Le dimensioni microscopiche dell’atrofia di Luria per il momento tranquillizzano soltanto la figlia, che in ogni caso non è riuscita a trovare un sostituto al padre per andare a prendere il piccolo Omri all’asilo il martedÃ. Il figlio maggiore, Yoav, invece è in ansia. Nonostante sia un quarantasettenne razionale, e malgrado la fiducia che ripone nella madre, medico di grande esperienza, ritiene che le dimenticanze del padre e il suo stato confusionale siano dovuti a motivi psicologici, non fisiologici, e una mattina di pioggia annuncia il suo arrivo a Tel Aviv per tentare di stimolare la psiche del genitore a fare il proprio dovere.
– Ma la mamma stamattina è in ospedale, – obietta Luria, – le dispiacerà non vederti.
– Meglio cosÃ. È importante che lei non interferisca. Vengo solo ed esclusivamente per te.
Luria, che conosce bene il figlio e ne intuisce la preoccupazione, è soddisfatto del suo allarmismo, per quanto questo potrebbe comportare qualche rabbuffo da parte sua. E malgrado l’appartamento sia in ordine lo tira ancora piú a lucido, per dargli un esempio. La casa di campagna di Yoav è infatti perennemente a soqquadro. Inoltre, visto che arriva immancabilmente affamato e non appena entra si precipita al frigorifero per scandagliarne le profondità e trovare, probabilmente, il cibo di cui non si è saziato abbastanza durante l’infanzia, gioca d’anticipo apparecchiando la tavola con formaggi, creme da spalmare, frutta secca, biscotti, e mette sul fornello la grande padella della shakshuka1 (inestinguibile residuo dello sconsiderato acquisto di pomodori) nella speranza di trovare un partner che lo aiuti a far sparire il ricordo di quel guaio.
Ed eccolo Yoav, intabarrato in una vecchia giacca a vento militare, bagnato ma pieno di energia. Abbraccia talmente stretto il padre che sembra voler persino fargli male, ma solo allo scopo di renderlo piú vigile. Dopo qualche ragguaglio sui nipoti e sull’azienda, il cui crescente successo rende il suo proprietario sempre piú schiavo, il giovane Luria dice al padre:
– Un momento, prima di parlare del futuro, fammi vedere la risonanza.
L’ingegnere ride.
– E anche se la vedessi, cosa capiresti? Nemmeno io so ancora cosa mi sta succedendo.
– E la mamma l’ha capito?
– Cosà dice.
– Ma può darsi che si sbagli.
– Non dimenticare che è medico.
– E allora? Una volta, in terza media, mi ha mandato a scuola anche se era evidente che avevo il morbillo.
– Solo perché avevamo il sospetto che facessi di tutto per marinare le lezioni. Ma nel mio caso, figliolo, non è solo questione di interpretare una neuroimmagine, sono i fatti a parlare.
– Cioè?
– Te l’ho già detto. Non solo dimentico nomi di conoscenti o di personaggi famosi, comincio anche a fare confusione con i tempi.
– Ma non perché il tuo cervello si stia ottundendo, papà . È una questione psicologica. Per questo è un bene che la mamma non sia qui. Si sarebbe imposta nella conversazione e l’avrebbe incanalata dove voleva lei.
– Ma lo sai che per lei non ho segreti.
– Dopo potrai raccontarle tutto quello che vuoi, prima però ascoltami con pazienza.
– Non solo con pazienza, ma anche con amore e gratitudine. Dici di essere venuto apposta per me in una giornata cosà burrascosa.
– E anche se Osnat mi ha avvertito di non importunarti. Ma io non mi arrendo facilmente. Mi conosci. Fammi vedere la risonanza.
– Prima devi assaggiare la shakshuka, se no si raffredda.
– Perché l’hai fatta in una padella cosà grande?
– Ecco un altro piccolo esempio di quello che ti ha portato qui. Anche una shakshuka in una padella tanto grande ha a che fare con la mia atrofia. Ma non ti preoccupare, è buona, e ogni volta che la riscaldo lo è ancora di piú.
Luria serve la pietanza rossastra, in cui galleggiano tuorli d’uovo, in due piatti fondi, bianchi, poi sposta stoviglie e formaggi e fa spazio all’immagine della sua corteccia cerebrale. E siccome il temporale si fa piú forte e la luce naturale si affievolisce, accende un abat-jour in modo che il figlio possa tuffarsi nei meandri tortuosi del suo cervello quasi fossero le viscere di un sofisticato computer. Yoav, attento a non toccare l’immagine, aguzza lo sguardo. Alla fine sospira e conclude:
– Scusa sai, ma questo cervello, il tuo cioè, da quello che mi sembra è del tutto normale. Non è un caso che nemmeno tu sia riuscito a vedere se c’è qualche problema.
Luria china la testa con un sorriso.
– Grazie, la tua opinione mi fa piacere. Sei gentile. Comunque che ci posso fare? Il dottore e la mamma…
– Va be’, certo, ma anche supponendo che ci sia una piccola atrofia, che né io né te riusciamo a vedere, cosa suggerisce di fare questo neurologo?
Luria è quasi tentato di parlargli del consiglio di avere rapporti sessuali piú frequenti. Invece infila l’esito della risonanza magnetica in una busta e la allontana dal tavolo.
– Il suo consiglio è semplice: fare il possibile per non perdere la memoria. Soprattutto cercare di ricordare i nomi.
