Fedeltà
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Fedeltà

  1. 232 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

«Il malinteso», cosí Carlo e Margherita chiamano il dubbio che ha incrinato la superficie del loro matrimonio. Carlo è stato visto nel bagno dell'università insieme a una studentessa: «si è sentita male, l'ho soccorsa», racconta al rettore, ai colleghi, alla moglie, e Sofia conferma la sua versione.
Margherita e Carlo non sono una coppia in crisi, la loro intesa è tenace, la confidenza il gioco pericoloso tra le lenzuola. Le parole fra loro ardono ancora, cosí come i gesti. Si definirebbero felici. Ma quel presunto tradimento per lui si trasforma in un'ossessione, e diventa un alibi potente per le fantasie di sua moglie. La verità è che Sofia ha la giovinezza, la libertà, e forse anche il talento che Carlo insegue per sé. Lui vorrebbe scrivere, non ci è mai riuscito, e il posto da professore l'ha ottenuto grazie all'influenza del padre.
La porta dell'ambizione, invece, Margherita l'ha chiusa scambiando la carriera di architetto con la stabilità di un'agenzia immobiliare. Per lei tutto si complica una mattina qualunque, durante una seduta di fisioterapia. Andrea è la leggerezza che la distoglie dai suoi progetti familiari e che innesca l'interrogativo di questa storia: se siamo fedeli a noi stessi quanto siamo infedeli agli altri? La risposta si insinua nella forza quieta dei legami, tenuti insieme in queste pagine da Anna, la madre di Margherita, il faro illuminante del romanzo, uno di quei personaggi capaci di trasmettere il senso dell'esistenza.
In una Milano vivissima, tra le vecchie vie raccontate da Buzzati e i nuovi grattacieli che tagliano l'orizzonte, e una Rimini in cui sopravvive il sentimento poetico dei nostri tempi, il racconto si fa talmente intimo da non lasciare scampo.
Con una scrittura ampia, carsica, avvolgente, Marco Missiroli apre le stanze e le strade, i pensieri e i desideri inconfessabili, fa risuonare dialoghi e silenzi con la naturalezza dei grandi narratori.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
Print ISBN
9788806240172
eBook ISBN
9788858430392

Fedeltà

Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando.
PHILIP ROTH
La citazione è tratta da Philip Roth, Pastorale americana, traduzione di Vincenzo Mantovani, Einaudi, Torino 2013, p. 41.
– Tua moglie mi ha seguita.
– Mia moglie.
– Fino a qui –. Sofia lo fissò: – Professore?
Lui guardava l’entrata dell’aula.
– Credo sia in cortile.
Carlo Pentecoste andò alla finestra e riconobbe Margherita per il cappotto amaranto che indossava dal secondo giorno di primavera. Si era seduta sul muricciolo e leggeva un libro, ancora Némirovsky, teneva una gamba accavallata e con la mano libera vegliava lo zaino. Era fine marzo e una foschia inattesa attraversava Milano.
Carlo si voltò verso gli studenti. Sofia si stava sistemando in seconda fila e aveva tirato fuori il taccuino e le mandorle. Era piú giovane dei suoi ventidue anni, per il viso minuto, e per i movimenti gentili che mitigavano i fianchi, cosí inaspettati. Lo guardò, aveva la stessa apprensione di quando il rettore li aveva convocati per essere stati sorpresi da una matricola nel bagno del piano terra: lui sopra di lei, le mani che le carezzavano il collo, o qualcosa del genere, visto che la versione della matricola era stata una, un’altra, innumerevoli, tutte a irrobustire la voce per cui il professor Pentecoste e una sua studentessa avevano avuto un incontro ravvicinato di natura ambigua.
Non iniziò la lezione, indossò la giacca e uscí dall’aula, scese le scale, rallentò nell’atrio e si girò verso il bagno. Era tornato lí per fare chiarezza con un collega, era tornato con il rettore. E per ognuno aveva inscenato la ricostruzione di quello che chiamava il malinteso: l’entrata nella toilette degli uomini, la pisciata, l’uscita nello spazio comune, il lavaggio delle mani, della faccia, l’asciugatura, aver sentito un tonfo provenire dalla toilette delle donne, aver notato che la porta era socchiusa e aver trovato la sua studentessa Sofia Casadei quasi svenuta – per «quasi» cosa intendeva? Si era chinato su di lei e l’aveva chiamata per nome piú volte, aiutandola a sedersi e a rialzarsi – al rettore aveva indicato come –, tenendola per un istante appoggiata all’angolo. Era durato non piú di qualche minuto, poi la ragazza si era ripresa e lui l’aveva accompagnata a sciacquarsi il viso: non si era mai accorto della matricola.
Si bloccò prima di dirigersi da sua moglie e controllò il cellulare: Margherita non aveva avvertito che sarebbe passata. Proseguí in direzione del cortile, lei stava ancora leggendo sul muricciolo.
