Ulisse
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Ulisse

L'ultimo degli eroi

  1. 208 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ulisse

L'ultimo degli eroi

Informazioni su questo libro

L' Odissea è il primo vero romanzo della letteratura occidentale e Ulisse, il suo protagonista, è l'ultimo degli eroi, il primo personaggio moderno. Ma che uomo è stato? Ha lasciato una moglie a casa da sola con un bambino e un vecchio suocero da accudire. E come padre? Il figlio Telemaco è dovuto crescere senza di lui, prigioniero della sua ombra e condannato a non poter diventare mai davvero adulto. E le tante donne che ha incrociato nel suo viaggio? Per quanto si possano essere rivelate perfide, sono state tutte sedotte dal suo fascino e dalla sua scaltrezza e poi abbandonate: Circe, Nausicaa, Calypso. Guidorizzi ci accompagna alla scoperta di un eroe guardandolo attraverso gli occhi di chi ha partecipato solo da comprimario alla sua epica vicenda. E lo fa, come di consueto, unendo al rigore del classicista la passione e la brillantezza del narratore.

«Dormiva Penelope quando Telemaco partí alla ricerca di suo padre. La mattina Euriclea, con le lacrime agli occhi, era salita nella sua stanza e le aveva bisbigliato all'orecchio che il figlio era salpato nella notte. Il suo cuore si era spezzato, ma non aveva gridato o pianto, non aveva detto una parola. Doveva nasconderlo finché poteva: era circondata da ancelle infedeli che la spiavano in ogni momento andando a riferire tutto ai loro amanti. I pretendenti avrebbero potuto mettere in mare una nave veloce e inseguirlo. Ma fino a sera almeno non se ne sarebbero accorti. A quel punto era veramente sola».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
Print ISBN
9788806235604
eBook ISBN
9788858429563
Mégaron

La casa

«Eumeo si era appena allontanato per avvisare in segreto Penelope del mio ritorno. Il prodigio è avvenuto mentre stavo rientrando nella capanna. Ho varcato la soglia e davanti a me c’era un uomo completamente diverso dallo straccione che avevo appena lasciato. Una voce ignota mi ha sussurrato all’orecchio che era mio padre. Il vecchio aveva scosso a terra gli stracci. Come per incanto i suoi capelli erano ridiventati neri, il corpo si era raddrizzato e i muscoli delle spalle si disegnavano forti e tesi sotto una veste nuova. Sembrava un re o un dio. Sono rimasto impietrito, come davanti a un’apparizione, e lo straniero mi è venuto incontro. Piangeva».
– Telemaco, ti ho guardato per tutta la sera e tu non te ne sei accorto. Ho dovuto farmi forza per non mettermi a piangere e non abbracciarti subito. Sei bello, piú ancora di come ti avevo immaginato in questi anni, quando sull’isola di Calypso non riuscivo a scacciare l’idea di un figlio che stava crescendo lontano da me. Ora ti posso toccare. Sono io tuo padre, non arriverà mai un altro Ulisse, sono io quello che aspetti.
Telemaco capisce che è lui, e non un impostore perché quando lo abbraccia prova una sensazione indescrivibile di vicinanza. Un padre e un figlio insieme, la cosa piú bella. Piange anche lui e le loro lacrime salate si mescolano sui loro volti. Poi si separano. È finito il momento del pianto. Ci sono tante cose che devono pensare insieme.
Ulisse non perde tempo a raccontare la sua storia; dice soltanto che è l’unico sopravvissuto, che la flotta è stata distrutta e che i marinai feaci l’hanno lasciato su una spiaggia di Itaca, insieme alle sue ricchezze. Ci sarà il momento di raccontare, ha detto, questo è il momento di agire. Vuole sapere tutto, i nomi, i particolari di quello che sta accadendo nella reggia. Ogni tanto si ferma a riflettere e torna nuovamente a interrogare.
