Il silenzio è cosa viva
eBook - ePub

Il silenzio è cosa viva

L'arte della meditazione

  1. 152 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il silenzio è cosa viva

L'arte della meditazione

Informazioni su questo libro

Nel mondo di Chandra, dove la parola è anche immaginee poesia, meditare è anzitutto stare fermi; sedersi e seguireumilmente e con pazienza il respiro, accoglierlo insilenzio, conoscere ma senza pensare. Meditare è seguirei movimenti della nostra mente smettendo di affaccendarciin azioni, pensieri, preoccupazioni per il futuro, ricordi del passato. Meditare non è fare il vuoto intorno anoi. Anzi: è non separare i mondi, non dividere quel checonsideriamo spirituale da quel che riteniamo ordinario.E i gesti quotidiani di cucinare, lavare i piatti, telefonare, pulire, leggere possono diventare forme di preghiera.È insomma stare dentro noi stessi, dentro tutto ciòche siamo in quel momento, consapevolmente. Spessosi pensa che la soluzione al dolore e all'ansia sia altrove, ma è nel dolore la soluzione del dolore (e nell'ansia lasoluzione dell'ansia). Sentendolo, abitandolo, assaporandolo, non è piú un estraneo, ma a poco a poco un ospitescomodo, irruente, tempestoso e infine un pezzo di noi.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il silenzio è cosa viva di Chandra Candiani in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Filosofia e Storia e teoria della filosofia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Quando la paura bussa, apri

