ANO VOLPI ARGENTATE
eBook - ePub

ANO VOLPI ARGENTATE

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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ANO VOLPI ARGENTATE

Informazioni su questo libro

Macchie di sperma, sangue e sudore da decifrare come fossero "storie sfilacciate"; amori di volpi e di uomini; ottusi serpenti portatori del Male; paffuti angioletti unticci, goffi, con la forfora ("che rende buoni") sono alcune delle figure che popolano il libro d'esordio del trentino Stelzer, un libro insolito, particolarissimo per il taglio della narrazione. L'ossessivo ripresentarsi di alcuni particolari, colti da uno sguardo dilatato e lento, e la prosa, sapientissima e franta, risucchiano il lettore in un vortice allegorico per poi riportarlo con violenza alla lettera del testo e di nuovo spingerlo verso mille direzioni e piani di lettura. Nel soffermarsi a descrivere i dettagli della terra, Stelzer ne ingrandisce le brutture e paradossalmente illumina anche una continua, istintiva tensione delle cose e delle persone verso l'alto. Perché dietro ogni vicenda di questo libro, come forse dietro ogni vicenda umana - lascia intendere l'autore -, c'è un occhio dilatato che ingigantendo le brutture della terra disegna la mappa di un altrove.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
Print ISBN
9788806152987
eBook ISBN
9788858429167

L’ansito della mia sposa

Sicché io dico, gente:
nobilitate questa vita.
Quando Vi guarderete indietro,
essa avrà lo sguardo dolcissimo
e forte,
l’ansito regale e spossato
della mia sposa.

1.

Ascoltate.
Se una ragazza è seduta al tavolino di un bar. E le sue labbra sono il centro della conversazione. E il modo in cui si scosta i capelli dal volto. O aggrotta la fronte...
Ascoltate. Se nell’iride verdissima le si nasconde un pensiero sensuale e arguto. Se il suo sguardo è fragile, ridente, coraggioso. Se a tratti si fa grigia e cupa.
Se tiene, disinvolta e ansiosa, il cuore tra le mani. Se tutto questo è vero...
Ascoltate.
Se voleste all’improvviso che ogni cosa si fermasse. Se voi chiedeste a Dio di arrestare l’attimo in cui schiude le labbra.
E Dio, di rimando, facesse il difficile. E non volesse arrestare la brezza... E dare a tutti il segno di girarsi. Di sospendere in un battito lo sguardo.
Se Dio facesse il risentito. Se Dio opponesse un rifiuto ottuso. Se Dio, insomma... Se proprio non capisse. Se al suo orecchio divino non giungesse...
Se Dio, come non sentisse...
Se Dio dovesse fare il duro. Mandategli il quadro successivo.
Dategli una chance. Ripescate la foto seguente.
Dategli una foto piú sporca. Piú triste. Piú bella.
Una di trent’anni dopo.

2.

Eccola.
Guardate quel pensiero ridente.
Guardatela.
Incede lentissima.
È una donna devastata e altera.

3.

Negli anni ha imparato. Ha imparato molto. Ad esempio, l’andatura leggera. Il passo che sfiora le siepi.
Si muove, stanca, come un’ape regina.
Non è mai sola.
Le cammina al fianco uno gnomo, gentile e chiacchierone.
Le domanda ogni cosa. Pretende spiegazioni. Semplici e leggere. A ogni passo una questione, complicata e lieve. A ogni passo. A ogni passo...
Non basta.
Le camminano dietro, davanti, ai lati, sulle spalle, degli angeli, invadenti e curiosi. Sudati e grassi.
Hanno i polpacci e le caviglie grosse. Le gambe corte. Un’ampia stempiatura.
Una lunga, incessante cascata di forfora.

4.

Sono buoni. La forfora rende buoni.

5.

Bene. Al primo incontro, quando ancora non ci si è resi conto di nulla, la invito in un brutto locale ingiallito. Il primo a portata di mano. Un sudicio bar ricoperto di formica marrone.
Alle pareti, dei quadri di pessimo gusto. La foto di una squadra di amatori.
Nel bagno, disteso sul bordo del water, adagiato e indolente, un lungo pelo attorcigliato.

6.