– Non devi fare niente, – dice, – neppure se vedessi che mi afferrano per i piedi e mi trascinano fuori dalla sala. Entrerò fingendo di essere il mendicante che hai visto. Mi insulteranno, mi maltratteranno, non reagirò. Andrà tutto a loro debito. Se qualcuno si comporterà bene lo risparmierò. Devo capire chi mi è amico, spiare la mente di ognuno e scoprire la via per abbatterli. Aspetterò il momento. Cosí ho sempre fatto con i nemici, e sempre ho vinto.
– Come faremo? – gli domanda Telemaco a un certo punto, – sono in troppi per affrontarli faccia a faccia.
– Hai bisogno di alleati? Dimmi se ti bastano Atena e Zeus che staranno al nostro fianco. Ti fanno paura quei codardi che pensano solo a banchettare, bere e fare i superbi? Ho visto tanti presuntuosi cadere nel fango: la superbia è un vizio facile da eccitare, facile da ingannare. Noi abbiamo due cose che loro non possiedono, dólos e métis, l’inganno e l’intelligenza. Ingannare non basta se non possiedi la métis, e non sei capace di progettare quello che vuoi che accada e non hai la pazienza di attendere il momento in cui la preda si presenta dritta davanti al colpo. Anche gli uccelli sono tanti, eppure basta un cacciatore con una rete per prenderli tutti assieme, se è abile. Noi li prenderemo come pecore, e loro non potranno fare nulla se usiamo la métis –. Tace per un attimo e Telemaco non osa interromperlo. Poi riprende. – Questa sera fai scomparire le armi dalla sala. Tieni solo in disparte due scudi, due lance, due elmi e due spade per noi. Non avremo tempo d’indossare le corazze. Se qualcuno ti chiede il motivo, dirai che hai tolto le armi perché si erano affumicate con gli anni e le vuoi far pulire. E inoltre che è meglio toglierle dal luogo dove si beve, perché le armi attirano da sole gli uomini a usarle. Quando sarà arrivato il momento ti farò un cenno e andrai a chiudere tutte le uscite dall’esterno. Ma domani non agiremo, dobbiamo aspettare. Antinoo ed Eurimaco sono i capi. Devono essere i primi a morire. Eliminati loro, gli altri saranno presi dal terrore. Ho visto molte volte in battaglia che quando il capo cade gli altri sbandano. Anche i pretendenti cercheranno soltanto di fuggire, ma troveranno chiuse le uscite. Sbarra anche la porta di Penelope, sulle scale; potrebbero cercare di scappare di lí oppure prenderla in ostaggio. Piú troveranno chiuse le vie di fuga, una dopo l’altra, piú andranno nel panico. Si sentiranno in trappola come topi. Ho visto molte volte Achille in battaglia: bastava un suo grido per scompigliare una massa di gente. Col grido esce tutta la tua forza e le tue energie si moltiplicano. Genera spavento nei nemici, e aumenta il tuo coraggio. Anche tu grida piú forte che puoi, mettiti la morte negli occhi, lo sguardo è la prima delle armi; un vero uomo è capace di fissare il nemico dritto negli occhi mentre lo affronta, ed è pronto a dare la morte o riceverla. Ma i vili non riescono a sostenerlo, restano pietrificati. Questi codardi si sgomenteranno. E non fermarti a guardare chi rotola a terra, dobbiamo fare tutto alla svelta. Eumeo l’ho messo alla prova; è un uomo fidato, potrà aiutarci.
– Sí, – risponde Telemaco, – è stato lui a insegnarmi a maneggiare la lancia. Mi esercito ogni giorno, ora sono bravo a colpire. Anche con l’arco mi ha insegnato a tirare: so colpire un uccello che si leva in volo.
– Mi hai parlato dei pretendenti. Dobbiamo guardarci da altri? Chi sta dalla loro parte, chi potrebbe spiarci?
– Alcune ancelle sono le loro amanti. Melantò soprattutto, è diventata la donna di Antinoo e s’incontrano quasi ogni notte nel giardino. E poi il loro cocco, Melanzio il capraio. È un giovane bruno, che si pavoneggia con la sua barba nera e gli occhi stellanti. Si crede bellissimo, danza in mezzo ai pretendenti piroettando, loro lo applaudono e ridono, lui intanto lancia occhiate vogliose alle servette.
