Mercier e Camier
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Mercier e Camier

  1. 184 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Prima opera scritta da Beckett in francese, Mercier e Camier è senz'altro il suo romanzo più divertente. È la storia di due amici che decidono di lasciare la loro città (una mai nominata ma riconoscibile Dublino). Il progetto del viaggio viene frustrato da continui intoppi, contrattempi, incontri con personaggi strani e inquietanti, perfino un omicidio, e i due, alla fine, decideranno di fare ritorno alle rispettive case senza essere andati da nessuna parte, se non al bordello cittadino. Ancora a metà fra il romanzo e il teatro, Mercier e Camier è il punto di svolta nella scrittura di Beckett che, di lì innanzi, da un lato procederà al trittico Molloy, Malone muore, L'innominabile, dall'altro darà vita ad Aspettando Godot. «Camier arrivò per primo all'appuntamento. Vale a dire che al suo arrivo Mercier non c'era. In realtà, Mercier l'aveva preceduto di dieci minuti buoni. Fu quindi Mercier, e non Camier, il primo ad arrivare all'appuntamento. Dopo aver aspettato cinque minuti, scrutando le diverse vie d'accesso che poteva imboccare l'amico, Mercier se ne andò a fare un giro che doveva durare un quarto d'ora. Camier a sua volta, non vedendo arrivare Mercier, se ne andò dopo cinque minuti per fare un giretto. Ritornato all'appuntamento un quarto d'ora piú tardi, invano cercò Mercier con gli occhi. Cosa comprensibile. Perché Mercier, dopo aver pazientato ancora cinque minuti sul posto convenuto, era ritornato a sgranchirsi le gambe, per usare un'espressione a lui cara. Camier quindi, dopo cinque minuti di un'attesa ebete, se ne andò di nuovo, dicendosi, Forse lo incontrerò nelle strade attigue. Proprio in quell'istante Mercier, di ritorno dalla sua passeggiata, che questa volta non aveva superato i dieci minuti, vide allontanarsi una sagoma che nella bruma mattutina assomigliava vagamente a quella di Camier, e lo era in effetti. Sfortunatamente scomparve, come inghiottita dal selciato».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
Print ISBN
9788806135898
eBook ISBN
9788858429198

IV.

Figlio spero unico, sono nato a P –. I miei genitori erano originari di Q –. È da loro che ricevetti, col treponema pallidum, il nasone di cui vedete le vestigia. Erano severi con me, ma giusti. Al minimo scarto di condotta mio padre mi picchiava, con la sua coramella rigida, a sangue. Ma non mancava mai di avvertire mamma, perché medicasse le ferite con la tintura di iodio, o il permanganato. È a questo che devo probabilmente il mio carattere misterioso e schivo. Poco portato per gli esercizi della mente, fui ritirato da scuola all’età di tredici anni e sistemato da fattori dei dintorni. Siccome il cielo, per parlare come loro, non aveva voluto che avessero figli, ripiegarono su di me, con un accanimento del tutto naturale. E quando i miei genitori morirono, in un provvidenziale incidente ferroviario, mi adottarono con tutti i crismi voluti dalla legge. Ma debole di corpo come di spirito, fui per loro occasione di molte delusioni. Spingere l’aratro, maneggiare la falce, annaspare tra le barbabietole, ecc., erano lavori che superavano le mie forze e mi stroncavano letteralmente sul posto, sempre che mi obbligassero a farli. Anche come pastore, come vaccaro o come capraio, per quanto mi impegnassi, non riuscivo a dare soddisfazione. Perché il bestiame errava, senza che me ne accorgessi, nelle terre dei vicini, e si ingozzava di fiori, frutta e verdura. Per non parlare dei combattimenti di tori, caproni e arieti, che mi spaventavano al punto da farmi correre a gambe levate a nascondermi nel fienile. Inoltre, vista la mia incapacità a contare oltre a dieci, il gregge non