– Benissimo. E come?
– Con la giusta disposizione di spirito e tanta buona volontà . Ecco la sorpresa per te, mio caro, l’opinione del neurologo di cui non ti fidi.
– Esatto, – strilla Yoav, – con la giusta disposizione di spirito. Ed è per questo che sono qui, papà . Quindi, senti che cos’ho da dire. E per favore non te la prendere. Tu sei un professionista di grande competenza ed esperienza, hai costruito e asfaltato strade e per anni sei stato direttore di divisione. Per questo sono indignato che tutte le tue qualità , che io in parte ho ereditato, vadano sprecate e tu ti riduca a fare dei semplici lavoretti domestici tipo la spesa, inutili pulizie dell’appartamento o gigantesche shakshuka.
– Alla shakshuka ci arriviamo subito. Ma intanto va’ avanti, ti ascolto.
– Ho l’impressione che dopo che avete licenziato la donna di servizio tu abbia deciso di prendere il suo posto e di diventare il servo della mamma. E già questo limiterebbe i tuoi orizzonti.
– Ancora con questa stupidaggine del licenziamento della donna di servizio…
– Però l’avete licenziata.
– Ma no, non è assolutamente vero. Piantala con questa storia. Le abbiamo solo ridotto le ore.
– Di quanto?
– Ma come? – insorge Luria. – Mi stai sottoponendo a un interrogatorio?
– Proprio cosÃ. L’interrogatorio di un figlio preoccupato del futuro del padre e di quello di tutti noi. Di’ la verità . Quante volte al mese viene adesso la colf?
– Non c’è niente di stabilito. Diciamo una volta alla settimana.
– Non basta. È troppo poco –. Yoav alza la voce. – La mamma lavora in ospedale, e anche quando è a casa odia occuparsi delle faccende domestiche, quindi ogni cosa ricade sulle tue spalle.
– Innanzitutto non è un gran peso. Siamo solo in due in casa. E poi a me fa piacere.
– Certo, ti fa piacere… per giustificare la fuga dalla realtà che ti porta a essere…
– Essere cosa?
– Niente, non importa…
– Essere cosa?
– Non importa. A fuggire dalla realtà .
– Di quale realtà parli esattamente?
– Di quella che è stata la tua per tutta la vita e che ti ha dato grandi soddisfazioni.
– Che strano. Parli proprio come il mio neurologo. Passi per lui, che non conosce la mia professione ed è libero di proporre cose insensate. Ma tu dovresti sapere benissimo che non sono i liberi professionisti a progettare le strade ma gli ingegneri alle dipendenze di enti governativi e statali. E in Percorsi di Israele c’è una nuova generazione di giovani di talento. E non potrebbero, e nemmeno avrebbero motivo di riprendere un vecchio pensionato come me, nemmeno a metà tempo.
– Ma ci sono studi privati che forniscono servizi di ingegneria allo stato, – ribatte il figlio, – o a enti municipali. E hanno bisogno di ingegneri di grande esperienza, anche solo part-time, con uno stipendio minimo e senza obbligo di contributi. Solo per evitare che tu te ne stia a casa a cucinare shakshuka.
– Per la shakshuka ho una spiegazione, che ha giustamente a che fare con quello che ti impensierisce. Ma la possibilità che io trovi un impiego in uno studio privato è pura fantasia. È proprio in quegli studi che ci sono già pensionati pronti a ostacolare l’arrivo di uno nuovo per paura di essere messi da parte. Tanto piú che di solito ci lavorano già anche i figli e i nipoti dei titolari, che li erediteranno. E di’ la verità , riterresti dignitoso che io prendessi ordini da un ragazzino?
– E tutti gli amici che hanno lavorato con te? Anche loro sono nelle tue stesse condizioni. Perché evitare di contattarli? Magari proprio tramite loro potresti trovare qualcosa.
– Che intendi, Yoav, per «tutti gli amici»? Quelli che hanno lavorato con me in genere non erano miei amici, e gli altri, dove vuoi che li cerchi ora? È vero che a volte l’azienda organizza conferenze o eventi ai quali invita anche gli ex dipendenti per dimostrare di non averli dimenticati. E naturalmente ci si incontra ai funerali, o alle visite di condoglianze. Ma da quando mi sono reso conto che dimentico o storpio i nomi di persone con cui ho lavorato per anni, ho cominciato a evitarli. Preferisco vedere un film, andare a un concerto, o al ristorante, dove sto piú tranquillo. E se sento il bisogno di vedere amici, allora è meglio che incontri quelli della mamma, medici come lei, di cui non sono tenuto a ricordare i nomi…
– Solo nomi di malattie…
– No, piú che altro di medici loro concorrenti che sbagliano una diagnosi o una terapia. In ogni caso sono persone a cui non devo niente. Cosà posso starmene in disparte e ascoltare in silenzio storie sul decesso di persone sane o su guarigioni miracolose di pazienti mezzi morti, senza rischiare di dover pronunciare neanche un nome.
– Ma perché dovresti chiamare la gente per nome? – eccepisce il figlio. – Il cognome non basta? O meglio ancora, rimanere zitto.
– Molto spesso faccio cosÃ, ma non sempre è possibile. Ci sono situazioni in cui è indispensabile rivolgersi a qualcuno per nome. È come se il suo nome ti cercasse, pretendesse che tu lo pronunci, e quando lo sbagli, invece di risvegliare compassione susciti offesa e ostilità . Per qual...