Ora che ogni cosa è avvenuta, so che, se entrando avessi teso l’orecchio, se veramente mi fossi sforzato, avrei potuto avvertirlo. L’avrei sentito, il respiro di quel pelo. Simpatico. Torbido. Lieve.
E insieme avrei avvertito il debole fruscio, sommesso e arruffone, della falange degli angeli.
Lei non fa segno invece di notarlo. È l’abitudine, mi dico ora. Avere sempre un codazzo di esseri strani. Di menti piccole e chiare. Di angeli unticci. Invadenti. Pasticcioni.

7.

Ci sediamo e la osservo. Accavalla le gambe. Ha la pelle scura e segnata. Gli occhi insieme durissimi e ridenti. Un misto di lontane provenienze. Un incrocio tra una dea contadina, una cacciatrice del nord, una morbida odalisca.
La mia mente primitiva annota segretamente, mentre lei stringe gli occhi in un sorriso. Splendide durezze e profumati unguenti.

8.

Ordina solo un tè. Io, che ancora mi libro in una luce incerta e inconsapevole, almeno tre brioches.
Non mi appesantiscono.
Lei si finge ammirata. Mentre mescola il tè.

9.

Parliamo. Io ascolto. Il modo in cui forma le frasi. È schiva. Esitante. Ma rotola le parole in bocca come fossero datteri. Le succhia e le snocciola con cura. Snoda le frasi con timore, come di non essere ascoltata. Ma si sbaglia. A ogni concetto ben espresso. A ogni aggettivo scelto con cura. Il mio cuore si ridesta.
L’ora di pausa che abbiamo si dilata. E sembra l’aperitivo sorseggiato in una suite scintillante. In abito da sera. Subito prima di uscire.
L’amore arriva. Lento. Circospetto.

10.

Penso.
Quand’ero bambino, mia zia passava a casa ogni tanto. Una bella donna di pianura, con il seno e la bocca grandi. Quando arrivava lei, tutto si allentava. La tensione dei pasti. Lo sprezzo che, piano, si annidava tra di noi.
L’amore è dunque una zia. Che arriva e sposta il discorso. Una festa in cui i grandi si scordano di te.
Un party in cui mia madre, elegante e spiritosa, consente, all’improvviso, che un seno le si scopra.
Penso.
L’amore si prepara in un bar. Vi sono donne che ci parlano e ci ascoltano. Accavallano le gambe. E non dànno a vedere di non prenderci sul serio.

11.

Angeli. Voi che, ora si può dirlo… Mentre ci uniamo nella luce accecante di una stanza d’estate. Nella penombra madida e accesa della sera. Mentre ansimiamo. Ci reggete lievi lo scroto. Lo tenete sospeso. Vi soffiate sopra per asciugarne il sudore. Ve lo passate di mano in mano. Palpeggiandolo bonari e paterni. Voi avete un senso invadente e leggero.
Guardate la mia bella. Aiutatemi a condurla tra le coltri.
Aiutatemi a sdraiarla, con bibite e olive.
Lo so. È sicuro. Col vostro aiuto, lei che mi guarda parlare, che sorride, a tratti, come su foto ingiallite, si sdraierà mollemente su un divano. Scoprirà un ginocchio velato. L’interno della coscia. Una lunga cicatrice sul petto.
Poi, è naturale, rovescerà il capo verso il cielo.

12.

Bene. Arriva in effetti la sera di marzo in cui ci spogliamo del tutto.
Angeli sono scesi a questa festa di tessuti e di mani.
Si sdraiano accanto a noi. Curiosi.
Ficcano il naso dove i nostri ventri si toccano. Lo ritraggono bagnato. Starnutiscono. Poi tentano di asciugarsi con la manica delle loro tuniche. Infilano di nuovo il naso. Ancora si rialzano stupiti.
Un angelo non lascia nulla di intentato.
Eccoli. Perché gli altri possano vedere meglio, cercano di far leva sul nostro ventre. Fanno come il gesto di rovesciarci. Io avverto un qualcosa che tende a staccarmi dal suo corpo. Ci appiattiamo a piú non posso. Mi aggrappo al collo di lei. Lei risponde con la stessa intensità. Rotoliamo, sbilenchi, ai piedi del letto. Trascinando con noi cuscini e coperte.
Da terra, tentiamo di rialzarci. Loro, approfittando della nostra posizione incerta, tornano all’attacco. Ci salgono addosso. Riprendono a tuffarsi verso il basso. Esplorano ogni cosa con tanta e tale accuratezza che, sfiniti, presto abbandoniamo ogni sforzo.
Raggiunta una minima quiete, piombiamo nel sonno piú esausto e insoddisfatto.
Gli angeli, che lo vogliamo o no, vedono tutto.

