Entrambi gli agenti investigativi erano padri di famiglia. La baby-sitter aveva quasi l’età della figlia di Meyer, mentre la piccola nel lettino ricordava a Carella i giorni di tanti anni prima, quando i suoi gemelli avevano pochi mesi.
Nell’appartamento faceva freddo. Erano le tre del mattino e in quella città molti amministratori a mezzanotte abbassano il riscaldamento. Gli agenti, i tecnici, il medico legale, facevano tutti il loro lavoro con addosso il cappotto. I genitori della bambina indossavano ancora i loro abiti da sera. L’uomo portava un cappotto nero e una sciarpa di seta bianca sopra lo smoking. La donna indossava la pelliccia e sotto un abito lungo di seta verde e calzava un paio di scarpe di raso verde con il tacco alto. L’uomo e la donna avevano un’espressione inebetita, come se qualcuno li avesse presi a pugni. Gli occhi sembravano non vedere, incapaci di mettere a fuoco ciò che li circondava.
Era il primo giorno di un nuovo anno.
La baby-sitter giaceva distesa sul pavimento a metà del corridoio che copriva tutta la lunghezza dell’appartamento nella parte posteriore. A un’estremità del corridoio si trovava la camera da letto della bambina. Fuori, la scala antincendio. Il parapetto della finestra e gli stipiti erano segnati da intaccature lasciate da qualche attrezzo. Facile immaginare che l’uomo fosse entrato da lÃ. Di fianco al lettino, sul pavimento, c’era una giostrina con la cordicella rotta. Monoghan e Monroe stavano guardando la ragazza morta, i cappelli caduti sulla fronte, le mani nelle tasche del cappotto. Fra tutti i presenti, erano gli unici ad avere il cappello. Una volta qualcuno del Dipartimento aveva dichiarato alla stampa che gli unici agenti investigativi a indossare il cappello erano quelli della Omicidi. La persona che l’aveva detto era a sua volta un agente investigativo della Omicidi, quindi forse nel vecchio luogo comune c’era qualcosa di vero. In quella città , gli agenti della Omicidi dovevano sovrintendere alle indagini su qualsiasi delitto. Forse era per questo che portavano il cappello, per avere l’aria dei supervisori. Comunque, secondo il regolamento, un caso di omicidio compete ufficialmente al Distretto che ha risposto alla chiamata. Il duplice omicidio di quella notte sarebbe quindi stato di pertinenza degli agenti investigativi del locale Distretto. L’87°. Agenti investigativi Meyer Meyer e Steve Carella. Buona fortuna a loro.
Il medico legale era inginocchiato accanto al corpo della ragazza. Monoghan immaginava che da un momento all’altro li avrebbe informati che la baby-sitter era morta a causa del coltello che le spuntava dal petto. L’agente era stato chiamato in servizio mentre era a una festa ed era ancora abbastanza ubriaco da trovare tutto comico. La ragazza morta distesa sul pavimento, la camicetta strappata, la gonna sollevata sulle cosce, il coltello piantato nel petto. Accanto a lei, un ciondolo di lapislazzuli appeso a una catenella d’oro spiccava simile a un serpente dalla testa blu. Monoghan guardò il medico legale e fece un sorriso misterioso. Monroe era del tutto sobrio, ma anche lui trovava tutto un po’ comico, forse perché era il primo dell’anno e in quel maledetto lavoro se non ridi e balli davanti ai tuoi guai…
– È morta, – disse il medico legale.
Questo rendeva ufficiale il decesso.
– Arma da fuoco, giusto? – chiese Monoghan, continuando a sorridere.
Il medico legale non si prese la briga di rispondergli. Chiuse la borsa con un colpo secco, si alzò e passò in salotto, dove Meyer e Carella stavano ancora cercando di ottenere qualche risposta dagli intontiti genitori della bambina.
– Faremo le autopsie appena possibile, – disse; e poi, a mo’ di spiegazione: – Siamo in periodo festivo. Nell’attesa potete scrivere che una è stata pugnalata e l’altra soffocata.
– Grazie, – disse Meyer.
Carella approvò con un cenno della testa.
Ricordava tanti anni prima, quando si alzava nel cuore della notte per dar da mangiare ai gemelli. Ne teneva uno fra le braccia e puntellava il biberon dell’altro sul guanciale. Alla poppata successiva invertiva i ruoli. In questo modo uno dei bambini sarebbe sempre stato tenuto in braccio.
Nella camera da letto all’estremità del corridoio c’era una bambina morta.
– Signora Hodding, – disse Meyer, – potete dirmi a che ora siete tornati a casa?
Gayle Hodding. Bionda, con gli occhi azzurri, ventotto anni, ombretto verde intonato al vestito, niente rossetto, l’espressione smarrita ancora stampata sulla faccia e negli occhi. Guardò Meyer senza vederlo.
– Chiedo scusa…
– Alle due e mezzo, – disse il marito.
Peter Hodding. Trentadue anni. Lisci capelli scuri pettinati in modo da ricadere naturalmente sulla fronte. Occhi scuri. Il cravattino nero un po’ di traverso. Volto pallido, espressione fra l’attonito e lo sconvolto. Tutti e due disperati. La loro bambina era morta.
– La porta era chiusa? – chiese Meyer.
– SÃ.
– Avete dovuto usare la chiave per entrare?
– SÃ. Io ero ubriaco. E ho dovuto trafficare un bel po’ con la serratura. Ma alla fine sono riuscito ad aprire.
– Le luci erano accese o spente?
– Accese.
– Avete notato subito che qualcosa non quadrava?
– Ecco, no, finché… finché noi… Annie non era in salotto, capite? Quando siamo entrati, voglio dire. E cosà io l’ho chiamata e… e quando… non ho avuto risposta, l’ho cercata. Ho immaginato che fosse con la bambina e che non volesse rispondere per non svegliarla.
– Poi cos’è successo?
– Mi sono diretto verso la stanza della bambina e… e ho trovato Annie nel corridoio. Pugnalata.
– Volete dirci il nome completo della ragazza?
– Annie Flynn.
Era stata la donna a rispondere.
Si era riscossa un po’, rendendosi vagamente conto che quegli uomini erano agenti di polizia, là per aiutarli. Doveva dargli ciò di cui avevano bisogno. Carella si chiese quando la donna avrebbe cominciato a gridare. Si augurò di non essere piú là quando sarebbe successo.
– Vi siete serviti altre volte di lei? – chiese Meyer. – Di questa stessa baby-sitter?
– SÃ.
– Affidabile?
– Oh, sÃ.
– Mai nessun guaio con amichetti o…
– No.
– Non vi è mai capitato di tornare a casa e trovare qualcuno con lei?
– No, no.
– Perché a volte i ragazzi…
– No.
– Non c’era nessuno con cui amoreggiasse o…
– Mai successo niente di simile.
Tutto questo dal marito. Ubriaco fradicio quando era entrato in casa, e subito dopo sufficientemente sobrio da chiamare il 911 e denunciare un omicidio. Carella si chiese perché mai avesse ritenuto necessario specificare che era ubriaco.
– Scusatemi, signore, – disse Meyer, – ma… quando avete scoperto che vostra figlia era…
– Sono stata io a trovarla, – disse la signora Hodding.
Un silenzio improvviso.
In cucina, c’erano i tecnici della scientifica, qualcuno rise. Là . Uno di loro aveva probabilmente fatto una battuta.
– Aveva il cuscino sulla faccia, – disse la signora Hodding.
Altro silenzio.
– L’ho sollevato. Aveva tutta la faccia blu.
Il silenzio si prolungò.
Hodding mise un braccio attorno alle spalle della moglie.
– Sto bene, – disse lei.
Un tono aspro. Come se avesse detto lasciami in pace, maledizione.
– A che ora siete usciti di casa? – chiese Meyer.
– Alle otto e mezzo.
– Per andare a una festa, avete detto…
– SÃ.
– Dov’era la festa?
– Soltanto a pochi isolati da qui. Tra la Ventesima e Grover.
Le risposte vennero dal signor Hodding. La donna era tornata silenziosa, di nuovo l’espressione assente sul viso. Riviveva l’attimo in cui aveva sollevato il guanciale dalla faccia della bambina. Continuava a rivedere e rivedere quell’attimo sullo schermo gigante della mente. Il guanciale bianco. La faccia della bambina, blu. Intenta a rivivere la rivelazione di quell’attimo. Continuamente.
– Durante la serata avete telefonato qualche volta a casa? – chiese Meyer.
– SÃ. Verso mezzanotte e mezzo. Per controllare.
– A quell’ora andava tutto bene?
– SÃ.
– Ha risposto la ragazza?
– SÃ.
– E vi ha detto che tutto andava bene?
– SÃ.
– Tutto bene per lei e per la bambina?
– SÃ.
– Vi è sembrata normale, naturale?
– SÃ.
– Niente di forzato nella conversazione?
– No.
– Non avete avuto l’impressione che con lei ci fosse qualcuno?
– No.
– Piú tardi avete per caso ritelefonato?
– No. Lei sapeva dove trovarci, non c’era bisogno che richiamassi.
– Quindi avete parlato l’ultima volta con lei a mezzanotte e mezzo.
– SÃ. Verso quell’ora.
– E tutto è sembrato normale.
– SÃ.
– Signor Hodding, c’è qualcun altro che ha una chiave di questo appartamento oltre a lei e a sua moglie?
– No. Be’, sÃ. Immagino che ce l’abbia l’amministratore.
– E a parte lui?
– Nessun altro.
– La baby-sitter non aveva la chiave?
– No.
– E dite che quando siete rientrati la porta era chiusa.
– SÃ.
In corridoio uno dei tecnici stava dicendo a Monoghan che il coltello piantato nel petto della ragazza era uguale agli altri coltelli della rastrelliera in cucina.
– Bene, bene, – disse Monoghan, e sorrise misteriosamente.
– Sto dicendo che ci troviamo di fronte a un’arma occasionale, – precisò il tecnico. – Sto dicendo che…
– Sta dicendo, – spiegò Monroe a Monoghan, – che il nostro assassino non è entrato qui con il coltello, ma che il coltello era già qui, in cucina, insieme a tutti gli altri.
– È proprio quello che sto dicend...