattro concorrenti percorrevano il tappeto rosso steso per l’occasione.
Erano fuori, sí, un fuori che assomigliava ancora stranamente a un dentro. Un’orda sovreccitata si accalcava dietro le transenne, fotografi tentavano di avvicinarsi, perfetti sconosciuti mendicavano autografi, giornalisti tendevano microfoni. Alcuni brandivano striscioni o cartelli con i loro nomi, altri li filmavano con piccole videocamere (allora i cellulari erano apparecchi rudimentali che servivano solo a telefonare).
Ciò che gli era stato promesso era accaduto. In poche settimane erano diventati famosi.
Scortati da guardie del corpo, avanzarono in mezzo ai fan, mentre il conduttore continuava la telecronaca del loro avvicinamento, «ormai sono a pochi metri dallo studio, ecco, salgono i gradini», e la ridondanza del commento rispetto alle immagini non nuoceva affatto alla tensione drammatica, anzi, le conferiva all’improvviso una dimensione inedita, stupefacente (per qualche decennio il procedimento sarebbe stato declinato in tutte le sue forme). Le grida raddoppiarono e una tenda nera si aprí per farli passare. Quando entrarono nello studio dove li attendevano le loro famiglie e gli altri nove concorrenti, usciti di propria volontà o eliminati nel corso delle settimane, la tensione salí ancora. In un’atmosfera surriscaldata e una baraonda crescente la folla cominciò a scandire un nome: – Loana! Loana!
Come il pubblico, i Claux speravano tutti che vincesse lei. Mélanie la trovava semplicemente stupenda (il seno rifatto, la pancia piatta, l’abbronzatura), Sandra, piú grande di due anni, era colpita dalla sua solitudine e dalla sua aria malinconica (all’inizio la giovane donna era stata ostracizzata dagli altri concorrenti per il suo abbigliamento e poi, nonostante si fosse apparentemente inserita, era rimasta il principale bersaglio di pettegolezzi e sussurri). Benché delusa per l’eliminazione di Julie, una ragazza simpatica e allegra, di gran lunga la sua preferita, anche la signora Claux si era lasciata commuovere dalla storia di Loana – l’infanzia difficile e la figlioletta data in affidamento −, rivelata dalle riviste di gossip. Quanto a suo marito, Richard, aveva occhi solo per la bella bionda. Le immagini di Loana in shorts, in minigonna, a schiena nuda, in costume da bagno, e il suo sorriso avvilito lo perseguitavano di notte e a volte persino il giorno dopo. Tutta la famiglia concordava nel bocciare Laure, ritenuta troppo borghese, e Jean-Édouard, il bambino viziato irresponsabile e idiota.
Poco dopo, una volta designati con il televoto i due vincitori, mentre tutti raggiungevano il luogo segreto dove sarebbe continuata la festa, un corteo di auto nere seguite da motociclisti muniti di telecamera lasciò La Plaine Saint-Denis. Era stato predisposto un apparato tecnico degno del Tour de France. Ai semafori rossi furono tesi microfoni attraverso i finestrini aperti per raccogliere le impressioni dei vincitori.
− Mi ricorda l’elezione di Chirac! – confidò il conduttore, che nonostante il trucco appariva ormai esausto.
Nei dintorni dell’Étoile si creò un ingorgo. In avenue de la Grande-Armée la folla convergeva da tutte le vie adiacenti e c’era chi abbandonava l’auto per riuscire ad avvicinarsi. All’ingresso del night club centinaia di curiosi aspettavano i lofters.
− Tutti ci amano, fantastico! – dichiarò Christophe, uno dei due vincitori, alla conduttrice inviata sul posto.
Loana scese dall’auto, in top rosa pallido all’uncinetto e jeans scoloriti. In bilico sui sandali con la zeppa distese il suo corpo spettacoloso e si guardò intorno. Nei suoi occhi alcuni scorsero una certa vacuità. O perplessità. O il tragico annuncio di un destino.
