Pasolini e Moravia
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Pasolini e Moravia

Due volti dello scandalo

  1. 232 pagine
  2. Italian
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Pasolini e Moravia

Due volti dello scandalo

Informazioni su questo libro

Il confronto tra due giganti del Novecento, avversari culturali e amici fraterni, nel racconto di un autore che ha conosciuto da vicino la società letteraria del loro tempo ed è stato testimone di un'epoca irripetibile. Pasolini e Moravia. Due volti dello scandalo viene pubblicato in occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini. Il legame tra Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia durò piú di vent'anni, dai primi anni Cinquanta fino al tragico omicidio del poeta nel 1975. Amico di entrambi, Renzo Paris ripercorre in questa «affabulazione critica», colma di un affetto ancora vivo, le loro diatribe pubbliche e private, dal Terzo Mondo al Sessantotto, passando per il femminismo, l'aborto, il divorzio, il neo-capitalismo, il calcio. Come due pugili, si sfidavano senza esclusione di colpi sul ring di giornali e riviste, senza che il match avesse mai un vincitore. In Moravia agiva una profonda insofferenza antiborghese verso la società conformista, sempre pronta a scandalizzarsi. Pasolini, che arrivò a cercare apertamente lo scandalo, si spinse fino al sacrificio assecondando la passione che gli ordinava di «gettare il corpo nella lotta». Ariano l'uno, attico l'altro, entrambi «lucenti eremiti». «Gli opposti, come è noto, si attraggono. Pier Paolo Pasolini era attratto dall'elegante romanziere borghese che si voleva contro la borghesia, il padre alla rovescia che usava una lingua tersa e interpretativa, tutto quello che lui non era. Moravia invece era elettrizzato dalla vitalità piccolo borghese di un provinciale piovuto a Roma dal Friuli. Amava i vincenti e Pasolini ai suoi occhi lo era. Erano cosí diversi da non farsi ombra».

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Informazioni

3.

L’archivio

Mi sentii chiamare tra la folla del funerale da Laura Betti, che mi diede appuntamento a via di Montoro, dove abitava, per animare il primo «Archivio Pasolini», poi diventato «Fondazione».
Laura era scesa a Roma negli anni Cinquanta, cercando il successo come attrice e cantante. Era molto amica di Paolo Poli, con il quale facevano la fame. Una volta, disperati, suonarono alla porta della villa di Luchino Visconti sperando che il regista avesse qualcosa da sgranocchiare. Finirono col divorare spaghetti alla vodka. Prima di abitare in via di Montoro, Laura cucinava per Pasolini e i suoi amici succulenti portate nell’appartamento di via del Babuino. «Pier Paolo era un gran mangione», diceva. La loro fu una vera amicizia amorosa. I suoi spettacoli con canzoni scritte da Pasolini – ma anche da Moravia e Arbasino –, come Il valzer della toppa, ebbero molto successo a Parigi, dove fu lodata da André Breton. Divenne ben presto attrice dei film di Pasolini, di Federico Fellini, di Bernardo e Giuseppe Bertolucci, di Marco Bellocchio, di Francesca Archibugi, ma anche di Agnès Varda e di altri grandi registi stranieri. Recitava la parte di una donna emancipata e aggressiva.
Per aver accettato il lavoro dell’Archivio fui bacchettato da Dario Bellezza, che con Nico Naldini, Sandro Penna ed Elsa Morante pensava che il delitto dovesse essere ricondotto all’ambiente omosessuale, non ai presunti mandanti di Ordine Nuovo come credeva Laura Betti. Fino ad allora Dario aveva spesso cenato in casa dell’attrice, davanti a certe bistecche di cui andava ghiotto. Scrisse due libri sull’omicidio dell’amico, uno incentrato sull’ipotesi della matrice omosessuale e l’altro, molto tempo dopo, su quella di una matrice politica. Nel secondo, Il poeta assassinato, rivelò:
Lo conobbi nel 1964, alla presentazione di un libro di Alberto Arbasino. Lo sorreggeva al Viareggio non tanto perché veramente lo stimasse, quanto perché, diceva, apparteneva alla sua stessa parrocchia, in questo dando ragione a Moravia che sosteneva che gli omosessuali si sorreggono gli uni con gli altri, come appartenendo a una speciale massoneria anche se certe volte si odiano mortalmente come si può vedere dall’odio contro di me di Arbasino o di Aldo Busi.
Raccontò che la loro amicizia non fu sempre «lineare e allegra». Pasolini lo aiutava economicamente.
Mi faceva lavorare al cinema con lui; lo aiutai a sviluppare il canovaccio di Medea e andai anche sul set a Cinecittà… Pier Paolo era molto geloso di un ragazzo biondo vestito da paggio che lavorava con lui; cosí a un certo punto scherzando mi fece allontanare dal set vedendo che lo adocchiavo. Poi lavorai anche in Decameron come soggettista e attore.
Secondo la versione di Giorgio Manacorda, che a Pasolini aveva presentato l’attore che interpretava Cristo nel Vangelo secondo Matteo – Enrique Irazoqui, uno studente venuto in Italia da Barcellona con l’obiettivo di raggranellare soldi per la gioventú antifascista spagnola – Dario Bellezza aveva provato piú di una volta a farsi accettare da Pasolini. Colpito da quel gracile ragazzo, sempre vestito a lutto e con un gran ciuffo di capelli neri sulla fronte, Pasolini aveva pregato Giorgio, che allora era del gruppo di «Nuova Resistenza», di andare a un reading di poesia in un locale di Circonvallazione Ostiense in cui si sarebbe esibito Dario. Tra una canzone e l’altra, salí su un palchetto e recitò delle poesie sulla sua omosessualità. Cosí Bellezza venne accettato nella cerchia della nuova serie di «Nuovi Argomenti», proprio quando Pasolini ne divenne direttore insieme a Moravia. Il primo a parlarmene era stato Enzo Siciliano, quando smistavamo dattiloscritti da mandare a una tipografia vicino a casa mia, a Monte Mario. Mi sembrava colpito piú dall’omosessuale che dallo scrittore.
Leggendo i resoconti dei tanti processi che Pasolini aveva subito dai fascisti e dai democristiani, l’ipotesi di Laura Betti che vedeva in Ordine Nuovo il mandante di quella strage mi convinceva sempre piú, anche se pensavo che i veri assassini di Pasolini erano stati quelli che aveva aiutato economicamente fin da quando erano ragazzini, come i fratelli Borsellino e compagnia, simpatizzanti del Msi.
Dal giorno della morte violenta del suo amico, Alberto Moravia era ossessionato dalla necessità di ricostruire i movimenti interni del delitto, per trovare una spiegazione razionale all’assurdità di quel corpo massacrato che avevamo visto fotografato su «L’Espresso» in tutta la sua spaventosa evidenza.
Scrisse una poesia, intitolata Ricordo dell’Idroscalo.
No, non hai ucciso un grand’uomo.
Non hai ucciso neppure un uomo,
hai tentato di uccidere te stesso
senza riuscirci.
Ti stava davanti,
l’hai guardato e hai creduto
di vedere te stesso
come in uno specchio,
con la tua miseria
la tua ignoranza
la tua astuzia
la tua abiezione.
E allora ti sei odiato
per quello che eri
per quello che non eri
per quello che non potevi essere
ti sei odiato.
Avrebbe voluto parlare a tu per tu con l’assassino, che si era mostrato ignaro della grandezza del poeta. Del resto come poteva una marchetta minorenne conoscere le opere della sua illustre vittima?
Moravia era convinto fin dall’inizio che si trattasse di un delitto omosessuale, di una «fatalità», ma non riusciva a credere che Pelosi avesse agito da solo.
In un lungo articolo su «L’Espresso» del 9 novembre del 1975 aveva scritto:
Chi era, che cercava Pasolini? In principio c’è stata, perché non ammetterlo? l’omosessualità, intesa però nella stessa maniera della eterosessualità: come rapporto con il reale, come filo di Arianna nel labirinto della vita […] Accanto all’amore, in principio, c’era anche la povertà […] Il sottoproletariato era per lui una società rivoluzionaria, analoga alle società protocristiane, ossia portatrice di un inconscio messaggio di ascetica umiltà da contrapporre alla società borghese edonista e superba […] Non sarà il suo, un comunismo di rivolta.
Per tutti i quindici anni che lo separavano dalla sua morte, avvenuta nel 1990, Moravia non si rassegnò a quell’atroce sacrificio tribale. Elsa Morante invece preferí non intervenire pubblicamente, salvo durante il processo a Pino Pelosi, quando scrisse versi accorati di riconciliazione, che ora si trovano nell’Archivio Morante della Biblioteca Nazionale.
A P.P.P. in nessun luogo
E cosí,
tu – come si dice – hai tagliato la corda.
In realtà, tu eri – come si dice – un disadattato.
E alla fine te ne sei persuaso
anche se da sempre lo eri stato: un disadattato.
I vecchi ti compativano dietro le spalle
pure se ti chiedevano la firma per i loro proclami
e i «giovani» ti sputavano in faccia
perché fascisti come i loro babbi:
(già, tu glielo avevi detto, però
avevi sbagliato in un punto:
questi sono piú fascisti dei loro babbi)
ti sputavano in faccia, ma ovviamente anche loro
ti chiedevano la propaganda per i loro volantini
e i soldi per le loro squadrette.
E tu non ti negavi, sempre ti davi e ti sdavi
e loro pigliavano e poi: «lui dà»
– bisbigliavano nei loro pettegolezzi –
«per amore di sé stesso».
[…]
Loro ti rinfacciavano la tua diversità
intendendo con questo l’omosessualità.
[…]
La tua vera diversità era la poesia.
È quella l’ultima ragione del loro odio
perché i poeti sono il sale della terra
e loro vogliono la terra insipida.
In realtà LORO sono contro-natura.
E tu sei natura: Poesia cioè natura.
[…]
Tu eri un povero.
E andavi sull’Alfa come ci vanno i poveri
Per farne sfoggio tra i tuoi compaesani: i poveri,
nei tuoi begli abitucci da provinciale ultima moda
come i bambini che ostentano di essere piú ricchi degli altri
per bisogno d’amore degli altri.
Tu in realtà questo bramavi: di essere uguale agli altri,
e invece non lo eri. DIVERSO, ma perché?
Perché eri un poeta.
E questo loro non ti perdonano: d’essere un poeta.
Ma tu ridi[ne].
Lasciagli i loro giornali e mezzi di massa
E vattene con le tue poesie solitarie
al Paradiso.
Offri il tuo libro di poesie al guardiano del Paradiso
e vedi come s’apre davanti a te
la porta d’oro
Pier Paolo, amico mio.
Elsa non nomina i suoi assassini, ma quelli che lo hanno dileggiato e sfruttato, i sessantottini, ricordando loro che Pasolini era diverso non in quanto omosessuale ma in quanto poeta. Ormai, dopo una breve simpatia, nel 1976, li considerava piú fascisti dei loro padri fascisti. Anche lei si portò dentro quell’assassinio fino alla morte. Tornò su Pasolini nel suo ultimo romanzo, Aracoeli (1982), dove l’ossessione del protagonista omosessuale per la madre era anche quella di Pier Paolo e, naturalmente, la sua. L’aveva conosciuto prima di Alberto, al quale lo aveva presentato come il novello Rimbaud. Anche la loro amicizia era punteggiata di critiche e di lodi da parte di Pier Paolo, a cominciare da Menzogna e sortilegio fino alla doppia stroncatura de La storia, come vedremo, ma a differenza di Moravia, che rispondeva puntualmente e pubblicamente, Elsa preferiva intervenire in privato, contestando per esempio il suo modo di interpretare l’amore, che lo spingeva a prendere sempre le difese di Ninetto Davoli quando i due si frequentavano. Su quest’ultimo litigio, ci sono i versi di Pier Paolo del 1970 su Elsa Morante, che altrove chiamava Basilissa e omaggiava dedicandole canzoni come Morant.
Tutti lo sanno bene
che a ventitre anni un ragazzo ha
diritto ad amare una ragazza. Ma è questo che angoscia
chi non ha mai dato a una ragazza il suo seme.
[…] È vero che l’amore deve essere santo,
Elsa aveva ragione, e altro non si deve volere
che la felicità di chi si ama. Ma è vero anche
che non c’è diritto a cui non si opponga un dovere.
Si ha diritto ad amare, ma non a patto del pianto
mortale di chi resta solo nelle sere
che si ripetono uguali, nel ritornare stanco
dei giorni. Nessuno sa mai quali sono le vere
ragioni di un dolore ma se il dolore c’è
si deve saperlo. Ciò è altrettanto banale
che proclamare i diritti all’amore di un ragazzo.
Elsa non ha capito certamente che
io potevo morire.
Un doloroso coccodrillo di Rossana Rossanda comparso sul «manifesto» il 4 novembre 1975 diceva: «L’intellettuale piú scomodo che abbiamo avuto in questi anni. Non piaceva a nessuno quello che negli ultimi tempi andava scrivendo… non piaceva soprattutto agli intellettuali pacifici fruitori della separazione tra letteratura e vita… Sanguineti ha avuto il coraggio di scrivere: “Finalmente ce lo siamo tolto dai piedi, questo confusionario, residuo degli anni Cinquanta”».
Commentandolo su «L’Espresso» Valerio Riva accennò anche a un mio intervento sul «manifesto» e scrisse che si trattava del primo attacco allo scostumato coccodrillo di Edoardo Sanguineti. «Il primo a sparare su di lui è un poetino “selvaggio”, Renzo Paris: in una lettera al “manifesto” lo accusa d’essere uno “sciacallo”».
Non era una letterina la mia, ma un articolo che Rossanda aveva chiesto seguisse il suo. Uno dei giorni seguenti l’omicidio salii alla vecchia sede del...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Pasolini e Moravia
  4. Gli anni felici
  5. Maledetta domenica
  6. L’archivio
  7. Nel salotto di un dentista
  8. Il viaggio in India
  9. Lampi sul Sessantotto
  10. Il punteggio di Amburgo
  11. La parola cane non morde
  12. Ragazze mie
  13. Il romanzo delle stragi e il coito democratico
  14. La storia
  15. Circeo
  16. La poltroncina rossa di Salò
  17. Ultimi fuochi
  18. A luci spente
  19. Elenco bibliografico delle opere.
  20. Il libro
  21. L’autore
  22. Copyright