13.

Restano soli a litigare. Sei stato tu. E adesso? È colpa tua. Prima che ci riprovino... ne passerà di tempo. Cerca di svegliarli, dài. Non li vorrai lasciar dormire. Ehi, non spingere. Le vado addosso! E finora che cosa hai fatto? Scemo. Che pelle aveva... Luminosa...
Eterea...
Un angelo.

14.

Piú tardi, nella notte, ci viene concesso un secondo tentativo.
Sorridenti, questa volta. Sotto i riflettori. Avvolti dalla musica e coperti da una pioggia scintillante di coriandoli fatati. Addentiamo tartine sorseggiando spumante di qualità. Rispondiamo, felici, a domande sulla consistenza muscolare.
Le donne di vent’anni sembrano dei boa. Sembrano pneumatici senza camera d’aria. Quelle di quaranta hanno una morbida cedevolezza.
È lo stesso anche per noi. Sempre piú pesanti e sempre piú molli. Ma la vera ebbrezza è qui. Nei tessuti che cedono e divorano in splendide locande.
Gli angeli lo sanno. Quando è il momento. Loro si affannano. Con cerniere e laccetti. Canottiere tarmate. Calze e calzini. Pance e natiche piene. Tremanti e felici. E tutto, tra questi esseri divini, traballa e sventola scherzoso. Cade, ondeggia, si smaglia, si arresta. Tutto, tra questi esseri divini, tremola e, gentile, con un sorriso stanco e incuriosito, con un’aria torbida e arruffona, geme e, sbavando, si assopisce.

15.

Poi, nella notte tiepida e sventata, lei mi accompagna sino al cancello. Mi guarda partire.
Un lampione ondeggia silenzioso.
La vestaglia le si arrampica precisa sui polpacci.

16.

Qualche tempo dopo, ordiniamo da mangiare in un tranquillo rifugio di montagna. È una giornata feriale, poca gente. La gita piú bella. Ci troviamo increduli sul tavolo uova strapazzate, cavolo cappuccio, polenta.
Qualcuno lavora unicamente perché noi possiamo parlare. Perché possiamo fissarci. Mentre il cibo caldo e il vino ci entrano dentro.
Piú tardi, scivoliamo sul letto della locanda. Ispirati e lucidi di bava. E proviamo la stessa incredulità. Com’è tutto poco caro! Le braccia si intrecciano struggenti. Un sax, calmo e potente, apparecchia la nostra tavola. E gli angeli scendono giú.

17.

Scendono, perché c’è sempre da fare. Ad esempio, stringerci lo scroto in un’accorata preghiera. Levigare le splendide cosce di lei. Sistemare nel modo migliore possibile le ciocche sudate. Quando le si aggiustano sulla tempia, hanno la compostezza di un diadema!
Voi, angeli, non vi fate pregare. Fate chiasso e confusione. Sembrate l’équipe di un set di un vecchio regista al tramonto. Delle checche ciabattone. Simpatiche. Con le lacrime pronte.
Lei mi racconta a lungo di ogni cosa. Gli amici di un tempo, i bambini, gli amori.
Quando scende nei particolari, provo una fitta. Ma non vorrei che cessasse di parlare. La seguo mentre si rotola sui letti piú svariati con gli uomini di un tempo. Spuntano dalle lenzuola cosce brune e affusolate. Fiotti di saliva illuminano il ricordo. Anche voi non ce la fate a resistere. Allungate una mano. Andate su di lei. Su di lui. Sul vostro compagno piú vicino.
Urletti. Rumori.
Poi, quando ci amiamo, non siamo solo in due. Si torcono ubriachi tra di noi i suoi amanti ingialliti, i nostri angeli grassi. La carne saltellante degli esseri felici.
È cosí.

18.

Piú tardi, solleva il braccio. Con grazia infinita.
Lo appoggia mollemente sulla fronte. Loro scendono ancora sull’ammasso delle coltri. Le leccano il sudore nelle pieghe del ventre. Sono devoti, ordinati. Si avvicendano in lunghe file composte. Lei non avverte nemmeno il cambio delle labbra. Solo, quando fa scendere le mani e accarezza ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Fissano ostinate il cielo
  4. Matteuzzi
  5. L’ansito della mia sposa
  6. Ano di volpi argentate
  7. Il libro
  8. L’autore
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright