Guardando il sole
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Guardando il sole

  1. 240 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Jean Serjeant vive quasi cent'anni, accompagnata da fantasie e amori non consumati, matrimoni e figli, viaggi e ritorni, tutto l'incanto e la delusione di ogni vita. Ma la magia è sempre stata lí, a far capolino dietro le dita schiuse. Come quella notte del giugno 1941 quando il sergente-pilota Thomas Prosser, sorvolando i cieli della Francia settentrionale sul suo Hurricane IIB, si volge verso est a guardare la Manica e si accorge che l'arancia del sole già spunta dalla viscosa banda gialla dell'orizzonte. Poi l'avvistamento di un pericolo giú a terra, una discesa di qualche migliaio di piedi, ed eccolo, il miracolo: lo stesso sole che si leva dallo stesso punto dello stesso mare. Un'altra alba, a pochi minuti dalla prima.
«Possibile? Sí, pensava, tutto era possibile». «Né il sole, né la morte si possono guardare intensamente». È questa massima di La Rochefoucauld a fare da premessa al quarto romanzo di Julian Barnes che in origine doveva intitolarsi «Question and Answer». Le domande (numerose e bizzarre) e le risposte (pressoché nulle) sono quelle di Jean Serjeant, una donna del tutto ordinaria le cui vicissitudini ripercorrono quasi un secolo di storia. La incontriamo bambina, fatalmente e ingenuamente innamorata dell'eccentrico zio Leslie con il quale condivide risate sguaiate e giochi spericolati, l'incanto di trucchi fumosi e indovinelli improbabili: perché agli ebrei non piace giocare a golf? Esiste davvero un museo del panino? Perché il cibo esce tanto diverso dall'altra parte del corpo? Il paradiso è in cima al camino come sospettava? E perché i visoni sono cosí ostinatamente attaccati alla vita? Le risposte, com'è ovvio, non hanno alcuna importanza, ma saranno proprio queste sollecitazioni - scintillanti e misteriose al contempo - a svegliare quella curiosità che le farà da bussola nella vita adulta.
A seguito di un matrimonio deludente, una maternità tardiva e numerosi fallimentari tentativi di comprendere l'universo maschile, Jean sfodererà saggezza e coraggio imprevisti per poter rispondere, con la vita stessa, a un paio di domande mai esplicitamente formulate: come fa la gente comune, protagonista di vite anonime e incolori, a proteggersi dal tedio? Ed è capace, di tanto in tanto, di rendere la propria esistenza straordinaria?
Sembra esserci riuscito il sergente-pilota Thomas Prosser che, mentre sorvola i cieli della Francia settentrionale in una quieta notte di giugno del 1941, si volge verso est e vede l'arancia del sole che fa capolino dalla banda gialla dell'orizzonte. Poco dopo si lancia in picchiata per una ricognizione e, giunto a quota 8000 piedi, guarda di nuovo verso oriente. Ed è allora che gli si mani festa il prodigio: il globo arancione che sorge per la seconda volta sopra l'orizzonte, lo stesso sole che si leva dallo stesso punto dello stesso mare. Da quel momento il pilota sarà per tutti Alba Due Prosser; e per la giovane Jean, poi donna adulta e infine vecchia, lo stimolo per aspirare sempre a una vita di prim'ordine.
È possibile, dunque, scorgere lo straordinario nell'ordinario, il magico nel quotidiano? Come per ogni grande miracolo, suggerisce Barnes, occorre saper vedere: basta schermarsi gli occhi con le mani e persino il sole può diventare oggetto di osservazione negli stretti interstizi delle dita schiuse.
Daniela Fargione

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
Print ISBN
9788806221799
eBook ISBN
9788858430668

Due

Sette savi – ma dici sul serio?
graffito, 1984 ca.
Michael faceva scintille con i tacchi. Ecco come Jean l’avrebbe ricordato negli anni a venire. Nel capanno degli attrezzi teneva una forma da scarpe – un pesante treppiede di ferro, simile al blasone di un qualche paese ridicolo – su cui inchiodava rinforzi d’acciaio ai tacchi di ogni nuovo paio di scarpe che acquistava. Poi, quando uscivano, lui la precedeva con una falcata un po’ troppo vivace costringendola, ogni tanto, a una goffa corsetta per raggiungerlo. E mentre lui camminava, Jean sentiva il tacco raschiare come una lama sul selciato da dove si sprigionavano scintille.