Ho paura, ho paura, ho paura
di dire di cosa ho paura.
BORIS PASTERNAK
La paura è stata nella mia vita non solo un’emozione, un attacco, una presa, ma piuttosto uno sfondo. La paura considerata illegittima, perché apparentemente senza contesto. Alla paura non davo il permesso di soggiorno, al massimo di transito. Allora, con l’indispensabile intelligenza del clandestino, si è rifugiata nella notte.
Vengo da un’infanzia sgretolante e la paura, nel corso degli anni, è rimasta l’unico, o quasi, indizio del passato, un’eco, un’atmosfera da cui guardavo il mondo; anziché guardarla negli occhi, guardavo dai suoi occhi. La paura, di un adulto, è spesso avvolta dalla vergogna. Non solo la propria vergogna, ma anche quella degli altri, non vogliamo sapere che un adulto ha paura, che può aver paura, perché da qualche parte sappiamo che se un essere umano ha paura siamo tutti responsabili, non tutti personalmente, ma tutti insieme sí, perché siamo chiamati a rispondere della nostra connivenza e copertura non solo dei fatti che generano la paura, ma delle parole che li raccontano e che non possono essere dette e condivise, perché collaboriamo col mettere a tacere la paura che viene inesorabilmente coperta da una fittissima rete di complicità sociali. La paura è scomoda, ci chiama a essere vivi di fianco a un altro vivente, a non essere e parlare altrove, a non distrarci.
Le misteriose vie della vita mi hanno regalato due metodi, due alleati per avvicinare e arrivare ad accogliere la paura: la poesia e la pratica del Buddhismo. Cosí la paura ha lasciato la notte, è tracimata nel giorno e si è fatta parole, dialogo, l’ho sentita e ascoltata, l’ho detta, è stata ascoltata, l’ho scritta, è stata letta. Da pochi.
La poesia è entrata come un fulmine nella mia vita, quando ancora non andavo a scuola. Avrò avuto piú o meno cinque anni e passando per il corridoio ascoltai mio fratello imparare a memoria una poesia di Pascoli: Dieci Agosto. Ricordo di aver “visto” le parole che mio fratello pronunciava, di aver ascoltato parole che si facevano subito immagini. E ho pensato: “Da grande scriverò anch’io in quella lingua”. Era una lingua che mi chiamava, un’altra lingua, che sapeva dire il male, anzi farlo vedere e cosí farlo toccare e sentire. Volevo quella lingua cellulare, che sapeva parlare al corpo, che “faceva”.
La poesia è portare testimonianza, testimoniare la paura rende coraggiosi, è il piú profondo atto di coraggio. Quando tengo seminari di poesia ai bambini, spesso, per far intuire la potenza della parola poetica, cito Anna Achmatova:
«Negli anni terribili della “ežovščina” ho trascorso diciassette mesi a fare la coda presso le carceri di Leningrado. Una volta un tale mi “riconobbe”. Allora una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me, e che, certamente, non aveva mai udito il mio nome, si ridestò dal torpore proprio a noi tutti e mi domandò all’orecchio (lí tutti parlavano sussurrando):
– Ma lei può descrivere questo?
E io dissi:
– Posso.
Allora una specie di sorriso scivolò per quello che una volta era stato il suo volto»1.
Questa è la potenza della poesia, dire dove non si può dire, dove è proibito, interdetto, illegittimo dire, ma anche dove la paura, il terrore, non fa immagine, è inimmaginabile. Dove la paura non dà nomi, perché nomi troppo conosciuti, celati nell’evidenza abbagliante del patto sociale. O dove siamo portati a credere che quel che sentiamo non sia giusto, adeguato alla situazione, non legittimo appunto.
Ho scritto un libro, La porta 2, una sorta di poema sulla paura. Due bambini, una femmina e un maschio, e una porta. Dietro la porta un assassino, «senza nome, dal nome troppo conosciuto». «La porta non nasconde, sta davanti all’assassino». La paura è questo qualcosa che si piazza tra noi e l’oggetto della paura, e non lo nasconde, ma si frappone e lo ri-vela. Per fortuna, non è un muro, ma una porta, può essere aperta, ha i cardini, si può farlo a poco a poco, è un varco.
Le poesie di questo libro sono stranamente leggere, bianche, come di neve, c’è tanta neve nel libro. Quando la paura, forse meglio sarebbe chiamarla terrore, sta all’inizio, il freddo la conserva nel tempo senza polverizzarci. La neve permette di non dimenticare, conserva una possibilità, ma fa anche tana, possibilità glaciale di rimando a una futura prontezza.
La porta.
Era.
Di ferro.
Certe volte di ghiaccio.
Perfino
di umano
costato,
allora il suono
del bussare
si faceva sordo