Allora Mélanie Claux era una diciassettenne che aveva appena finito la quarta liceo, indirizzo letterario, al Saint-François-d’Assise di La Roche-sur-Yon. Di carattere piuttosto introverso, aveva pochi amici. Pur senza avere mai preso seriamente in considerazione l’idea che il suo futuro potesse essere legato, in un qualunque modo, all’incerto proseguimento degli studi, si impegnava e otteneva risultati discreti. Le piaceva soprattutto la televisione. La sensazione di vuoto che provava senza poterla descrivere, forse una forma di inquietudine, o il timore che la vita le sfuggisse, quella sensazione che a volte le scavava nella pancia una specie di pozzo stretto ma senza fondo, si placava solo quando era di fronte al piccolo schermo.
A qualche centinaio di chilometri da lí, a Bagneux, nell’hinterland di Parigi, Clara Roussel guardava da sola e di nascosto la finale di Loft. Allora era in seconda liceo. Indubbie attitudini e il livello piuttosto modesto della sua scuola le permettevano di ottenere voti soddisfacenti anche senza mai studiare a casa. Le interessavano soprattutto i ragazzi, in particolare i biondi con i capelli corti: categoria dove la concorrenza le sembrava minore visto che ad andare forte erano innegabilmente i bruni tenebrosi. Il suo modo di esprimersi – la sfottevano spesso per il suo vocabolario e per la mania di usare frasi arzigogolate −, piuttosto raro a quell’età, in fatto di seduzione si rivelava una risorsa. I suoi genitori, una coppia di insegnanti molto impegnati nella vita locale e nelle iniziative pubbliche, erano membri fin dalla sua creazione del collettivo Sorridi, Ti Stanno Riprendendo (un’associazione di persone decise a non farsi inghiottire in una società tecnologicamente repressiva, e attivissima nella lotta contro ogni forma di videosorveglianza), collettivo che aveva invitato i telespettatori a boicottare la trasmissione e, qualche settimana prima, a svuotare le pattumiere davanti alla sede sociale dell’emittente M6. Quel giorno ci furono lanci di uova, yogurt, pomodori e tanta spazzatura. Ovviamente i genitori di Clara avevano partecipato all’iniziativa e, in seguito, a un’altra grossa operazione pilotata da Zaléa TV (un’emittente alternativa che all’inizio degli anni Duemila realizzò un inedito esperimento di televisione libera). Non meno di duecentocinquanta militanti erano riusciti ad avvicinarsi al Loft per liberare i partecipanti. Avevano persino superato un primo muro di cinta. Philippe, il padre di Clara, era apparso in un breve filmato trasmesso al telegiornale di France 2.
«La Croce rossa entra nei campi di prigionia, rivendichiamo lo stesso diritto! Sono sottoalimentati, esausti, esposti alla luce dei riflettori, non fanno che piangere, liberate gli ostaggi!» aveva dichiarato al microfono di una giornalista.
«Liberate i polli!» avevano scandito in coro tutti quanti, mentre uno schieramento di agenti antisommossa impediva loro di spingersi oltre.
Va da sé che i genitori di Clara, impegnati, la sera della finale, in una riunione del collettivo sul tema In quale società vogliamo vivere?, non avrebbero apprezzato che la figlia appena quindicenne approfittasse della loro assenza per stravaccarsi davanti a quel programma diabolico, chiaro sintomo di un mondo dove tutto era diventato merce e governato dal culto dell’ego.
Quella sera undici milioni di telespettatori seguivano la finale di Loft Story. Mai una trasmissione televisiva aveva suscitato tanta passione. All’inizio la carta stampata aveva ampiamente commentato l’arrivo in Francia del format; poi, con il susseguirsi delle rivelazioni, si era lasciata coinvolgere, concedendogli le prime pagine, le rubriche e i dibattiti. Per varie settimane sociologi, antropologi, psicologi, psichiatri, psicoanalisti, giornalisti, editorialisti, scrittori, saggisti avevano sviscerato il programma e il suo successo.
«Segnerà uno spartiacque», si era letto qua e là.
Volevano apparire in tivú per essere celebri. Ora erano celebri perché erano apparsi in tivú. Sarebbero rimasti per sempre i primi. I pionieri.
Vent’anni dopo, i momenti cult della prima stagione – la famosa scena cosiddetta «della piscina» fra Loana e Jean-Édouard, l’ingresso dei partecipanti nella villa e l’intera puntata finale – sarebbero stati disponibili su YouTube. Il primissimo commento sotto uno di quei video suonava come un oracolo: «L’epoca in cui sono state aperte le porte dell’inferno».
Forse, in effetti, era stato proprio durante quelle poche settimane che tutto era cominciato. La permeabilità dello schermo. La possibilità di passare dalla posizione di chi guarda a quella di chi è guardato. Il desiderio di essere visti, riconosciuti, ammirati. L’idea che fosse alla portata di tutti, di ognuno. Nessun bisogno di produrre, creare, inventare per avere diritto al proprio «quarto d’ora di celebrità». Bastava mostrarsi e restare nell’inquadratura o di fronte all’obiettivo.
Ben presto l’arrivo di nuovi supporti avrebbe accelerato il fenomeno. Da allora in poi ognuno sarebbe esistito grazie alla moltiplicazione esponenziale delle proprie tracce, sotto forma di immagini o di commenti, tracce che, come non si sarebbe tardato a scoprire, erano incancellabili. Accessibili a tutti, internet e i social avrebbero sostituito la televisione e decuplicato lo spettro del possibile. Mostrarsi fuori, dentro, sotto tutti gli aspetti. Vivere per essere visti, o vivere per procura. I reality e i loro vari modi di declinarsi si sarebbero estesi a poco a poco a numerosi ambiti, e avrebbero imposto a lungo i loro codici, il loro vocabolario e le loro modalità narrative.
Sí, tutto era cominciato proprio allora.
Quando la madre si rivolgeva a Mélanie, in genere usava la seconda persona singolare, evitando cosí di esprimere in modo diretto i propri sentimenti, sempre accompagnata da una negazione. Non fai mai niente, non cambierai mai, non mi avevi avvertita, non hai svuotato la lavastoviglie, non uscirai mica conciata cosí. «Tu» e «non» erano indissociabili. Quando Mélanie aveva deciso di iscriversi alla facoltà di lingue, scegliendo inglese, dopo una maturità ottenuta senza voti spettacolari ma al primo tentativo, sua madre aveva detto: − Non penserai che ti paghiamo dieci anni di studi! – Studiare, fare carriera, spettava ai maschi (con suo grande dispiacere la signora Claux non ne aveva avuti), mentre le ragazze dovevano preoccuparsi innanzitutto di trovare un buon marito. Lei stessa si era dedicata ad allevare le figlie e non aveva mai capito perché Mélanie volesse trasferirsi, avvertendo dietro quella scelta una forma di snobismo. – Non bisogna fare il passo piú lungo della gamba, − aveva aggiunto, derogando in via eccezionale alla regola del «tu». Nonostante questo avvertimento, l’estate dei suoi diciotto anni Mélanie aveva fatto i bagagli e si era stabilita a Parigi. All’inizio aveva abitato in una mansarda del VII arrondissement con gabinetto e bagno sul pianerottolo, in cambio di quattro serate settimanali di babysitteraggio, poi aveva affittato un minuscolo monolocale nel XV (si era trovata un lavoro in un’agenzia di viaggi e suo padre le mandava duecento euro al mese).
Come le fosse successo di lasciare l’università per lavorare a tempo pieno in agenzia non avrebbe saputo spiegarlo, se non con il fatto che a volte tutto le sembrava già scritto, successi e insuccessi, e che non aveva ricevuto nessun segno di incoraggiamento a proseguire gli studi: i suoi voti erano discreti, ma altri studenti parlavano già senza accento e scrivevano in un inglese impeccabile. Ma soprattutto, se a partire dal present continuous tentava di proiettarsi nel futuro, non vedeva niente. Un bel niente. Quando si era liberato quel posto di assistente, che comportava contatti umani e aspetti amministrativi, la direttrice dell’agenzia glielo aveva offerto, e lei aveva detto di sí. Le giornate passavano in fretta e Mélanie si sentiva integrata. Alla sera tornava nel piccolo monolocale di rue Violet, che ormai si pagava da sola, si preparava un vassoio e non si perdeva nemmeno un reality. Temptation Island, benché un po’ troppo immorale per i suoi gusti, e The Bachelor, piú romant...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Tutto per i bambini
  4. Un altro mondo
  5. 2031
  6. Il libro
  7. L’autrice
  8. Della stessa autrice
  9. Copyright