Il matrimonio di Jean durò vent’anni. Alla colpevole delusione della luna di miele seguí lo scoramento della vita di coppia. Forse aveva immaginato troppo intensamente che vivere insieme non sarebbe stato diverso dal vivere per proprio conto, che la vita dai cieli alti e luminosi, attraversati da nuvole libere e leggere, poteva continuare indisturbata – una vita costellata di baci della buonanotte, saluti commossi, sciocchi giochetti e desideri inconfessati miracolosamente esauditi. Adesso, se mai voleva arrivare a qualcosa, doveva esprimerli ad alta voce i desideri, e i giochetti parevano fin troppo sciocchi se non c’era qualcun altro con cui farli. Quanto ai saluti commossi: seguivano a ruota i baci della buonanotte, al punto da diventare un’abitudine quasi priva di qualunque emozione. Indubbiamente per Michael era lo stesso.
Ciò che la sconcertava di piú, tuttavia, era il fatto di poter vivere insieme a qualcuno senza avvertire alcun senso di intimità o, quantomeno, senza ciò che aveva sempre immaginato potesse essere l’intimità. Vivevano, mangiavano, dormivano insieme; condividevano battute che nessun altro avrebbe potuto decifrare, si conoscevano fin sotto la biancheria intima, ma apparentemente erano semplici modelli comportamentali piuttosto che una preziosa corrispondenza di amorosi sensi. Jean aveva immaginato – ebbene, sí – che il caprifoglio si sarebbe attorcigliato al biancospino, che gli alberelli piantati fianco a fianco si sarebbero intrecciati fino a comporre un arco, che due cucchiai sovrapposti si sarebbero trasformati in uno solo. Che stupidaggine – si era resa conto –, quali sciocche fantasie da romanzetto! Poteva ancora amare Michael, anche se non riusciva a leggergli nel pensiero, né a predirne le reazioni; e Michael poteva ancora amare lei, malgrado il paternalismo con cui guardava alla sua vita interiore. Impossibile sovrapporre un cucchiaio a un coltello. Tutto qui. Era stato un errore credere che il matrimonio avrebbe modificato l’aritmetica: uno piú uno faceva sempre due.
Una volta sposati, gli uomini cambiano: cosí dicevano le donne del paese. Aspetta e vedrai, mia cara!, l’avevano ammonita. Perciò Jean non si sorprese poi molto quando la noia si sostituí lentamente al divertimento e cominciarono a sopraggiungere le prime nervose scortesie. Nient’altro la sconcertava di piú che vedere come le attenzioni e le premure che Michael le aveva riservato quand’erano fidanzati ora fossero per lui motivo di irritazione. Pareva quasi indignato al pensiero che dopo il matrimonio ci si aspettasse da lui lo stesso comportamento di prima, e la collera non poteva che generare altra collera. Ascolta, sembrava voler dire, se pensi che ti ingannavo su chi ero realmente, beh, ti sbagli di grosso. Allora non ero affatto in collera mentre adesso lo sono: come osi accusarmi di slealtà? Ma che Michael fosse stato o meno un uomo onesto in passato era per Jean una questione di ben poco conto visto che adesso era sempre arrabbiato.
Indubbiamente doveva essere perlopiú colpa sua. Ed era del tutto normale – cosí supponeva – che la sua incapacità di dare alla luce un bambino scatenasse in Michael inspiegabili scoppi di rabbia. Erano inspiegabili non tanto perché mancasse una causa – o, perlomeno, una giustificazione – ma perché la sua incapacità di concepire rimaneva costante, mentre i suoi accessi di ira erano sempre intempestivi.
All’inizio voleva mandarla da uno specialista, ma a Jean venne in mente l’ultima volta che l’aveva convinta a recarsi a Londra – anzi, no: persuasa con l’inganno. Una dottoressa Headley bastava e avanzava per una vita intera. E cosí si rifiutò.
