– Qual e il punto piú alto per far cadere un uovo su un piano di acciaio senza romperlo?
Quando stai a un colloquio di lavoro arriva sempre il momento in cui ti fanno la domanda fondamentale, quella rivelatrice della tua personalità . Il quesito primario, indispensabile, necessario per far capire al padrone se ti meriti il posto che ti sta offrendo.
A me quel giorno capita la domanda dell’uovo.
Il capostazione mi guarda e, prima che rispondo, aggiunge: – Tu mi piaci e ti voglio aiutare. Ti do due possibilità . O mi rispondi, ma rischi di sbagliare e bruciarti l’assunzione. Oppure fammi sorridere.
La conosci una barzelletta?
Se mi fai ridere il lavoro è tuo!
E poi trovati un vestito decente. La gente passa e non ha tempo per conoscerti. Ti giudica dal vestito.
Da quel giorno ho incominciato ad appuntarmi barzellette su un brogliaccio.
Ecco come è andata.
Tutto qui.
Tu sei uno taciturno.
Mi sa che è una roba normale per quelli che lavorano nel tuo ramo.
Posso parlare con te?
Non ti disturba? Per il mestiere che fai è conforme alla media essere taciturno. Nel ramo funerario tocca essere discreti. O sbaglio? Io vi stimo. Siete persone contegnose. Sempre all’erta, disponibili giorno e notte. Mi hanno detto che tu scavi e pareggi alla perfezione e quando cali la bara sottoterra ti hanno visto metterci una livella e sta perfettamente in bolla. Ti chiamano Geometra, o no?
Io appartengo al ramo ferroviario come il mio capostazione. Voi fate trapassare i morti. Noi facciamo trapassare i vivi.
Anche io dovrei parlare meno.
Sarebbe una buona cosa.
Ma provaci tu a lavorare alla stazione e restare zitto con la buriana che c’è. Se parli piano non ti sentono.
Se stai zitto ti schiacciano.
Se strilli perdi la voce il primo giorno della settimana lavorativa.
È tutto un equilibrio.
E poi l’hai vista la gente che ci passa?
Senti questa.
Moglie e marito fanno il terzo viaggio della loro vita per le nozze d’oro.
Lui dice a lei: – Aspettami al bar mentre vado a comprare i biglietti.
Poi si mette in fila.
Quando è il suo turno dice al bigliettaio: – Mi faccia due biglietti.
E l’impiegato: – Per dove?
– E che gliene frega. È il viaggio che facciamo io e la mia signora. Festeggiamo i cinquant’anni di matrimonio.
Ma il collega insiste: – Devo saperlo!
– È un segreto. Non l’abbiamo detto neanche ai nostri figli. Tre viaggi abbiamo fatto: la luna di miele, le nozze d’argento e adesso. Io pago. Pretendo che sia rispettata la riservatezza.
Ma quell’altro non schioda. E la gente in fila schiamazza.
– O mi dice la destinazione o si fa da parte e lascia passare gli altri clienti.
– E va bene, – dice il marito, – mi dia due biglietti per Napoli. Adesso è contento?
Paga, se li prende e raggiunge la moglie al bar.
E lei che ha seguito da lontano la scena: – Che voleva il bigliettaio?
– Voleva sapere dove andiamo.
– Ma è una roba da matti, – dice mentre lui annuisce sconcertato, – non lo sanno neanche i nostri figli.
– Infatti, ma è stato irremovibile e gli ho detto che andiamo a Napoli.
E lei: – Ma noi andiamo a Parigi!
E lui: – Certo! Hai capito come l’ho fregato?
Questa è la gente che passa per la mia stazione.
Non è un appuntamento importante per le linee ferroviarie internazionali. Non è la stazione Termini di Roma o la Gare de Lyon a Parigi dove scenderanno i nostri sposini, ma stai sicuro che è attraversata dallo stesso bestiario.
Senti questa.
Altri due stanno al bar. Li ascolto parlare. Proprio io personalmente. Li ascolto perché mi pare una storia interessante e drizzo le orecchie. Si capisce che uno è andato a trovare l’altro per passare un paio di giorni insieme e s’è piantato a casa sua per un mese. Non ha speso una lira, ha mangiato e dormito. La moglie dell’altro gli lavava pure i pedalini e le mutande. A un certo punto gli fanno capire che se ne deve andare e lui annuncia carinamente che parte col primo treno. Bene! A quello che l’ha ospitato non gli sembra vero e lo accompagna con gioia alla stazione.
E qui arriva il momento che li vedo io al bar. Cappuccino e cornetto, pizzetta e caffè corretto e se ne vanno verso la cassa. Quello che s’è tenuto il peso morto in casa avanza verso la cassiera spedito per pagare visto che gli pare un miracolo liberarsi dell’ingombro. Ma lo scroccone alza le mani e dice: – No. Non ti permetto di pagare a te. Facciamo ai mezzi!
Chiedilo alla cassiera se pensi che dico fregnacce.
È questo posto che fa impazzire la gente. Chi lavora nel ramo ferroviario lo sa. Ci sono due differenze tra un viaggiatore e un impiegato del ramo ferroviario. Il viaggiatore vede noi e pensa: «Stiamo tutt’e due in questo posto folle, ma io me ne vado mentre tu ci resti». Il ferroviario pensa: «Le stazioni sono tutte uguali. Il treno è solo una finzione, ti porta da una parte all’altra, ma alla fine ti scarica sempre nello stesso posto pure se ti ha scarrozzato dall’altra parte del pianeta». Il viaggiatore è un criceto che corre sulla ruota. Scappa scappa, ma è come noi e non schioda dalla gabbia.
La categoria peggiore è quella dei fissati con l’orario.
Uno mi fa: – Allora? Arriva questo treno?
Gli rispondo: – Se ha tanta fretta, gli vada incontro.
S’è calmato subito. L’ho accompagnato al bar e ci abbiamo bevuto sopra. L’ha capito pure lui che con l’orario del treno non ci puoi fare niente. Non è mica come in autostrada che ti metti a correre oltre i limiti di velocità e superi a destra e sinistra. Il treno sta sulle rotaie.
Davanti a una sambuca gli dico: – Una volta c’è stato un suicida che è andato davvero incontro al treno. Sa che gli è successo? È morto un quarto d’ora in anticipo.
E lo stesso tipo di gente si preoccupa quando perde il treno. – Dove pensi che ti porta quel carro bestiame se lo prendi? – dico io. – Fermati qui, vai al bar e beviti un caffè.
Dicono: – No, perché sennò arrivo in ritardo –. Ma per cosa? Per bere la copia dello stesso caffè davanti al sosia dello stesso barista tra cinquecento chilometri?
Uno doveva prendere un treno che stanno tagliando. Prima ce n’erano quattro al giorno. Ora ne parte uno da qui la mattina alle nove e tredici e arriva in un’altra stazione terminale piccola come la nostra. Riparte da là e torna da noi la sera alle ventuno e quaranta. E quello mi arriva in stazione trafelato alle nove e un quarto, due minuti dopo. Mi dice: – Possibile che per due minuti è già partito? Solo qui i treni passano in orario!
Rispondo: – No, qui non ci passano. Ci arrivano e ripartono. Se non siamo in orario noi vuol dire che non è ancora arrivato il treno, ma il suo stava qui da ieri sera.
A quel tempo non c’erano i telefoni portatili e la cabina era stabilmente rotta.
Lo porto in ufficio e gli permetto di chiamare. Parla col suo capo, dice: – Arriverò con un giorno di ritardo perché il prossimo treno parte domattina alle nove e tredici, – e il capo strilla furibondo. Vedo il viaggiatore piegarsi in due come se ce l’avesse davanti e sentisse il dovere di parlargli facendo l’inchino. Gli fa: – Mi perdoni. Sarà che domani, per essere sicuro di arrivare in orario, lo prenderò un’ora prima.
Mi capisci?
Mi sono immaginato questo che si avviava a piedi sulla ferrovia già dalle otto e tredici e precedeva il treno per non prenderlo in ritardo.
Invece m’è piaciuto un tipo che ha visto il treno che si stava muovendo.
Tanti altri si sarebbero messi a correre urlando come se il convoglio li potesse aspettare per davvero. Lui no. Ha camminato ancora piú piano. Gli faccio: – Ha perso il treno?
E quello: – No. M’ha visto arrivare. S’è messo paura ed è scappato.
Secondo me era un ferroviere pure lui. O almeno un viaggiatore che non capisce piú il senso di fare il criceto sulla ruota. I treni arrivano quando arrivano e partono quando partono. In una stazione di passaggio forse c’è una coscienza diversa, il mondo te lo vedi transitare davanti. Ma nelle stazioni terminali sappiamo che le cose non stanno cosÃ. Metti il punto e non puoi andare a capo. Devi tornare indietro. È l’idea stessa del tempo che prende un’altra forma, soprattutto se la stazione è piccola come la nostra e non cose grosse come Santa Maria Novella.
Figurati che succedeva quando c’erano i treni a vapore! Gli finiva la strada davanti e la locomotiva si inchiodava....