– Il tuo cappotto è inconfondibile, – le indicò la finestra dell’aula.
– Sto facendo riposare il tendine. Sarei salita adesso –. Chiuse il libro e si alzò in piedi. – L’hai dimenticato, – e gli porse un flacone.
– Sei qui per un antistaminico.
– Vederti star male la settimana scorsa mi è bastato.
– Non mi va che affatichi la gamba.
– Sono venuta in metro, – gli raddrizzò il bavero della giacca. – Fossi in te oggi farei lezione fuori, la foschia ha un suo fascino.
– Si distraggono, – e le mise una mano sulla fine della schiena come quando si erano conosciuti, a cena da sua sorella. Il solco sulle lombari gli aveva fatto presagire il corpo allenato. – Vuoi salire? Devo iniziare.
Margherita amava le sue mani che non erano mani da insegnante. Si fece aiutare a indossare lo zaino, poi lo accompagnò all’entrata.
– Sei davvero venuta fin qui per.
– Sono venuta perché sono venuta, – gli indicò l’orologio e lo invitò ad affrettarsi, lui le sorrise e si avviò.
Appena lo vide scomparire oltre la scalinata, Margherita si appoggiò alla porta di vetro e abbassò la testa. Perché non aveva avuto il coraggio di accompagnarlo in classe? Perché non aveva avuto il fegato, come diceva sua madre, di attraversare quell’ingresso e di dirigersi verso quel bagno? E perché tremava, adesso? Si allontanò lenta, aveva voglia di fermarsi ma si costrinse ad arrivare in strada, superò la cancellata e abbottonò il cappotto. Si bloccò e chiuse gli occhi cercando dentro di lei un appiglio per arginare lo sconforto: pensò ai cinquanta minuti che sarebbero venuti di lí a poco e che la facevano sentire diversa. Diversa, insidiata. Li annotava nell’agenda con la dicitura Fisioterapia che voleva dire anche avventura. Provava questo, e lo custodí come un antidoto all’insicurezza mentre si lasciava alle spalle l’università e si avviava verso la fermata dei taxi. La gamba doleva da quando si era svegliata. Un tormento che partiva dal pube e scendeva al ginocchio, comparso dopo una corsa in palestra tre mesi prima. Da allora pensava a dettagli che la intristivano: i tacchi sostituiti dalle scarpe da ginnastica, la rinuncia ai sopralluoghi di immobili senza ascensori, non poter correre dietro a un bambino.
Tirò fuori il telefono e vide un messaggio della proprietaria di corso Concordia, Ho firmato, cara Margherita. Ora tocca a voi, e uno del collega: l’agenzia aveva ricevuto le chiavi per iniziare la vendita. C’era una chiamata di sua madre. La ignorò e rimase con il cellulare in mano, riuscí a non toccare Facebook. Ogni volta che apriva il profilo di Sofia Casadei le venivano strane idee, la caffetteria dove lavorava, il bar dove faceva colazione la mattina, il quartiere dove viveva, avvicinarsi a quei paraggi. Raggiunse la fila di taxi, diede l’indirizzo di FisioLab, via Cappuccini 6, si rilassò adagiandosi sul sedile e chiudendo gli occhi. Il tassista propose di allungare il tragitto, c’erano i lavori in corso sulla circonvallazione interna, lei disse che andava bene e non pensò piú a niente. Ogni tanto sbirciava dal finestrino, Milano e il viavai sui marciapiedi e i portinai davanti ai palazzi. Poi si ricordò di sua madre, la richiamò e si sentí rispondere al primo squillo: – Mamma.
– Stavo per telefonare all’idraulico.
– Cos’è successo?
– Quel, – e prese fiato, – quella cazzo di caldaia.
– Buongiorno.
– Mi è sempre piaciuto dirlo, ma tuo padre sosteneva che la bocca di una donna deve essere pulita –. Si zittí. – Comunque ti ho cercato per chiederti della casa di corso Concordia.
– Mi hanno scritto proprio ora.
– Cosa dici?
– Non c’è l’ascensore ma è interessante. Mando Carlo a vederla prima di esporla in agenzia.
– E la gamba?
– Tu se hai un sospetto cosa fai?
– Ti fa male, lo sapevo.
– Cosa fai?
– Che genere di sospetto?
– Un sospetto.
– Un sospetto è una prova.
– Non siamo a Un giorno in pretura, mamma.
– È la vita, tesoro mio –. Tentennò: – Vuoi dirmi a cosa ti riferisci?
– Sono arrivata, devo salutarti.
– Figlia mia, – si schiarí la voce, – tutti i tuoi sospetti domani potrai chiarirteli all’appuntamento.
– Oddio.
La madre sbuffò. – Ci vuoi andare da mesi e io te l’ho fatto avere con una fatica boia: dieci e mezza, via Vigevano 18 campanello F.
– Ricordami perché mi sono fatta convincere.