rientrava quasi mai al completo, cosa che naturalmente mi veniva rimproverata. Le uniche branche dove possa vantarmi, non direi di aver eccelso, ma per lo meno di essermela cavata, erano l’abbattimento di agnellini, vitellini e capretti e l’emasculazione di torelli, arietini e caproni, sempre a condizione che fossero belli teneri e innocenti. È quindi a questa specialità che mi sono confinato, fin dall’età di quindici anni. Ho ancora a casa dolci e piccoli, relativamente piccoli insomma, coglioni di ariete che risalgono a questo felice periodo. Anche nel pollaio sapevo infierire con gran classe e precisione. Avevo un modo tutto mio di soffocare le oche che destava l’ammirazione generale. Oh, lo so che mi state ascoltando d’un orecchio distratto e pure irritato, ma non mi importa. Perché sono vecchio e l’unico piacere che mi resta è di ricordare, ad alta voce e nello stile nobile che odio, i giorni felici che fortunatamente non rischiano di tornare. A vent’anni, o forse diciannove, avendo avuto la goffaggine di ingravidare una lattaia, scappai, con la copertura della notte, poiché ero sotto stretta sorveglianza. Ne approfittai per dare fuoco a fienili, granai e stalle. Ma quegli incendi furono soffocati sul nascere da un forte temporale che nessuno avrebbe potuto prevedere, data la limpidezza del cielo al momento dell’attentato. La pioggia è la rovina di questo infelice paese. Sono passati cinquant’anni, vale a dire cinquecento. Brandí il suo bastone e colpí con violenza il sedile dal quale fuoriuscí subito una nuvola di polvere tenue ed effimera. Cinquecento, strillò.
Il treno rallentò. Mercier e Camier si guardarono. Il treno si fermò.
Maledizione, disse Mercier, siamo su un locale.
Potrebbe essere una fortuna, disse Camier.
Bella fortuna, disse il vecchio.
Il treno si mise di nuovo in marcia.
Saremmo potuti scendere, disse Camier. Ora è troppo tardi.
Scenderete con me, alla prossima, disse il vecchio.
Cambia tutto, disse Mercier.
Garzone di macellaio, disse il vecchio, garzone di droghiere, garzone di mattatore, becchino, sagrestano, e via dicendo, sempre tra i cadaveri, ecco la mia vita. Sopravvivevo parlando, ogni giorno un po’ di piú, ogni giorno un po’ meglio. C’è da dire che ce l’avevo nel sangue, visto che mio padre era uscito, indovinate con quanta premura, dalle viscere di un curato di campagna, lo sapevano tutti. Avevo tutti gli occhi addosso, nelle bettole e nei bordelli di periferia. Compagni, che ci dicevo, io che non sapevo scrivere, compagni, Omero ci insegna, Iliade, canto tre, verso ottantacinque e seguenti, in cosa consiste la felicità sulla terra, ovvero la felicità. Oh, ero senza pietà. Potopompos scroton evohe, che ci dicevo. Avevo seguito dei corsi, pensate un po’. Lanciò una risata stridente e selvaggia. Corsi gratuiti generosamente destinati ai pidocchiosi affamati di lumi da notte. Potopompos scroton, abbasso il pene e in alto il gomito. Uscite da qui, che ci dicevo, coda giú e testa su, e tornate domani. La consorte, al macero, che se la sbrogli. A volte mi facevo beccare. Mi rialzavo tutto sanguinante e con i vestiti a brandelli. Figli miei, sono le scorie dell’amore. Anche Dio, se ne prendeva di santa ragione. Ma alla fine ci si abitua. Mi mettevo in ghingheri e andavo a matrimoni, funerali, balli, vigilie e battesimi. Ero il benvenuto. Quasi mi amavano. Gliene raccontavo di tutti i colori, sull’imene, la vaselina, l’alba della iella, la fine delle pene. Sempre tra i cadaveri, è questa la mia vita. Fino al giorno in cui mi toccò la fattoria. Cosa dico, la fattoria, le fattorie, dato che ce n’erano due. Mi amavano sempre, poveretti. E cadeva a proposito, visto che il mio nasone cominciava a sgretolarsi. Ti amano meno, quando il naso comincia a sgretolarsi. Stiamo arrivando.