impossibile da ascoltare.
Il bambino è d’oro.
Accecante come
un’imperfezione nella perfezione
come il cortile dipinto di neve.
Vive di neve.
E la neve urla.
La bambina è blu.
Come le ombre sulla neve.
Conserva le parole in un sacco
buio
apre le parole al vento.
Come una scolara, non vista,
in cortile
parla con l’aria3.
Scrivere della paura, scrivere in poesia, la lingua delle schegge, dei frammenti, mi ha reso immaginabile l’inimmaginabile, togliendo peso, ha ridato gravità. La grazia della poesia, il suo essere dono, dettata da altro, da una memoria che ci precede, ha fatto da contrappeso, con la leggerezza acuminata dei versi ha riportato sulla terra, entro la legge di gravità, quello che aveva avuto bisogno di esserne espulso, di essere solo aria, solo notte, solo sfondo.
La poesia è questo dire barrato. Lo conferma ogni giorno il mio lavoro nelle scuole con i bambini migranti. La poesia è una sorta di lingua radice che rivela il loro paese radice. Pur scrivendo in italiano, c’è un sottotesto che i versi lentamente disegnano che mostra l’origine. Un bambino cinese, pur nato in Italia, pur globalizzato e totalmente dimentico delle sue origini, a poco a poco torna a una poesia filosoficamente, stilisticamente cinese.
Ci sono gli a capo in poesia. Un silenzio imperativo che comanda di finire, di saper morire, di sapere la morte, nella parola. Sempre nel mio libro La porta, gli a capo sono spezzature continue, violente, millimetriche. E ci sono i punti. Continuamente punti, anche tra soggetto e predicato. Una costante punteggiatura a dire un’andatura che spezza, come lo spezzarsi degli alberi sotto le tempeste. La paura spezza. La paura mette punti, separa, è conclusiva, impedisce la continuità.
La poesia non libera dalla paura, le dà un contesto, una vivibilità. Grazie alla poesia, è possibile frequentare la paura all’insaputa di se stessi, abitarla senza esserne sequestrati, entrare e uscire, sostare sulla porta. Ed è possibile gridarla o sussurrarla agli altri. La poesia è la possibilità di un ascolto, di un interlocutore. E permette di fare della cronaca storia e quando è davvero grande anche mito, storia di tutti, storia gigante.
Paradossalmente, la paura è un diritto, poterla scrivere è poterla sentire e non viceversa, la pagina è la cornice, la pelle d’albero necessaria, per non restare folgorati, ustionati, o pietrificati. Il diritto alla paura che la poesia mi ha consegnato mi ha portato a essere fiera dell’infanzia conservata, del suo sapere selvatico e mai in vendita, e non solo di essere sopravvissuta.
La poesia è una forza sovversiva della parola, in questa epoca dove la parola è in via d’estinzione e lascia spesso posto solo alla chiacchiera o alla didattica, la poesia sa condurre nel territorio del non so, costringe all’intimità con il non conosciuto, con la domanda che non chiede risposte ma scommesse, rivoluzioni di senso, mappe non lineari. Risponde alla paura contemporanea del vuoto, quel vuoto fecondo che permette l’incontro con l’altro, lo spazio tra me e te in cui potersi emozionare. E questa paura del vuoto è forse tutt’uno con la paura dell’intimità. E cosa crea piú intimità della parola viva?
La poesia è pratica di vita, non di sopravvivenza, è stato l’incontro con la Via del Buddhismo a offrirmi un metodo per sopravvivere e man mano abitare zone sempre piú vaste di me e del mondo.
La poesia mi ha accompagnato. E ha detto. Spesso il futuro.
Nelle scritture attribuite al Buddha, si dice che ogni forma di sofferenza va incontrata e accolta. Ma cosa significa? Resta una frase affascinante e vuota o un ideale senza radici, se non si parte dai primi passi di una pratica che insegna ad accogliere qualsiasi esperienza senza aggiungere e senza togliere niente, in pieno corpo. Prima di tutto, quindi, bisogna avere un corpo. Il fatto di essere incarnati, non è immediatamente essere corpo. Possiamo avere, essere, carne, senza avere, essere corpo. Il corpo è la nostra carne abitata, sentita, percepita con attenzione, precisione, profondissima intimità. Spesso la paura taglia il legame tra noi e il corpo, non permette accesso. La pratica della meditazione di consapevolezza riallaccia il legame, con gradualità gentile e con delicatezza attenta rimette in contatto con il corpo, si ricomincia a sentire, a trovare quale sentire sta nascosto dietro l’irrequietezza mentale, il caos delle parole spruzzate nei nostri occhi o in quelli dell’altro, il gorgo dei pensieri senza un pensatore. La ripetuta attenzione al respiro, alle sensazioni, ai suoni fa percepire la vita che continuamente scorre in noi e riallaccia il legame con il sentimento d’essere.
Una paura che riscontro crescente in questi anni nelle persone che mi chiedono di imparare a meditare è la paura della sofferenza. Spesso mi accorgo che nella loro richiesta di iniziare un percorso interiore, c’è la speranza di poter star bene senza passare dal male, di scavalcarlo, di andare oltre senza attraversarlo. E c’è la speranza di poter fare tutto da soli, di incontrare una via di salvezza che non passi dalla scomodità dell’incontro con un altro, dal dialogo. Ma non è cosí che procede il percorso della meditazione. La meditazione, goccia a goccia, respiro per respiro, passo passo, ci mette in contatto con il male di vivere, con tutto quello che si frappone tra noi e il flusso costante che chiamiamo vita.
C’è un sūtra, un discorso, del Buddha che si intitola Il discorso della freccia. In esso, il Buddha spiega come chi non ha ricevuto gli insegnamenti spirituali sperimenta, esattamente come chi li ha ricevuti, sensazioni piacevoli, spiacevoli, e né piacevoli né spiacevoli. Ma qualcosa li distingue profondamente. Il non praticante è come se fosse colpito da una freccia e subito dopo fosse colpito da una seconda freccia, cosí da percepire il dolore di due frecce. Questa seconda freccia è la sensazione mentale di avversione nei confronti delle sensazioni dolorose e di attaccamento nei confronti di quelle piacevoli. È questa aggiunta al nudo, puro sentire che crea la sofferenza non necessaria di cui la Via buddhista ci insegna a liberarci. E come? Tornando a un sentire spoglio, senza aggiungere, senza togliere, lasciandoci attraversare dall’impatto con il mondo. L’aggiunta che noi facciamo al male è la vergogna, la paura, il senso di fallimento, l’avversione ostinata alla sofferenza. Ma noi sappiamo, organicamente, fisicamente, provare la sofferenza? Sappiamo ancora sentirla? Per questo parlo non solo di non aggiungere ma anche di non togliere niente al sentire.
Quante volte ho visto usare la meditazione per non sentire, per creare una personalità spirituale che ci ripari dal mondo, dai conflitti, dai desideri, dalla rabbia, dalla paura, dal piacere. Quante volte si parla di osservare le sensazioni, le emozioni, i pensieri perché si sta cercando in realtà di creare una scissione, un non sentire, un tenere a distanza la vita stessa. Mentre si tratta di entrare in tale intimità con il sentire stesso, con il flusso vitale, da non lasciare spazio alcuno nemmeno all’io, a quel costante sentirsi colpiti in prima persona, «Perché a me, proprio a me?», che è l’autoriferimento sempre in agguato. Si tratta di interrompere l’autonarrazione, la seconda freccia, che descrive, aggiunge commenti, cronache in diretta o in differita, personaggi, personalità, film e storie. E stare invece con la nudità del sentire, lasciarsi fare e disfare dal sentire che non ci è nemico, è tutt’uno con l’essere al mondo, con il ricevere l’impatto sensoriale con il mondo. Certo, si tratta di una pratica graduale, e occorre creare inizialmente un nido, un luogo in cui tornare, il respiro, il corpo, le sensazioni, la coscienza ben radicata nell’organismo, un luogo a cui poter fare costante ritorno. Come gli uccelli che iniziano a volare, non si allontanano mai troppo dal nido, da principio. Poi, scoprono che ci sono tanti appoggi, piccoli nidi provvisori, stazioni di sosta: rami, tetti, muri, sporgenze. Allora si va, piú liberamente, piú sicuri, perché il ritorno è sempre piú frequ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. In forma di prefazione
  4. Il silenzio è cosa viva
  5. Un altro tipo di nascita
  6. La stanza della meditazione
  7. Aspettare
  8. Inchinarsi fa bene alla terra
  9. Cosí
  10. Non lasciarmi in pace
  11. Il silenzio onesto
  12. La raccolta differenziata
  13. L’attesa ardente
  14. L’arte di meditare
  15. Il sogno della realtà
  16. Cammino per sapere dove andare
  17. Imparare a tremare
  18. La gioia dell’etica
  19. Niente
  20. Quando la paura bussa, apri
  21. Questo è il momento
  22. I suoni del mondo. Le voci
  23. Ricordati di essere vivo
  24. La compassione per il dolore e la gioia per la gioia
  25. Frantumi
  26. Il vuoto
  27. Quello che cercano i cani
  28. Nota al testo
  29. Dediche
  30. Il libro
  31. L’autrice
  32. Dello stesso autore
  33. Copyright