– Perché ci andava Dino Buzzati. Segnatelo sul dorso della mano.
– E tu segnati il compleanno di mia suocera.
– Non vengo.
– Oh sí che vieni.
– Oh no. Però tu passa a trovare la tua mamma prima o poi, ma solo se hai voglia.
La sua mamma aveva seppellito il marito ed era rimasta sveglia tre giorni, seduta sulla poltrona dove lui leggeva il giornale la domenica mattina. Infine aveva detto Adesso per chi cucinerò, e per un po’ non aveva piú voluto parlare di quell’uomo che le aveva abituate alle ritualità, ai mercatini di cianfrusaglie, a Tex Willer, alla compostezza. Era stato un uomo di silenzi, per non sentirne l’addio lei e sua madre si erano dovute inventare brusii. Bisticciare, telefonarsi, essere pimpanti.
Pagò il taxi e scese davanti a FisioLab. Era accaldata ma sapeva che era impazienza. Aprí lo zaino e controllò il costume, il bagnodoccia, l’asciugamano, il pettine. Si presentò alla reception e si diresse nello spogliatoio, indossò il costume sotto i pantaloncini – lo aveva comprato nuovo dopo aver capito il genere di terapia a cui avrebbe dovuto sottoporsi –, si legò i capelli, portò il telefono con gli auricolari e si avviò con il dubbio che l’estetista avesse fatto un lavoro affrettato. Prese la bottiglia d’acqua che il centro regalava ai clienti ed entrò nella palestra riabilitativa. Andrea era puntuale, e lo fu anche quel giorno. Le strinse la mano e le chiese come andava il dolore, lei rispondeva sempre «A singhiozzo» e si abbandonava al suono del séparé chiuso con un colpo secco, abituandosi a condividere quell’angolo con un ventiseienne serioso che cercava di alleviarle un’infiammazione quasi cronica. La invitò a stendersi, lei si sfiorò l’elastico dei pantaloncini e lo guardò, lui annuí e lei se li sfilò. Il ragazzo prese l’elettromedicale e glielo appoggiò sull’interno coscia, salí verso l’inguine, insistette sul pube con una pressione adeguata. Quando accadeva, Margherita si concentrava su un lembo del séparé imponendosi una respirazione lenta. Quel riscaldamento – come lo chiamava lui – durava i dieci minuti che lei impiegava per contrastare l’imbarazzo. Poi si affidava. La convinceva la fermezza di Andrea, la sapienza delle dita, gli occhi bassi. Anche lei guardava altrove, tranne quando – come adesso – lui metteva via l’elettromedicale e si preparava a scostarle il costume un poco di piú: era l’istante in cui Margherita pretendeva di trovargli un principio di eccitazione, oltre la deontologia. Tentava di percepirgli le dita indecise mentre premevano sul pube e cercavano il tendine. Lui imponeva il pollice, il medio, certe volte l’indice, calcando come scavasse. Durante la prima seduta le aveva spiegato cosa sarebbe accaduto nel corso della fisioterapia: l’azione disinfiammante delle macchine, l’effetto assottigliante delle mani, gli esercizi che lei avrebbe dovuto seguire in palestra. Sarebbero serviti venticinque incontri, oltre le visite di controllo e le ecografie per un totale di duemilaottocentoventi euro. Non se lo poteva permettere o quasi, aveva tentato con la sanità pubblica ma si era sentita persa nelle attese estenuanti, corrompendosi alla scelta che suo padre avrebbe chiamato facile. Facile era pagare tremila euro per un badante della fisioterapia, facile era farsi regalare un Interrail da adolescente pur non essendo tra i primi della classe, facile era accontentarsi di fare l’agente immobiliare con una testa da architetto. Facile, probabilmente, era confondere una manipolazione terapeutica con la lussuria.
E ora che si faceva toccare dal suo fisioterapista con un’intensità giusta in una zona di confine, nell’attesa di comunicargli dove fosse il punto esatto del dolore, Margherita tornò lí: suo marito, la porta del bagno, edificio 5 dell’università, piano terra, toilette femminile. Era quello il punto esatto che le doleva da due mesi. Eluse il pensiero, come si era abituata a fare nelle ultime settimane, ribaltando ogni fronte. Era una figlia attenta e disponibile? Poteva esserlo infinitamente meno. Era un’agente immobiliare che non abusava del tempo tra un sopralluogo e l’altro? Poteva abusarne. Era una paziente che non si sarebbe mai fatta sedurre da tre dita esperte? Poteva. Ogni volta che il pensiero di quel bagno si affacciava, lei poteva sovvertire la propria indole, distraendosi dal sospetto.
Andrea le chiese se il dolore si fermasse esattamente dove la stava massaggiando. Le sarebbe bastato dire «Piú a destra» per avverare la sua fantasia. Andrea si sarebbe ins...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Fedeltà
  4. Il libro
  5. L’autore
  6. Copyright