L'avvocato necessario
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L'avvocato necessario

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'avvocato necessario

Informazioni su questo libro

La professione dell'avvocato è anfibia: galleggia tra l'interesse pubblico e quello privato e deve rispondere a pretese spesso confliggenti. L'avvocato è diviso tra il bene del cliente e la dimensione pubblico-giudiziaria: pretende la tutela del proprio assistito anche quando difende chi è imputato del reato piú inaccettabile ma al contempo auspica la giustizia come cittadino. La sua è una lealtà divisa. La «simpatia» verso il cliente non è richiesta: anzi l'indifferenza emotiva è la condizione per difendere chiunque da qualsiasi reato. Attraverso un ricco repertorio di celebri processi (molti tratti anche dai romanzi e dai film) gli autori, avvocati penalisti, ci raccontano dall'interno i dilemmi di un mestiere antico e le profonde trasformazioni che la professione dell'avvocato ha subito nel nostro tempo. Fino a interrogarsi sulla sua incerta sorte futura.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2022
Print ISBN
9788806190064
eBook ISBN
9788858439234
Argomento
Law
AVVOCATO SPAT: Herr Kohler, questo incarico è troppo ambizioso per me... rifiuto.
ISAAK KOHLER: Accetterà, una occasione è una occasione e lei ne ha bisogno.
Finii per accettare, anche se la mattina pensavo ancora di rifiutare. Sentivo che era in gioco la mia fama di avvocato, la proposta di Kohler era assurda, al disotto della mia dignità professionale, una occasione per guadagnare denaro in modo stolto.
Friedrich Dürrenmatt, Giustizia, Einaudi, Torino 1993.