– Forse ho solo bisogno di aria di montagna, – commentò.
– Che vuoi dire?
– L’aria di montagna ristabilisce la vitalità del soggetto –. Lo disse come se stesse recitando un proverbio.
– Jean, cara… – La prese per i polsi e li strinse come se stesse per dirle una frase affettuosa. – Ti ha mai detto nessuno che sei di una stupidità abissale?
Jean guardò altrove mentre lui la teneva stretta per i polsi. Sapeva che avrebbe dovuto guardarlo negli occhi – o perlomeno rispondergli – prima di poter essere liberata. Ma a che pro tutta questa cattiveria? Che fosse stupida era possibile, sebbene non ne fosse del tutto certa; ma ammesso e non concesso, perché prendersela cosí? Quando si erano conosciuti non era piú intelligente, e comunque lui non ci badava. Sentí una fitta allo stomaco.
Alla fine, con un velato atteggiamento di sfida, ma senza guardarlo negli occhi, rispose: – Mi avevi promesso che mi avresti tenuta anche se fossi stata difettosa.
– Cioè?
– Quando sono andata dalla dottoressa Headley, ti ho chiesto se mi avresti tenuta lo stesso se fossi stata difettosa. E tu mi hai risposto di sí.
– E questo che c’entra?
– Beh, se credi che sia difettosa, rimandami pure da dove sono venuta.
– Jean! – Rafforzò la stretta ai polsi, ma anche cosí lei si rifiutò di guardare quel faccione arrossato su quel collo da ragazzino. – Gesú. Guardami –. Sembrava esasperato. – Sentimi bene: io ti amo. Cristo santo. Ti amo. È solo che… che a volte ti vorrei diversa.
Diversa. Sí, capiva bene cosa voleva da lei, che era invece di una stupidità abissale e incapace di dargli un figlio. La voleva intelligente e incinta. Niente di piú semplice. Se viene testa, avremo sei bambini, Se viene croce, ci prendiamo dei gattini. Avrebbero dovuto prendersi dei gattini.
– Ho male, – disse.
– Ti amo, – rispose lui, quasi urlando per l’esasperazione. Per la prima volta in cinque anni di matrimonio, la cosa la lasciava del tutto indifferente. Non che non gli credesse, ma l’intera faccenda pareva non avere piú nulla a che fare con l’onestà.
– Ho male, – ripeté, sentendosi un po’ codarda per la sua incapacità di guardarlo in faccia. Quasi certamente, Michael la disprezzava ancor di piú per quel suo dolore.
Alla fine, le lasciò i polsi. Ma nei mesi seguenti tornò alla carica con la sua convinzione che dovesse «vedere uno specialista». Jean accolse la natura evasiva di quella terminologia, ma dentro di sé si ripeteva le formule che aveva letto mentre Alba Due russava nella stanza accanto. Disadattamento degli organi, ricordava, e congestione dell’utero. Congestione… evocava l’immagine di un idraulico venuto a sgorgare i condotti intasati, e fu percorsa da un brivido. Sterile, ecco il termine piú adatto, il termine biblico. Sterile. E sterilità. La sterilità le faceva venire in mente il deserto del Gobi, che a sua volta le ricordava zio Leslie. Attenta a non far cadere la testa, o avremo piú sabbia di una giornata di vento nel deserto del Gobi. Le sembrava di vedere un giocatore di golf in un bunker mentre col suo bastone menava un colpo dopo l’altro a una palla che non ne voleva sapere di uscire di lí.
Occasionalmente, però, si domandava se la sua condizione dipendesse dal difetto di cui Michael l’accusava con tanta certezza. Durante il fidanzamento si era sorpresa a irrigidirsi quando si intavolava il discorso dei figli. Una cosa alla volta, aveva pensato. E poi l’esperienza della prima notte l’aveva resa scettica rispetto alla seconda.
