
- 176 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La versione di Fenoglio
Informazioni su questo libro
Pietro Fenoglio, un vecchio carabiniere che ha visto di tutto, e Giulio, un ventenne intelligentissimo, sensibile, disorientato, diventano amici nella piú inattesa delle situazioni.
I loro incontri si dipanano fra confidenze personali e il racconto di una formidabile esperienza investigativa, che a poco a poco si trasforma in riflessione sul metodo della conoscenza, sui concetti sfuggenti di verità e menzogna, sull'idea stessa del potere.
La versione di Fenoglio è un manuale sull'arte dell'indagine nascosto in un romanzo avvincente, popolato da personaggi di straordinaria autenticità: voci da una penombra in cui si mescolano buoni e cattivi, miserabili e giusti.
«Tutti, in qualche modo, mentono. Mentono agli altri e mentono a sé stessi. Mentono sulle loro azioni e mentono sui veri motivi di quelle azioni. Ci sono quelli che lo sanno, pochi, e quelli che non lo sanno, la maggioranza. L'unica differenza è questa».
I loro incontri si dipanano fra confidenze personali e il racconto di una formidabile esperienza investigativa, che a poco a poco si trasforma in riflessione sul metodo della conoscenza, sui concetti sfuggenti di verità e menzogna, sull'idea stessa del potere.
La versione di Fenoglio è un manuale sull'arte dell'indagine nascosto in un romanzo avvincente, popolato da personaggi di straordinaria autenticità: voci da una penombra in cui si mescolano buoni e cattivi, miserabili e giusti.
«Tutti, in qualche modo, mentono. Mentono agli altri e mentono a sé stessi. Mentono sulle loro azioni e mentono sui veri motivi di quelle azioni. Ci sono quelli che lo sanno, pochi, e quelli che non lo sanno, la maggioranza. L'unica differenza è questa».
Domande frequenti
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Informazioni
1.
Pietro Fenoglio pedalava senza troppo entusiasmo ma seguendo con disciplina il ritmo assegnato. Sobbalzò leggermente quando si sentí toccare sulla spalla. Era Bruna, la fisioterapista, e lui non si era accorto del suo arrivo per via degli auricolari e della musica.
– L’ho spaventata, maresciallo?
– No, cioè sí. Insomma, mi ha sorpreso.
– Cosa ascolta oggi?
– Bach. Quando vengo qui ascolto sempre o Bach o Mozart. Li conosco meglio e non devo impegnarmi troppo a seguire i passaggi, visto che sono già abbastanza impegnato a farmi torturare da voi.
Lei gli fece il suo solito sorriso enigmatico. Fenoglio non era ancora riuscito a capire cosa significasse. A momenti dava l’impressione di una totale presenza, una consapevolezza profonda della situazione e dell’interlocutore; a momenti la sensazione di un allegro distacco, di una distrazione gentile: un essere altrove, ma trattando con cortesia chi era lí.
Quando Bruna sorrideva la cicatrice sulla guancia sinistra si piegava a creare un effetto vezzoso e inatteso. Sembrava la ferita di un’arma da taglio, pensò ancora una volta Fenoglio. Chissà come se l’era procurata, o come gliel’avevano procurata. Non è il tipo di domanda che fai a una signora, e in ogni caso pareva che quel segno cosí vistoso sul viso non fosse un problema per lei. Bruna era una donna a suo modo bella: in contraddizione con il nome era bionda, non magra, piena di sensualità vigorosa e con un fondo di malinconia nello sguardo.
– Ancora dieci minuti e può andare, – disse, dando un’occhiata al display della cyclette e annuendo soddisfatta. – E fra due o tre settimane la liberiamo definitivamente. È contento?
Fenoglio si chiese come rispondere. Ovviamente era contento che quella tortura giornaliera – da due a tre ore di fisioterapia – cessasse. Però, già lo sapeva, le chiacchiere con Bruna erano diventate un’abitudine e gli sarebbero mancate.
– Mi raccomando maresciallo, – riprese Bruna, – usi sempre la stampella quando esce a fare una passeggiata. Non sia imprudente.
Fenoglio indicò la gruccia che aveva lasciato in terra.
– Non me ne separo mai: sono ubbidientissimo, anche se davvero non credo serva piú.
– Probabile. Ma per cautela è meglio usarla ancora un poco. Può anche non appoggiarla, il solo fatto di averla è un aiuto per l’equilibrio, fino a quando il recupero non è completo.
– Però siamo d’accordo che con l’arrivo del nuovo mese la togliamo, vero?
– Vediamo come va. Se si comporta bene. Comunque da domani non sarà piú solo in quest’orario. Avrà compagnia.
– Ah, sí? Chi viene? – chiese Fenoglio, pensando con preoccupazione al precedente compagno di fisioterapia, un signore depresso e con un odore corporale piuttosto intenso.
– Un ragazzo. Un bel ragazzo. Anche lui ha fatto la protesi d’anca. Si è rotto tutto in un brutto incidente d’auto.
Fenoglio non riuscí a evitare un pensiero spiacevole. Il ragazzo sarebbe stato a disagio con lui, come lui era stato a disagio con il tizio della settimana prima, che gli era parso un vecchio sebbene fosse piú anziano solo di cinque o sei anni.
Avvertí in modo quasi doloroso il desiderio di ritornare in caserma; avvertí l’assenza della routine che per decenni aveva placato la sua angoscia. L’aveva placata e le aveva dato un senso.
Come diceva Al Pacino in quel film? Devo tenermi la mia angoscia, devo proteggerla. Mi mantiene scattante. Qualcosa di simile. Era una battuta che l’aveva sempre colpito, gli sembrava scritta apposta per lui.
Ci sarebbe tornato, in caserma, al lavoro. Ma non per molto. Per l’ennesima volta, e con sgomento, pensò che entro poco piú di un anno sarebbe andato in pensione.
– Giulio, si chiama. È… interessante.
– Perché?
Bruna tirò fuori il suo sorriso e scosse le spalle.
– Vedrà. Adesso vado. Ci sono due signore che sono state operate tre giorni fa e oggi hanno la prima seduta di fisioterapia, in stanza. Finisca la cyclette e ci vediamo domani.
Si girò e andò via senza aspettare il saluto di risposta da Fenoglio. Lui fece ciao con la mano senza che nessuno potesse vederlo.
2.
Quando Fenoglio entrò, il ragazzo era già lí. Si teneva a una spalliera svedese ed eseguiva dei piegamenti, molto blandi, sulle gambe.
– Buongiorno, – disse educatamente vedendo Fenoglio. Aveva una bella faccia da attor giovane: un po’ emaciato, leggere occhiaie, uno sguardo in bilico fra la timidezza e l’arroganza. Non doveva avere piú di ventidue, ventitre anni.
– Buongiorno, – rispose Fenoglio. – Sei tu la nuova vittima di Bruna? – Mentre parlava il tono gli suonò strano e falso, e si chiese perché.
– Sí, Bruna. Mi segue da una settimana, prima venivo in un altro orario.
Fu in quel momento che Fenoglio notò il libro. Vicino alla spalliera, abbandonata sul materassino, c’era una vecchia edizione di Un anno sull’Altipiano, di Emilio Lussu.
– È tuo quello? – disse Fenoglio indicando con il dito.
Il ragazzo assunse una strana espressione, quasi di scusa. La bocca si curvò leggermente, parve tremare in un atteggiamento – del tutto incongruo rispetto all’ordinarietà della domanda – di inguaribile tristezza. Cosí intensa, anche se solo per qualche secondo, che Fenoglio ebbe l’impressione di esserne risucchiato.
– Me lo ha consigliato un amico.
– Ti piace?
La piega di tristezza aleggiò ancora per un istante e scomparve.
– Mi piace molto. In sostanza mi sembra un libro sull’imbecillità e sui danni che può provocare.
Fenoglio annuí.
– L’imbecillità, hai ragione. Sai cosa diceva su questo argomento Alexandre Dumas? Il padre.
Stava per precisare chi era Dumas, non era scontato che un ragazzo di quell’età lo conoscesse, ma non fu necessario.
– Dumas… ho letto tutto, da piccolo. Mi piacevano le storie di vendetta, ero fissato con Il conte di Montecristo.
– Ecco, Dumas diceva: preferisco i mascalzoni agli imbecilli, perché a volte si concedono una pausa.
Il ragazzo sorrise, di un sorriso lento e consapevole, quasi nella mente gli fosse apparsa una personificazione di quell’aforisma.
– Lei lo ha letto? – domandò, toccando la copertina del romanzo di Lussu.
– Piú volte. Ce n’è un altro suo che forse è addirittura migliore: Marcia su Roma e dintorni. La storia dell’avvento del fascismo con tutte le mediocrità, le vigliaccherie, le miserie, i voltafaccia. Lo so che sto per dire una banalità, ma è un libro che sembra scritto oggi per raccontare cosa succede ora in questo Paese.
In quel momento arrivò Bruna e Fenoglio avvertí la consueta fitta di lieve disagio, che provava ogni volta che la vedeva. Pensò che la vita ha degli strani cicli. Quel leggero imbarazzo era lo stesso che provava da ragazzino – forse a dieci, undici anni – quando incontrava la signora Molteni, che abitava al piano di sotto nel suo stesso palazzo. Era una bella donna, giovane, sempre vestita bene e in modo che le sue forme non passassero inosservate.
Il piccolo Pietro diventava rosso incrociandola, e a volte addirittura cambiava strada per timore che lei se ne accorgesse. Quando la donna era con il marito – un uomo alto e robusto, dall’aria compiaciuta e ottusa – all’imbarazzo si mescolava una cosa che allora non avrebbe saputo nominare. Un misto di desiderio indistinto, percezione di inadeguatezza e spirito di rivalità. In pratica, pura e semplice gelosia, ma era troppo presto per maneggiare una parola come quella.
Bruna gli provocava lo stesso senso di inaccessibilità che ai tempi gli suscitava la signora Molteni.
– Avete già fatto conoscenza? – disse la fisioterapista. – Bene, perché starete qui insieme almeno per le prossime due settimane.
– Chiacchieravamo di libri, – disse Fenoglio, cercando di apparire spigliato e, ancora una volta, avendo la sensazione di non riuscirci.
Bruna assegnò gli esercizi, controllò che entrambi li eseguissero nel modo corretto e disse che si allontanava per assistere altri pazienti.
– Torno fra una mezz’ora. Sorvegliatevi a vicenda, cosí non barate.
Andò via senza aspettare eventuali risposte, lasciando una sottile scia di profumo; quel profumo cosí fresco e cosí apparentemente innocuo.
– Perché sei qui? Che ti è successo? – chiese Fenoglio mentre, appoggiando una mano alla spalliera svedese, iniziava a fare su e giú con la gamba, piegandola e cercando di portare il ginocchio piú in alto possibile. Anche il ragazzo aveva cominciato il suo esercizio, disteso sul materassino, con una banda appesantita intorno alla caviglia.
– Un brutto incidente con la macchina. Mi dicono che sono fortunato a poterlo raccontare, ma io non ho niente da raccontare perché non ricordo niente –. Parve indugiare qualche istante, quasi temesse che restituire la domanda potesse essere indelicato.
– E lei? – disse infine.
Senza nemmeno rendersene conto Fenoglio scosse la testa, come se ancora non si capacitasse di ciò che era successo. Che, in estrema sintesi, consisteva negli anni che passavano.
– Quando uno invecchia le ossa diventano piú fragili e tutto si complica. Per non farla troppo lunga: severa artrosi dell’anca, con decorso quasi fulmineo. Un paio di anni fa non avevo praticamente problemi e il mese scorso mi sono dovuto operare perché ormai ero quasi zoppo e la vergogna di zoppicare è diventata piú forte della vergogna di farsi mettere una protesi –. Sempre senza rendersene conto fece un gesto con la mano, come per scacciare qualcosa che gli dava fastidio.
– Cosa c’è di vergognoso in un’operazione? – chiese l’altro.
– Nulla, in teoria. Ma sai, per quanto pensiamo di essere superiori a certi meccanismi, questi ci condizionano. Possiamo essere abbastanza lucidi da osservarli in noi stessi eppure incapaci di contrastarli davvero.
– Non sono sicu...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- La versione di Fenoglio
- 1.
- 2.
- 3.
- 4.
- 5.
- 6.
- 7.
- 8.
- 9.
- 10.
- 11.
- 12.
- 13.
- 14.
- 15.
- 16.
- 17.
- 18.
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
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