5. L’autonomia dal cliente.

I contorni dei rapporti tra avvocato e cliente, durante lo svolgimento della difesa, dovrebbero a questo punto apparire piú nitidi: rispetto della legge da un lato, e dall’altro ricerca del miglior diritto e della massima utilità a favore dell’assistito.
Per completare il quadro esiste però ancora un tassello, astratto ma decisivo: si tratta della autonomia dal cliente.
Potrebbe apparire contraddittorio sostenere la doverosa partigianeria dell’avvocato e poi rivendicarne l’autonomia, come se l’assistito si trovasse accanto un legale dedito alla sua tutela e nel contempo operante in modo indipendente.
Si tratta in realtà di approcci distinti, e che tali debbono rimanere.
Il ruolo colloca il legale dalla parte dell’inquisito, schierato nel rito processuale senza compiacenze verso gli altri protagonisti. Ma in tale posizione si mantiene intatta, o almeno dovrebbe, quella autonomia che esalta la distanza dal cliente e dal reato che gli viene contestato.
Prima di scendere nei dettagli, si affaccia un quesito preliminare: che libertà ha l’avvocato per decidere se accettare la difesa? Può non farlo e quindi rifiutare il mandato? Esiste un dovere di accettare comunque, qualunque sia l’incarico offerto?
In generale l’avvocato non ha obbligo di accettare la difesa proposta e vi può anche rinunciare nel corso del processo, salvo che si tratti di difesa di ufficio.
Le norme riconoscono al legale la piú ampia libertà, né autorizzano o tantomeno impongono verifiche sulle ragioni dell’accettazione o della dismissione del mandato. La deontologia professionale anzi prescrive il divieto di comunicare le ragioni della rinuncia all’incarico.
L’art. 107 c.p.p. si limita a richiedere che tali decisioni vengano prontamente comunicate all’autorità che procede per evitare inceppamenti del meccanismo processuale.
Questo orientamento è comune ad altri ordinamenti. Ad esempio quello francese prevede una «cause de conscience» che consente al legale di lasciare l’incarico per ragioni di coscienza. Quello statunitense abilita alla dismissione anche allorché «il cliente insista nel perseguire un obiettivo ritenuto dall’avvocato improprio o azzardato».
Non vi è dubbio che l’avvocato come cittadino sia legato a principî e valori individuali, influenzati dalle sensibilità, dagli ideali, e forse anche dalle ideologie. È evidente che tale bagaglio può portarlo a rinunciare a taluni incarichi, senza con questo dover pronunciare un inno alla obiezione di coscienza di fronte a certi reati. Cosí come la crisi può sorgere per ragioni piú intime e private che comprometterebbero il rapporto fiduciario con il cliente.
Al contrario possono esistere legami strettamente personali che portano al confine della solidarietà con l’assistito o con il gruppo di cui è espressione.
È la categoria della «simpatia», che può spaziare da quella umana a quella politica, da quella sociale a quella istituzionale. Essa si contrappone all’invocata «neutralità affettiva» verso il cliente sostenuta da Talcott Parsons in Società e cultura (il Mulino, Bologna 1956, p. 78), per cui l’avvocato non approva i desideri, non difende la volontà dell’assistito ma il suo «buon diritto».
Si può verificare persino una adesione totale con l’imputato attraverso l’approvazione della scelta delittuosa rivendicata in sede processuale. È situazione rara, ma talvolta reperibile nel corso dei processi politici, come emerge nel La ragazza di Bube di Cassola allorché si celebra, nell’ancora torbida atmosfera della Resistenza, il processo a Bube, partigiano coinvolto nella sparatoria in cui perdono la vita tre persone. In occasione del dibattimentolo lo difende, accanto al freddo e tecnico avvocato Raffaelli, l’appassionato e coinvolto avvocato Paternò, il quale «con foga oratoria aveva parlato piú che altro di politica».
Piú diffusa è l’adesione generica alle ragioni del cliente per solidarietà con i motivi dell’agire, pur dissentendo dai comportamenti.
La situazione è nota e frequente: essa si estrinseca nell’appoggio alle ragioni ideali del patrocinato, sia singolo o collettivo, che esprime obiettivi condivisi.
È questo il caso di alcuni processi politici, delle difese su temi quali l’ambiente, la salute e la posizione dei lavoratori, del contrasto rispetto ai poteri economici e aziendali, della tutela di cittadini rappresentanti categorie sociali specifiche (ad esempio risparmiatori, consumatori).
In generale, le ragioni che supportano la scelta di accettare l’incarico possono essere svariate.
Sarebbe ipocrita negare, per una professione che ha nella componente imprenditoriale un aspetto strutturale, che spesso alla base della decisione di accettare o meno l’incarico si incontra una motivazione di tipo economico.
È inutile specchiarsi in un vetro rotto non riflettente la realtà: la stragrande maggioranza degli avvocati lotta duramente per il «decoro» di una professione che è sempre meno gratificante dal punto di vista economico. I legali cercano di essere visibili all’esterno per reperire clientela, si sforzano di costruire una organizzazione decente, combattono con una concorrenza divorante. Come non riconoscere che la remunerazione è un propellente che ispira l’accettazione di una difesa? Come non riconoscere che può essere rifiutata una difesa quando il compenso è insufficiente rispetto al caso, all’impegno, alla difficoltà?
Per altro verso nel processo di oggi, dilatato al di fuori del perimetro giudiziario, assume particolare vigore la molla della gratificazione professionale e personale. La comunicazione di massa nelle varie forme manifesta molta predilezione, subito ricompensata, verso i fatti di cronaca giudiziaria. Assumere la difesa in cause celebri, acquisire una notorietà che esce dalle aule della propria città non appaga soltanto un discutibile narcisismo, ma fornisce un veicolo di avviamento professionale, uno strumento utile alla acquisizione di clientela.
Ma qualunque sia il motivo che spinge ad accettare o meno un incarico, all’avvocato vengono riconosciuti spazi di scelta che agli erogatori di servizi pubblici sono negati. Ciò significa che il legame fiduciario tra assistito e professionista è una condizione indispensabile per favorire quel ruolo partigiano che, come si è detto, è considerato un valore in sé.