E se fosse stata contro natura anziché sterile? O entrambe le cose. Di una stupidità abissale, sterile e contro natura: doveva presentarsi cosí agli occhi del mondo. Dentro, però, era diversa. Poteva anche infischiarsene di essere sterile e contro natura, se era questo che diceva la gente. Quanto all’accusa di essere di una stupidità abissale, poteva persino comprendere il punto di vista di Michael, ma allo stesso tempo riusciva anche a superarlo. A Jean pareva che l’intelligenza non fosse il tratto puro e inalterabile che la gente crede. Essere intelligenti era come essere buoni: si può essere irreprensibili con qualcuno e maligni con qualcun altro. Intelligenti con una persona e stupidi con un’altra. In parte aveva a che fare con la fiducia. Nonostante Michael fosse suo marito, colui che l’aveva condotta dalla verginità e adolescenza alla femminilità e maturità (questa quantomeno era l’opinione comune), colui che l’aveva protetta fisicamente ed economicamente, colui che le aveva dato il nome di Curtis in sostituzione di Serjeant, stranamente non era riuscito a darle fiducia. In un certo senso, si era sentita piú sicura a diciotto anni, quando era anche piú sciocchina. A ventitre, insieme a Michael, si sentiva meno fiduciosa e quindi meno intelligente. Un tiro mancino, o cosí sembrava: dapprima Michael l’aveva resa meno intelligente, poi aveva cominciato a disprezzarla per com’era diventata grazie a lui.
E magari l’aveva anche resa sterile. Possibile? Sí, pensava, tutto era possibile. Ecco allora che quando tornarono a discutere dei suoi difetti, Jean alzò la testa, sostenne lo sguardo del marito e in fretta, prima che il coraggio le venisse meno, dichiarò:
– Ci vado se ci vai anche tu.
– Che vuoi dire?
– Ci vado se ci vai anche tu.
– Jean, smettila di parlare come una bambina. Ti ripeti ma non spieghi niente.
– Forse sei tu quello difettoso.
Fu allora che Michael la colpí. Doveva essere stata, in effetti, l’unica volta nel corso della loro vita insieme; e non fu nemmeno un pugno vero e proprio, quanto un maldestro scappellotto che finí per abbattersi dove la spalla si univa al collo, ma lí per lí Jean sembrò non accorgersene neanche. Mentre correva fuori dalla stanza, una valanga di parole precipitò su di lei da ogni dove. Troia, sentí la prima volta, imbecille, donna; termine, quest’ultimo, martellato e affilato al punto da diventare tagliente.
Le parole continuarono a riversarsi anche quando la porta fu chiusa alle sue spalle, e fu proprio per la presenza di quella porta che le parole si svuotarono di significato: cinque centimetri di legno ben compatto riducevano l’anatomia violenta di un carattere in semplice rumore di fondo. Era come se Michael le stesse tirando dietro degli oggetti che, urtando contro la porta, producevano lo stesso suono: cos’era? un piatto, un calamaio, un libro, un coltello o un tomahawk, con tanto di piume e ancora affilato nonostante le numerose vittime? Non sapeva.
A ripensarci, nei giorni successivi, Jean fu grata dell’accaduto: finí per accettare le scuse di Michael ma rifiutò le sue carezze. Bastoni e pietre possono spezzarmi le ossa, ma le parole non mi faranno mai male: perché la gente formulava proverbi simili? Temeva forse che fosse vero l’esatto contrario? Il dolore si attenua, lo sapeva (quella fitta allo stomaco era scomparsa in meno di un’ora), ma le parole infettano. Donna, le aveva urlato Michael, accartocciando il suono di quella parola in una palla da lanciare ancora piú lontano e con maggiore precisione. Donna, una parola che di per sé non conteneva veleno, ma il veleno era tutto nel tono. Donna, due sillabe anodine che Michael aveva ridefinito per lei: tutto ciò che mi esaspera, ecco il suo nuovo significato.
