Stavo seduto con aria beata in una comoda poltrona d’ufficio e davanti a me Mario Manni, direttore di «Scout» e titolare dell’ufficio e relative comode poltrone, mi stava guardando con l’aria di chi ha visto l’uomo che ha visto l’uomo che ha lanciato il sasso nello stagno.
– Mi sa che è una sòla delle tue.
– Nemmeno per idea. Quando mai ti ho dato una sòla?
– Sempre.
Conoscevo Mario e sapevo che a stento riusciva a sottrarsi al gusto di una battuta, specie quando gli era servita su un piatto d’argento come avevo fatto io.
Se credeva però che sarei rimasto sugli spalti ad applaudire si sbagliava di grosso.
Mi alzai dalla poltrona.
– Bene, vedo che il servizio non ti interessa. Per cui…
– No, aspetta. Cazzo, che ne hai fatto del senso dell’umorismo? Quanto ti hanno dato al Monte di Pietà ?
Tornai a sedermi sulla poltrona.
– Molto meno di quello che mi darai tu quando ti porterò le foto e l’intervista in esclusiva.
Mario tolse gli occhiali da miope e si pinzò la radice del naso con il pollice e l’indice della mano destra.
– Cosà –. Alzò verso di me due occhi da trota. – Tu dici di sapere dove si trova Walter Celi…
Sfoderai la mia migliore faccia di tolla, tanto per precisare inequivocabilmente che ero io quello che aveva lanciato il sasso nello stagno.
– Io non dico di sapere dov’è Walter Celi. Io so dov’è Walter Celi.
Sul viso di Mario arrivò come dal cielo un’espressione angelica.
– Ah s� E dov’è?
Mi venne da ridere e lo feci.
– Non lo direi nemmeno a mia madre, se fosse ancora viva. Figurati se lo dico a te. So benissimo che Lanzani, nell’altra stanza, si sta facendo venire le orecchie come i parafanghi di un Maggiolino Volkswagen per sentire tutto quello che diciamo. Credi che non abbia visto che hai lasciato l’interfono acceso? Se te lo dico, quella checca isterica è già partita ventre a terra prima che io abbia staccato l’impermeabile dal chiodo.
L’aria angelica di Mario si macchiò di incredulità . Tu quoque Brutus…
– Ma cosa dici, io…
La porta si spalancò di colpo e Benito Lanzani irruppe nell’ufficio.
– Falchi, io ti rompo il culo.
– Bravo. Vedo che pure tu sei stato al catechismo e conosci il Vangelo: fai agli altri quello che vuoi sia fatto a te. Riesci anche a porgere l’altra natica?
Per poco non gli venne un attacco isterico.
– Tu sei una maledetta testa di cazzo e io…
Lo interruppi con calma serafica. Misi la gamba a cavalcioni del bracciolo e mossi la mano in modo effeminato iniziando a contare sulle dita.
– Be’, non puoi picchiarmi perché è da uomo, non puoi graffiarmi perché è da donna. Non ti resta che odiarmi, odiarmi, odiarmi.
Per un attimo ebbi l’impressione che Lanzani volesse saltarmi addosso, forse perché per un attimo l’ebbe anche lui.
– Basta, voi due!
Manni batté la mano aperta sul piano della scrivania. Si rivolse a me.
– Tu smettila. E tu…
Sparò fiamme dagli occhi verso Lanzani.
– Fuori dai coglioni, idiota.
Il poveretto ebbe un guizzo d’orgoglio. Sembrava Nerone che dopo aver cantato si fosse beccato un coro di pernacchie dai centurioni. Se ne andò risentito, sbattendo leggermente la porta. Probabilmente sarebbe uscito e sarebbe andato a incendiare Roma.
Mario Manni si rivolse a me come se non fosse successo niente, come se non lo avessi pesantemente beccato con le mani nella marmellata.
– Quanto vuoi?
– Centomila.
– Cosa? Tu sei pazzo!
Mi guardai la punta delle dita.
– Scommetti che se il servizio vado a proporlo a «Gossip» me li dà nno centomila? Sai quanto aumenterebbe la tiratura con una notizia del genere? Senza contare che puoi dosarla, poco per volta, come è stato fatto con la faccenda di Ducruet e Stefania di Monaco o di Clinton e la Lewinsky. Col materiale che ti porto ci vai avanti due mesi.
Avevo colto nel segno. I suoi occhi dicevano «affondata la corazzata».
– Non ti posso dare centomila euro per una cosa del genere.
Tornai a guardarmi la punta delle dita. Dovevo ricordarmi di dare una mancia piú grossa alla manicure. Bel lavoro.
– Allora facciamo una cosa…
– Cosa?
– Dammi il cinquanta per cento dell’aumento di fatturato che lo scoop ti porterà .
Mi guardò con i pugnalini negli occhi, come Zio Paperone nei fumetti.
– Vada per i centomila.
Prese male il mio sorriso di trionfo.
– Ti odio.
– Anche tu? Non è che sei stato troppo tempo con Lanzani?
– Vai fuori dai piedi. Ti faccio preparare un contratto di opzione dall’amministrazione e te lo mando via fax. Fammi riavere una copia firmata. All’editore gli verrà un colpo…
Mi alzai.
– All’editore verrà un colpo quando vedrà i ritorni del colpo che hai fatto tu. Hai una percentuale sul fatturato, vero?
Affondata la portaerei. Divenne paonazzo e io infilai la porta prima di assistere in diretta a un infarto.
La sua voce mi bloccò sulla soglia.
– Falchi…
Mi girai verso di lui.
– S�
– Come diavolo hai fatto a scoprire dove sta Walter Celi?
Mi strinsi nelle spalle.
– Be’, grazie alle solite scontate doti che fanno di un cronista un grande cronista. Fantasia, deduzione e colpo d’occhio…
Chiusi delicatamente la porta sul suo attacco di bile.
Appena fuori dall’ufficio di Manni vidi Lanzani. Era vicino alla scrivania di una redattrice e stava parlando con lei, appoggiato al monitor del computer. Il suo sguardo era autentico veleno.
Attraversai l’ampia stanza con le vetrate che si aprivano su vari uffici, sotto gli occhi di un sacco di gente. Mi avvicinai lentamente a Lanzani che mi guardava con crescente preoccupazione. Probabilmente nelle mutande non aveva un paio di palle ma solo la Polaroid di un paio di palle, attaccata con una puntina da disegno.
Arrivai davanti a lui e lo guardai fisso negli occhi.
– Benito, c’è una cosa che non ti ho mai detto…
La sua voce tremò leggermente.
– Che cosa?
Non ebbe il tempo di reagire. Di colpo afferrai la sua faccia con le mani aperte e l’attirai verso di me. Premetti violentemente le mie labbra sulle sue.
Dissi la battuta con un’intensità da Actor’s Studio.
– Ti ho sempre amato.
Mi voltai e me ne andai, mentre uno scoppio di risa generale faceva letteralmente saltare per aria il tetto dell’edificio.
Sipario.
Altro che colpo d’occhio, era stato un autentico colpo di culo.
Non c’era giornalista o sedicente tale in tutta Italia che non avrebbe dato una fetta di sedere (Lanzani tutto intero e mettendoci su pure un incentivo) pur di scoprire che fine aveva fatto Walter Celi.
E io ero l’unico a saperlo.
Walter Celi era stato una star della televisione. Forse farei meglio a dire che Walter Celi, per un certo periodo, era stato la televisione.
E lo era diventato con la velocità che impiega Benito Lanzani a portarsi a casa un simpatizzante appena conosciuto alla stazione Termini.
(Non diteglielo, per favore. Non a Lanzani, al simpatizzante).
In un momento di proliferazione massiccia dell’offerta televisiva e di guerra spietata fra i due poli, Rai e Mediaset e un terzo polo sempre in agguato e pronto a esplodere da un momento all’altro, c’era da parte di tutti la ricerca ossessiva di nuovo materiale da proporre, sia per quanto riguardava i programmi che per quanto riguardava i personaggi. In questo casino, Walter era arrivato dal cielo come la cometa Hale-Bopp, una roba che si vede ogni duemila anni.
Aveva cominciato per caso, dopo anni trascorsi nei villaggi come animatore turistico, con una trasmissione per i giovani, una striscia giornaliera prima del telegiornale della sera su una rete Mediaset.
Il successo era stato strepitoso. Quell’uomo pareva un concentrato di tutte le doti che compongono il quadro di un artista di successo. Sapeva parlare, sapeva far ridere, sapeva cantare e ballare, era un bellissimo ragazzo e piaceva alle donne. Fuori dagli studi stazionava in pianta stabile un esercito di ragazzine che si strappavano letteralmente i capelli quando lo vedevano, al punto che avevo pensato piú di una volta di mettere su in quel posto un chiosco di parrucche.
Qualsiasi cosa lui si mettesse addosso, qualsiasi auto guidasse, qualsiasi prodotto pubblicizzasse, dopo mezz’ora faceva trend e le vendite salivano alle stelle.
In una parola, Walter Celi aveva carisma.
Il suo agente aveva strappato un contratto di esclusiva quinquennale che sembrava quello dei giocatori della Juventus e del Milan messi insieme, per il quale i dirigenti Mediaset avevano avuto il culo che gli bruciava per mesi. Il dolore si era calmato quando c’erano stati i primi riscontri e il bruciore si era trasferito al culo degli sponsor che volevano entrare nei suoi programmi.
Poi, il fattaccio.
Conduceva È solo sabato, un programma in diretta il sabato sera su una rete Mediaset (of course) e il programma stava sballando tutti i record precedenti quanto a share e indici d’ascolto. Addirittura era stato chiesto, a lui e agli autori, di andare oltre le dieci puntate previste, dato che la trasmissione continuava a crescere settimana dopo settimana.
Gli sponsor si azzuffavano per esserci, i giornalisti si azzuffavano per esserci, gli ospiti si azzuffavano per esserci e i dirigenti, che c’erano, si fregavano le mani come boy-scout col legnetto per accendere il fuoco.
Alla nona puntata, il gruppo degli ospiti d’onore era di assoluta eccezione. Un cantante rock che era l’idolo delle giovanissime (il suo ultimo disco non stava andando troppo bene ma non bisognava dirlo), il cast al completo di un film americano con la strafiga e lo strafigo del momento e Vicky Merlino, la soubrette italiana che dà i e dà i (e dà i), dopo aver fatto perdere le bave a mezzo stivale, le stava facendo perdere a mezza America fino ad arrivare a Hollywood dove in quel momento stava girando un film.
La sera dello show, Walter aveva presentato Vicky e lei era uscita dalle quinte, scendendo le scale accompagnata dall’orchestra. Una roba insomma molto glamour per una star che veniva da Hollywood, con quel briciolo d’ironia che non guasta mai se c’è, ma che non credo lei riuscisse a capire fino in fondo.
Fatto sta che la bellona era arrivata fino a lui, lo aveva salutato, abbracciato e baciato e poi, con un gesto talmente naturale da parere studiato, era scivolata a terra ed era morta.
Morta stecchita.
Dapprima tutti avevano pensato a uno svenimento dovuto alla stanchezza, addirittura Walter mentre si chinava su di lei ci aveva ricamato su una battuta del tipo: «Accidenti, non sapevo di piacerti tanto», ma la verità era saltata subito fuori quando si erano accorti che il cuore non batteva piú.
Gli spettatori a casa erano inorriditi, non al pun...