In ogni caso, le scelte soggettive dell’avvocato di identificarsi con il cliente o meglio di aderire alla sua difesa o istanza non possono togliere valore alle sempre possibili o rivendicate mancate identificazioni.
In altri termini può esservi sintonia o contiguità con il cliente, intuibile o manifesta, ma essa non può essere mai presunta.
L’avvocato può scegliere se difendere o meno, ma quando assume l’incarico non dovrebbe subire pregiudizi o presunzioni per la scelta fatta.
Un conto è l’avvocato, altro è l’inquisito come persona, altro ancora è il reato in discussione come fatto antisociale. E l’essere difensore non autorizza assimilazioni con l’assistito e tantomeno con l’infrazione, talora perfida o ripugnante, di cui si discute.
L’autonomia è un valore in sé che va ricercato e protetto, ma è anche un dovere, come ricorda l’art. 10 del riformato Codice deontologico forense:
Nell’esercizio dell’attività professionale l’avvocato ha il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni e condizionamenti esterni. L’avvocato non deve tener conto di interessi riguardanti la propria sfera personale.
Di qui, sempre in linea astratta, prende le mosse l’indifferenza del legale nel tutelare i soggetti piú disparati, siano essi amici o nemici, reprobi o vittime, marginali o integrati, recidivi o incensurati.
Non solo. Lo svolgimento del processo penale consente di avanzare richieste di risarcimento per le vittime attraverso la tutela legale. E l’avvocato potrà presentarsi in questa veste di accusatore privato per ottenere il ristoro dei danni.
Ebbene, anche in tale funzione di tutore del danneggiato la posizione di indipendenza non viene meno. Difesa e accusa privata rappresentano ruoli antitetici e comportano approcci tecnici differenti ma rientrano, al di là delle predilezioni del singolo professionista, nella medesima funzione. In un caso e nell’altro la distanza tra il legale e l’assistito è e deve essere analoga.
I doveri, per l’avvocato, di autonomia ed indipendenza fanno sorgere specularmente il suo diritto (che si chiede alla collettività di rispettare) di essere giudicato per come egli si impegna, non per chi difende o per il reato addebitato all’assistito.
In sostanza non dovrebbe contare il cliente che si assiste o il tipo di reato in questione, ma dovrebbero essere oggetto di valutazione soltanto le modalità con cui viene esercitata la funzione, e cioè come si difende.
Il «come difendere» è il fulcro della prestazione legale: legata alla tradizione ma espressa con le risorse di una professione intellettuale incalzata dalla modernità.
L’avvocato ha ereditato strumenti di lavoro, cioè le norme e la deontologia, che rappresentano la sua bussola magnetica e che vengono affinati di continuo.
Nel contempo il bagaglio professionale è continuamente arricchito dalla realtà circostante.
Non solo: l’azione giudiziaria sfonda le porte dell’aula per uscire all’esterno dando vita al cosiddetto «processo diffuso». Stampa e opinione pubblica si impadroniscono della vicenda e, come poi si dirà, la macinano, condizionandola, con l’obiettivo di controllarla.
Di certo l’andamento del processo rischia sempre piú la fuoriuscita dalle regole del codice e dai suoi temi specialistici per divenire un fatto collettivo.
Perciò i contenuti del servizio forense si devono rinnovare e non possono esaurirsi nel mero tecnicismo. Essi dovranno articolarsi in svariate componenti che spazieranno dalla abilità soggettiva alla capacità organizzativa, dalle esigenze imprenditoriali al confronto con una concorrenza sempre piú aggressiva.
La conoscenza tecnica generale dovrà integrarsi con quella specializzata, soprattutto in un momento storico nel quale il diritto si trova di fronte a nuovi scenari. In particolare il progresso tecnologico-scientifico, le nuove frontiere della medicina e delle scienze collegate fanno il loro ingresso prepotente anche nel processo penale, con i loro interrogativi di fondo sui confini della scienza, sulla sua certezza, sulla accettazione dei suoi risultati.
L’avvocato conosce per tradizione la sua posizione nel triangolo della giustizia, a lato dell’accusatore, guardando entrambi al vertice occupato dal magistrato che giudica.
In altri termini sa di non esprimere giudizi finali, ma di fornire un contributo al verdetto.
L’avvocato è consapevole che il costo della sua devianza è immenso. Porgere consigli fraudolenti, ispirare il successo di un’infrazione penale, manipolare le prove, porgerne di false, e l’elencazione potrebbe proseguire, significa commettere il reato di favoreggiamento, uno dei peggiori ed infamanti per un legale. Esso infatti è tipico della sua professione, conduce nelle maglie dell’apparato disciplinare, e comporta il rischio concreto di troncare l’attività legale.
Conosciuti i fatti, avrà il compito di ricercare le norme da applicare o di fornire la prospettiva interpretativa piú consona agli interessi dell’assistito.
Effettuata questa diagnosi, sul fatto e sulle leggi, si affaccia l’arduo compito di decidere quale strada imboccare.
La gamma delle opzioni è varia: il modo di difendere è influenzato fortemente dalla serietà delle proposte. L’obiettivo piú ambizioso è l’assoluzione, ma altrettanto importante è ottenere una pena equa; non solo promuovendo il riconoscimento di tutte le possibili attenuanti ma anche attraverso la verifica della capacità dell’imputato di intendere e volere i fatti commessi, e cioè della sua «imputabilità».
Quante battaglie psichiatriche e forensi sono state combattute per stabilire in quali condizioni si trovasse l’imputato al momento dell’agire! A fronte della prova che egli sia l’autore materiale del gesto criminoso, e talvolta anche nel dubbio, il far percepire la dimensione umana, psichica e mentale del soggetto è obiettivo che rende giustizia nel contingente, rispondendo a un canone di civiltà giuridica.
Nello svolgimento dell’incarico l’avvocato si può imbattere in situazioni critiche e di ardua soluzione. Sono quelle che Luigi Ferra...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’avvocato necessario
  4. L’avvocato è necessario?
  5. E se l’imputato vuole accusare anziché difendersi?
  6. Ma a favore di chi opera l’avvocato? A chi è utile?
  7. Il dovere di una doppia lealtà: nei confronti del cliente e dell’autorità
  8. L’autonomia dal cliente
  9. Piú faziosità meno prestigio.
  10. La sensazione che il mito stia svanendo
  11. Nota bibliografica
  12. Il libro
  13. Gli autori
  14. Degli stessi autori
  15. Copyright