– Un capraio davvero garbato ed erotico, – sorride Ulisse. – Metteremo alla prova anche lui.
Poi prosegue.
– Eumeo lo potremo usare per coprirci i fianchi: spesso ho visto uomini colpiti perché non si accorgevano di avere un nemico di lato. Quando affronti qualcuno faccia a faccia devi essere sicuro di non ricevere colpi da dove non ti aspetti. C’è qualcun altro che potrà aiutarci?
– Filezio, il mandriano. Ho sentito molte volte lui ed Eumeo mentre maledicevano i pretendenti.
– Dunque, siamo in quattro. Basteremo, credimi.
Euriclea esce con alcuni pezzi di carne che ha sfilacciato con le mani. Anche oggi li porta al cane. Non ha quasi nemmeno piú la forza di alzarsi, quell’animale, striscia zoppicando verso la carne, quando la nutrice gliela getta, e poi di nuovo si lascia cadere su un mucchio di paglia. È pieno di zecche, ormai non vale nemmeno piú la pena di togliergliele. Ha gli occhi semichiusi e quando li apre esprimono una tristezza infinita. Argo l’aveva chiamato Ulisse, cioè «il veloce». Uscivano insieme a cacciare ma da quando è partito nessuno l’ha condotto piú sui monti. Però era trattato bene in ricordo del padrone e invecchiava cosí, malinconico, in disparte dagli altri cani. Nessuno l’aveva piú visto scodinzolare da allora. Quando erano arrivati i pretendenti era uscito dalla reggia e non aveva piú voluto rientrarci. Ma Telemaco ed Euriclea avevano continuato a nutrirlo. Gli uomini possono piangere e parlare delle proprie sventure, gli animali no. Ma se li guardi negli occhi capisci tutto quello che passa nella loro anima. Perché un’anima ce l’hanno, anche se diversa da quella di noi umani.
Cosí pensa Euriclea, e pensa che lei davvero è la nutrice di tutti: ha allevato Ulisse, tanti anni fa, poi Telemaco e ora si occupa anche di questo cane. Anch’io diventerò come lui, pensa, e non avrò nessuno che mi porti la carne e il pane alla bocca.
Rientrando nella reggia vede comparire sulla strada polverosa il porcaro insieme a un vecchio cencioso che si appoggia al suo bastone da mendicante. Ogni tanto qualcuno di questi disgraziati si presenta alla porta della reggia, com’è naturale. Stranieri girovaghi che vengono a raccattare un po’ di cibo e a volte rimediano qualche vecchio mantello bucato; raccontano le loro storie pietose, vere o false che siano, e immancabilmente dicono di avere incontrato Ulisse da qualche parte nel mondo. La miseria è la cosa piú orribile, abbrutisce chiunque. Le pare strano però che questo si presenti insieme a Eumeo, il quale sta conducendo un maiale ben grasso legato al collo con una corda, che ogni tanto strattona perché ha visto qualche cosa in terra da ingurgitare.
Si fermano davanti al cane disteso. Magrissimo, si vedono le sue costole alzarsi e abbassarsi lentamente a ogni respiro. Il mendicante scambia qualche parola con Eumeo e poi il porcaro si avvia a portare il suo maiale in cucina. Il vecchio si china sul cane e lo accarezza. Ed ecco, una cosa incredibile: Argo tenta di sollevarsi ma poi ricade, e muove un poco la coda come se volesse fargli festa e gli lecca la mano che lo sta ancora accarezzando, drizza per un istante le orecchie come se volesse sentire il suo nome per l’ultima volta. Poi, il movimento delle costole si ferma.
Lo straniero si copre il volto con le mani e da sotto sboccia una lacrima, Euriclea la vede colare sulle guance rugose. Ha visto nella sventura del cane la sua stessa sventura. Vecchio, esule, mendicante. Che vita lo aspetta? Forse Argo è stato piú fortunato. Occorre dire ai servi di seppellirlo, non sta bene che il cane del re finisca roso dai corvi. È un giorno triste oggi, un’altra parte di Ulisse finisce. Euriclea sente il peso della vita gravare sul suo vecchio cuore.
Però Telemaco è tornato a casa sano e salvo, poche ore fa; ha già riabbracciato la madre. Ma è una calma apparente, Euriclea lo capisce bene. Sono tornati tutti i pretendenti, anche Antinoo ed Eurimaco, i caporioni; oggi sono ancora piú arroganti del solito, si vede che nascondono a stento la loro irritazione. Hanno fallito il colpo con Telemaco, lo sanno tutti anche se nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente. Tra poco dovrà esserci una resa dei conti in qualche modo.
Dalla sala si odono le risate dei pretendenti. Alcuni stanno arrivando e si sente il rumore di ruote di carri.
Eumeo esce dalla cucina, il maiale è stato già macellato, e non ha avuto neppure il tempo di stridere perché il porcaro conosce bene il suo mestiere. Potesse tagliare la gola di Antinoo nello stesso modo!
– Chi è, Eumeo, – gli dice Euriclea, – il vecchio che ti accompagnava? Sembra un uomo estenuato dalla vita.
– Un mendicante, sí, – risponde Eumeo, – viene da Creta. È arrivato alla mia capanna e io l’ho ospitato. Lui mi ha ricambiato riempiendomi la testa di racconti. Sa chiacchierare bene quell’uomo, di sicuro.
– Ti avrà detto di avere incontrato Ulisse.
– Certo, dicono tutti cosí gli accattoni che approdano a Itaca. Ora è arrivato qui per mendicare, anche se l’ho sconsigliato di venire nella reggia, ma lui ha insistito: dove ci sono uomini ricchi, un mendicante deve andare a chiedere. Ma sono troppo arroganti, quei giovani, non hanno rispetto per la sventura. È gente che della vita ha visto solo il lato gioioso, non hanno conosciuto la sofferenza e il dolore, non si curano degli dèi che proteggono i poveri e gli stranieri. Per questo so che finiranno male.
– Oggi sono ancora piú cattivi del solito, – dice Euriclea. – Non vorrei che quel poveraccio fosse bastonato e trascinato per i piedi fuori dalla reggia.
Eumeo tace per un momento, e intanto come per caso fissa il suo coltello ancora macchiato del sangue del maiale.
– Venendo ho incontrato l’amico di questa gentaglia, Melanzio il capraio, insieme al suo servo. Si illude di diventare il loro uomo di fiducia ed è disposto a fare di tutto per compiacerli, quel verme. Laerte non doveva comprarlo, era maligno e falso sin da ragazzo, non avrebbe dovuto affidargli le sue capre.
Ci ha visto e ha cominciato a insultarci. È uno che va fiero della sua barba e dei suoi occhi brillanti, si crede il piú bello di tutti. Ecco un villano che conduce un altro villano, ha detto. Dove porti questo straccione che vive logorandosi le spalle contro gli stipiti delle porte a chiedere tozzi di pane e subisce le beffe e i colpi della gente pur di riempirsi la pancia? Fallo venire da me, si guadagnerà il cibo spalando il letame oppure gettiamolo su una nave e vendiamolo da qualche parte. Che sparisca di qui e vada a raggiungere Ulisse, poi se ne vada alla malora anche Telemaco. Quando gli è passato accanto ha allungato un calcio al mendicante. Il vecchio non ha detto niente, ma io mi sono slanciato col bastone in alto e stavo per spaccargli la testa; lo straniero mi ha fermato con un cenno, Melanzio ha fatto un salto indietro. Poi ha ricominciato a beffarci da lontano, e intanto si affrettava verso la reggia, dai suoi protettori. Verrà una sera che lo coglierò da solo.
Eumeo parla a voce bassa e continua a guardare il coltello, ma si avverte una forza terribile nelle sue parole.
Intanto il mendicante entra nella reggia passando vicino a loro, e getta un’occhiata a Euriclea. Lei resta colpita dal suo sguardo vivo, non sembra quello di un girovago devastato dalla vita. Come in un lampo, le viene in mente qualcuno, ma preferisce tacere e china la testa. Una striscia di sole illumina i suoi capelli bianchi e disegna un bordo dorato sulla soglia della casa.
«È entrato nella sala un orribile vecchio, cencioso, zoppicante, sembrava l’immagine della miseria. Alcuni dei ragazzi che erano con noi, a corteggiarci, gli hanno gettato uno sguardo divertito; Antinoo mi ha regalato un piccolo bracciale, l’ultima volta che ci siamo incontrati nel giardino, e lo stavo mostrando alle mie amiche proprio quando è entrato quel malaugurio. Mi ha irritata.
Mi ha detto Antinoo che questo bracciale viene da Icmalio, il migliore demioerghós di quest’isola; un lavoratore del popolo bravo a cesellare. Ha fatto una testa di ariete, il mio segno celeste. La prossima volta mi darà un bracciale col segno del centauro, il suo, e potrò esibirlo sul braccio sinistro. Lo farò vedere, mostrandolo anche a Penelope; anche le serve hanno diritto di possedere regali, nessuno glieli può togliere. Per fortuna ci sono i demioergói a rendere bella la vita: uomini liberi, cercati da tutti, che non usano armi e non fanno i superbi, ma hanno nelle mani le arti di Efesto, il piú amabile degli dèi. Orefici, artisti, scultori, pittori, bronzisti, vasai con la loro bravura nel creare forme e decorarle, e poi poeti e cantori che ci allietano le sere. Ci sono specie di demioergói meno adatti a compiere belle opere come queste, ma ugualmente utili: indovini, profeti, interpreti di sogni, gente un po’ inquietante. Sono persone che creano cose belle per rendere piacevoli i nostri giorni, e senza un animo disposto al piacere non c’è amore. Le fatiche di casa le lascio volentieri ad altre.
Ho denunciato ai pretendenti che Penelope disfaceva la tela durante la notte: l’ho fatto per farmi notare da Antinoo, e lui mi ha notata, eccome! Penelope si è molto adirata con me, e da allora mi rivolge solo parole aspre, ma io ho ottenuto quello che volevo. Lei mi ha allevata, è vero, ma ora sono adulta e voglio vivere anch’io. Antinoo è il primo uomo che mi ha avuta, la sera in cui mi ha guardato con occhi pieni di desiderio, e ha fatto cenno di uscire nel giardino. Vicino alla fontana, mi ha sfilato la veste, ha gettato a terra il suo mantello e mi ha distesa lí sopra. Quando sono tra le sue braccia sento un profumo inebriante di bosco e di mare, accarezzo la sua pelle ed è liscia come la mia, quando mi bacia spero che non finisca mai. Il suo corpo mi piace, e a lui il mio.
Che se ne farà lui di quella vecchia? Certo, è la regina. Ma Antinoo non punta a lei, vuole il trono e la casa di Ulisse. Ma vuole anche me, lo so. Mi libererà, avrò una mia casa dove aspettarlo senza essere controllata, forse dei bambini da lui. Euriclea, quella vecchiaccia orribile, ho fatto di tutto per rendergliela odiosa, e ci sono riuscita.
Mi ha sempre detestata perché sono giovane e bella, non una vecchia inacidita come lei che non ha mai conosciuto l’amore ed è avvizzita solitaria, come un frutto non colto sul ramo; io invece rido con gioia e mi piace danzare. Un giorno mi fece punire con la scusa che avevo riso troppo forte e non avevo tenuto gli occhi bass...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Ulisse
  4. Prologo. Il ritorno di Telemaco
  5. Onéirata. Aspettando che torni: le notti di Penelope
  6. Xenía. Tori per Poseidone: il viaggio di Telemaco
  7. Aoidé. Cantare la morte: Circe e le Sirene
  8. Eschatiá. L’isola senza tempo: Calypso
  9. Kóre. La palla di Nausicaa
  10. Diéghesis. Un uomo, un racconto
  11. Nóstos. Itaca
  12. Mégaron. La casa
  13. Epilogo. Il giorno di Apollo
  14. Il libro
  15. L’autore
  16. Dello stesso autore
  17. Copyright