Mercier e Camier ritrassero le gambe per lasciarlo passare.
Non scendete? disse il vecchio. Avete ragione, solo i dannati scendono qui.
Portava delle ghette, una bombetta gialla e una specie di redingote che gli arrivava alle ginocchia. Scese rigido sul binario, si girò, sbatté la portiera e alzò l’orrendo viso verso di loro.
Figuratevi che io, disse, scelgo il mio scompartimento, aspetto che il treno parta, poi salgo. Ci si crede tranquilli, ben alla larga dagli importuni, ma no. Perché ecco che arriva il vecchio Madden, all’ultimo momento. Il treno prende velocità, siamo bloccati con lui, è la fine.
Il treno si mise di nuovo in moto.
Addio addio, gridò il signor Madden. Mi amavano sempre, mi amavano –.
Mercier, che dava le spalle al senso della marcia, lo vide, incurante delle persone che affluivano verso l’uscita, posare la testa sulle mani, appoggiate a loro volta sul pomo del bastone.
Si parla molto del cielo, gli occhi vi si portano sovente, si distaccano, giusto per riposarsi, dalle masse permesse e volute, per offrirsi a questo mucchio di deserti trasparenti, è un dato di fatto. Come sono contenti allora di andare a scavare di nuovo nelle ombre e battere le palpebre tra le presenze. Siamo arrivati a questo punto.
Tutto, disse Mercier, cambia tutto.
Camier asciugò il vetro col risvolto della manica, che teneva per il bordo con le dita ricurve.
È una vera catastrofe, disse Mercier. Mi ha –. Rifletté. Mi ha distrutto, disse.
Visibilità nulla, disse Camier.
Sei stranamente calmo, disse Mercier. Non avrai mica approfittato del mio stato per sostituire al rapido convenuto questo abominevole trabiccolo?
Ti devo delle espiegazioni, disse Camier. Camier diceva sempre espiegazioni. Quasi sempre.
Non ti chiedo Espiegazioni, disse Mercier, ti chiedo di rispondere sí o no alla mia domanda.
Non è il momento di tagliare i ponti, disse Camier, né di bruciare le tappe.
È un’ammissione, disse Mercier. Non lo sapevo. Mi sono lasciato ingannare, in modo vergognoso. Se non mi precipito giú dallo sportello, è perché non ci tengo particolarmente a storcermi la caviglia.
Ti espiegherò tutto, disse Camier.
Tu non mi Espiegherai un bel niente, disse Mercier. Hai approfittato della mia debolezza per darmi a bere che salivo su un rapido, mentre –. Il suo viso si scompose. Aveva una grande facilità, a scomporsi, il viso di Mercier. Le parole mi mancano, disse, per esprimere ciò che sento.
È proprio il tuo stato di debolezza, disse Camier, che mi ha ispirato questo sotterfugio.
Spiegati, disse Mercier.
Date le tue condizioni, disse Camier, bisognava partire, senza partire.
Sei volgare, disse Mercier.
Scenderemo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione. di Chiara Montini
  4. Nota del traduttore
  5. Mercier e Camier
  6. Capitolo primo
  7. Capitolo secondo
  8. Capitolo terzo
  9. Capitolo quarto
  10. Capitolo quinto
  11. Capitolo sesto
  12. Capitolo settimo
  13. Capitolo ottavo
  14. Capitolo nono
  15. Capitolo decimo
  16. Capitolo undicesimo
  17. Capitolo dodicesimo
  18. Il libro
  19. L’autore
  20. Dello stesso autore
  21. Copyright