Dopo quell’episodio non avevano piú parlato di avere figli. Nel corso degli anni avevano continuato a fare l’amore, forse una volta al mese, e comunque quando Michael pareva averne bisogno, ma Jean dimostrava totale indifferenza per l’intera faccenda. Quando pensava a Michael e al sesso le veniva in mente un serbatoio d’acqua traboccante che di tanto in tanto doveva essere svuotato; non troppo spesso, non era una vera seccatura, ma era ormai diventato parte di una routine domestica. E il sesso per lei? Meglio non pensarci. C’erano volte in cui fingeva di provare piacere, quasi per educazione. Il sesso non la divertiva piú; ormai la lasciava del tutto indifferente. E tutte quelle frasi che aveva imparato – frasi sciocche ed eccitanti con le quali aveva flirtato – adesso parevano giungere da un passato lontanissimo, dall’isola della sua infanzia. Ed era un’isola da cui non ci si poteva allontanare senza rischiare il naufragio. Ripensò alle due correnti che si intersecavano ad angolo retto e provò un debole senso di colpa. Quanto agli slogan – quello della curva del normale desiderio nelle donne sane e quello dell’insorgenza debole e transitoria nelle donne affette da sovraffaticamento ed eccesso di lavoro –, le parevano graffiti stinti sulle pareti di una pensilina degli autobus in una strada di campagna.
Non era l’aria di montagna che le occorreva, e la stanchezza di cui soffriva non aveva origini fisiche. Teneva in ordine la casa per Michael, si occupava dell’orto e di tutta una serie di animali, consapevole che il vicinato li considerava un surrogato dei figli. Aveva un maiale che era fuggito ma che un giorno aveva ritrovato in mezzo alla strada intento a mangiare catarifrangenti. Aveva strani legami con segrete bestiole che facevano la loro comparsa solo quando Jean non si faceva vedere. Talvolta, quand’era a letto, sentiva il riccio raspare contro il coperchio di un barattolo di marmellata che lei aveva riempito di latte; le pareva la stesse ringraziando, e allora sorrideva.
Per vent’anni aveva partecipato alla vita del villaggio: aveva preso il tè con le vicine, aveva dato una mano, fatto beneficenza; era diventata, insomma, alquanto anonima nella sua normalità. Non era una donna triste, ma essere felici era condizione rara; in paese era piuttosto apprezzata, per quanto si fosse sempre tenuta lontana dalle tresche della comunità. Lentamente, era giunta alla conclusione di essere piuttosto insignificante. Di certo Michael la considerava tale, ma c’era di peggio. Talvolta da bambina aveva sognato di diventare una donna speciale, o almeno di essere sposata a un uomo speciale; ma a quell’età è desiderio di tutte, no? Un po’ di carne le aveva ammorbidito gli angoli squadrati delle guance. Un cielo basso e grigiastro in cui le nuvole si distinguevano a malapena era sempre una minaccia di pioggia.
C’erano state volte, nel corso degli anni, in cui Jean si era domandata se Michael avesse una relazione. Mai un collo macchiato di rossetto, nessuna fotografia segreta, né cornette riagganciate di colpo; solo che, vista la professione di Michael, sarebbe stato strano il contrario. L’unica prova poteva arrivare dal suo sguardo, dal modo in cui la guardava come se fosse a 18 000 piedi di altezza e puntasse verso un mercantile fumante. Lei non aveva mai fatto domande; lui non aveva mai offerto spiegazioni. Che si può sapere della vita degli altri?
Jean perse i genitori. A trentotto anni le mestruazioni cessarono, e lei non ne rimase né sorpresa, né dispiaciuta: le pareva che da tempo la sua esistenza avesse smesso di darsi un significato. Le succedeva di aver voglia di urlare nel cuore della notte? E a chi non capitava? Bastava osservare la vita delle altre donne per constatare che poteva andare peggio. Erano comparsi i primi capelli grigi e a lei la cosa non fece né caldo né freddo.
Quasi un anno dopo il termine delle mestruazioni, Jean rimase incinta. Prima di accettare il responso, chiese al medico di ripetere le analisi, lui le spiegò che casi del genere erano noti e poi concluse, fumoso ma cortese, con un rapido accenno ai treni per Londra. Jean lo ringraziò con modi spicci e si affrettò verso casa per dare la notizia a Michael.
Non era piena...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Guardando il sole
  4. Uno
  5. Due
  6. Tre
  7. Il libro
  8. L’autore
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright