Il libro di Joan
eBook - ePub

Il libro di Joan

  1. 280 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Anno 2049. Il riscaldamento globale e le guerre hanno ridotto la Terra a un cumulo di macerie inabitabili. Chi ha potuto permetterselo è scappato su una stazione orbitale diventata l'enclave di ricchi privilegiati su cui governa un dittatore ancora piú ricco e privilegiato. I pochi resistenti si tramandano la leggenda di una giovane donna, forse una pazza, forse una terrorista, forse una santa, che potrebbe salvarli. Ma Joan è morta: è stata giustiziata anni fa. O cosí si dice... In questi tempi oscuri sembra che l'unico realismo possibile sia la distopia. Pochi altri libri sono stati accolti come il romanzo di Lidia Yuknavitch al suo apparire: Il libro di Joan è stato salutato come la piú precisa e cruda cronaca dell'oggi, quasi che solo un racconto di fantascienza (ma di una fantascienza completamente nuova, visionaria e «inaudita») potesse rendere conto di un presente allucinato e violento. Un potere maschile opprimente e violento che dispone del corpo delle donne come una risorsa da prosciugare; le diseguaglianze economiche che rendono il pianeta inabitabile tanto quanto il cambiamento climatico provocato da quelle stesse logiche inique; il discorso politico che fomenta il risentimento attraverso lo spauracchio dell'emergenza continua; la nostalgia di un passato immaginario come unica, posticcia, via di fuga: di tutto questo la Yuknavitch fa il materiale grezzo di un racconto ustionante, un viaggio fantastico tanto estremo quanto emozionante. Fantascienza classica e femminismo radicale, Margaret Atwood e Kathy Acker, «new weird» e Donald Trump. La cronaca del domani è stata raccontata molte volte: ma mai cosí.

«Troppo spesso i romanzi postapocalittici si fanno belli con problemi drammatici come il cambiamento climatico ma poi lasciano che il lettore se ne esca indenne dalle loro pagine, senza esserne toccato veramente, anzi intontito da una nuvola di ironico escapismo e convinto piú di prima che il pericolo sia ben lontano quando in realtà è imminente. Per fortuna non è il caso di questo romanzo incendiario di Lidia Yuknavitch, e della sua voce potente, cruda, senza compromessi. Il libro di Joan possiede le stesse qualità delle opere migliori di Doris Lessing, Frank Herbert, Ursula K. Le Guin e James G. Ballard. Eppure, allo stesso tempo, è straordinariamente nuovo, pieno di invenzioni e con uno slancio unico».
Jeff VanderMeer sul «New York Times» «Lidia Yuknavitch riesce a mettere insieme gli X-Men e Judith Butler».
«Vulture» « Il libro di Joan è l'incrocio perfetto tra un romanzo postapocalittico e un poema erotico».
« The Spectator» «La visione del futuro di Yuknavitch sovverte tutto quello che pensiamo di sapere sul sesso, l'identità, la politica, il potere, l'amore».
«Financial Times»

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il libro di Joan di Lidia Yuknavitch, Laura Noulian in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
Print ISBN
9788806240028
eBook ISBN
9788858430385

Libro primo

Prologo

Nelle centinaia di migliaia di anni che precedettero l’impatto sulla Terra dell’asteroide Chicxulub, causa dell’estinzione in massa dei dinosauri, i vulcani di una regione dell’India nota come i Trappi del Deccan eruttarono a piú riprese. Sputarono diossido di zolfo e di carbonio, avvelenando l’atmosfera e destabilizzando gli ecosistemi.
I dinosauri e la maggior parte delle specie viventi erano già a un passo dalla morte quando l’asteroide impattò sulla Terra.
Le eruzioni nei Trappi del Deccan modificarono in maniera drastica l’ecosistema. Offuscarono il sole. La Morte diventò storia, la geografia fu riscritta. Eppure la Terra rinacque. Non fu un miracolo se la vita, distrutta, riemerse. Fu per l’ostinazione accanita degli organismi viventi, i quali semplicemente non si arresero.
La vita riemerse, come sempre. Dalle profondità degli oceani e dai letti dei fiumi fino alle freddissime biosfere celate sotto guaine di ghiaccio, dagli abissi delle caverne sotterranee del mondo agli aldilà della Terra simili a tombe, tutti accomunati, nella loro diversità e nel loro disegno, da un’unica cosa: lo spazio interstellare.
La volta successiva in cui sulla Terra si verificò un altro geocataclisma di questa portata, la sua origine non ebbe nulla di accidentale.

Capitolo uno

Le bruciature sono un’arte.
Mi tolgo la camicia e vado verso il tavolo dove ho disposto tutti gli attrezzi che mi serviranno. Mi passo un tampone intriso di alcol sintetico sul petto e sulle spalle. Il mio corpo è bianco contro il nero dello spazio in cui ci libriamo dentro questo nostro agglomerato suborbitale: CIEL.
Oltre la finestra grande quanto tutta la parete vedo una nebulosa lontana; i suoi gas e i suoi colori ipnotici mi tolgono il fiato. «Bello», che parola gracile! Avremmo bisogno di una nuova lingua adatta ai nostri nuovi corpi.
Vedo anche una morente palla di fango. Cosí è ridotta, nel 2049 circa, la nostra ex casa: la Terra. È una macchia indistinta color seppia.
Una felce appollaiata sopra la finestra attira il mio sguardo. Beh, sí, quella che un tempo era una felce. Non ho mai avuto il pollice verde, nemmeno tanti anni fa, quando vivevo sulla Terra. Questa felce piú che altro è un triste ramoscello curvilineo da cui si staccano radi ciuffi verde cacca; penzola floscia come un vecchio gallo morto. La fotosintesi che la tiene in vita è del tutto artificiale. Se la pianta venisse esposta al «sole» che abbiamo adesso, in assenza di un’adeguata fascia di ozono morirebbe all’istante. Le eruzioni solari ci irradiano incessantemente, nonostante la protezione che ci offrono gli ATS, gli «ambienti tecnologici superiori».
È molto tempo che non vedo CIEL da fuori, ma ricordo che assomiglia a un numero spropositato di dita attaccate a una mano di un biancore spettrale. Spazzatura celeste. Ratti in un labirinto, ecco cosa siamo. Siamo lontani a sufficienza dal sole da riuscire a vivere in una zona inabitabile, ma al tempo stesso gli stiamo vicinissimi: una mossa sbagliata e finiamo inceneriti. Viviamo in una stazione artificiale fluttuante, sotto il comando di Jean de Men, la nostra Guida dell’Impero, un uomo dall’eloquio rabbioso. Siamo gli strascichi della vita sulla Terra. CIEL fu costruita assemblando i resti delle vecchie stazioni spaziali e dei dipartimenti scientifici di ex agglomerati industriali militari e astronomici. Noi che viviamo qui su CIEL siamo poche migliaia, e proveniamo da quelli che un tempo erano centinaia di paesi diversi. Ognuno di noi apparteneva alla vecchia classe dirigente. La Terra è quella zolla moribonda sotto di noi. Da essa preleviamo e dreniamo risorse per mezzo di invisibili cordoni ombelicali tecnologici. Le Corde Celesti. Un’espressione quasi poetica.
La felce, come ormai tutti i vegetali, è clonata. E io? Secondo quanto ci è stato ripetuto fino alla nausea, «i drastici cambiamenti dell’ozono, dell’atmosfera e dei campi magnetici provocarono dei drastici cambiamenti nella morfologia». Che ve ne sembra di questo scherzo cosmico della classe dirigente? I mansueti alla fine hanno davvero ereditato la Terra. E i ricchi la succhiano come una tetta. Nessuno è in grado di dire quanti mansueti siano rimasti laggiú. Ammesso che ne siano rimasti. Sospiro cosí rumorosamente che mi sembra quasi di vedere l’alito che mi esce di bocca. L’aria qui è densa e palpabile.
Ho una canzone piantata nel cranio, non so mica da dove venga. La sua melodia è onnipresente e al tempo stesso irraggiungibile; i suoi caratteri specifici si allontanano come detriti spaziali. Ci sono delle volte in cui ho paura che mi farà impazzire, e poi mi ricordo che la pazzia è l’ultimo dei miei problemi.
Oggi è il mio compleanno, e i brandelli di quella canzone arrivano dal nulla e mi possiedono per intero, a tratti mi investe un fragoroso crescendo orchestrale, è un attimo, poi svanisce. Il suono mi riempie le orecchie e la testa, la sua vibrazione riverbera in ogni osso che ho in corpo, poi cessa. Per «compleanno» intendo che oggi è passato un altro anno dal giorno dell’ascensione. Ora, a quarantanove anni, sto invecchiando, e questo rappresenta una minaccia per le risorse di un sistema chiuso e limitato. Può darsi che le autorità di CIEL diano il permesso per una piccola rappresentazione, quando scade il tuo tempo, ma la morte è morte, e non conta in quale periodo hai vissuto. Una volta, nei nostri primi anni quassú, ricordo, eravamo ancora convinti che l’ascensione implicasse l’innalzamento a uno stato piú elevato dell’essere. La nostra non era solo la fuga da un pianeta assassinato e l’approdo a un mondo fluttuante nello spazio, ma la scalata verso una vera e propria evoluzione mentale e spirituale. Continua a sembrarmi assurdo che tutte le nostre poderose filosofie e le teologie e i progressi scientifici si fondassero su un’idea di miglioramento. Non è mai nato un animale – cieco, stupido o senziente – che non cercasse il miglioramento. E con ciò? Non poteva trattarsi solo di uno stupido riflesso?
Da allora, a poco a poco, sono arrivata a comprendere che siamo semplicemente in troppi perché l’Impero di Jean de Men ci possa sostentare tutti, a meno di non continuare a scoprire nuovi tesori rimasti sulla Terra o di non evolverci in esseri liberi dal solito, vecchio bisogno di mangiare e di bere. Quando moriamo, i nostri sacchi carnei vengono riciclati e forniscono acqua. Questa è l’unica conquista biotecnologica che siamo stati capaci di realizzare da quando viviamo quassú. Abbiamo scoperto come estrarre acqua pura da un cadavere. Tale procedimento, a oggi, consente di ottenere da un cadavere fresco circa cento litri d’acqua, una razione di sopravvivenza per circa venti giorni. Non è molto efficiente.
Nessuno sa se si potranno ottenere risultati migliori e con quanta rapidità. Sappiamo solo che abbiamo provato con le tute spaziali, con l’urina riciclata, con i metodi di esalazione, e le biotossine hanno prodotto solo un’ondata di decessi. Ragione per cui continuiamo a estrarre ciò che ci serve dalla Madre Terra, prosciugando il suo corpo malato.
La felce e io ci fissiamo a vicenda. Quando arrivai qui avevo quattordici anni e me ne morivo per un amore non corrisposto. O quanto meno per un amore ormonalmente irrefrenabile. Adesso ne ho quarantanove, sono nel mio penultimo anno di vita. Se gli ormoni hanno ancora un qualche significato per tutti noi, si tratta, nel migliore dei casi, di un significato latente, che è in attesa di un’altra epoca. Forse ci evolveremo in sistemi asessuati. Le cose potrebbero prendere questa piega. O forse la mia è solo una pia illusione. Disperatamente velleitaria. Ho un nodo alla gola. Qui su CIEL non ci sono nascite. Abbiamo un gruppo di ragazzi che stanno per compiere vent’anni, o li hanno compiuti da poco. Dopo di che, chissà?
Questa è la mia stanza: elegantemente abbellita da lastre di ardesia grigio-blu. Un materasso in memory foam posato su una piastra metallica, un’altra piastra a fungere da scrivania, diverse sedie di metallo, una doccia a cilindro e un impianto per l’eliminazione dei rifiuti umani. La cosa piú notevole della mia dimora è la finestra che occupa un’intera parete e dà sullo spazio cosmico, o sull’oblio, ed è dotata dello schermo protettivo che ci aiuta a dimenticare che il sole potrebbe mangiarci vivi in qualsiasi momento, o che un buco nero potrebbe avvicinarsi a noi di soppiatto, come un bimbo che gioca a nascondino.
Questa è la mia casa: CIEL. Una casa, per sempre lontani da casa.
Nella mia dimora vivo sola. Oh, ci sono altre persone qui su CIEL. Un tempo avevo un marito. Adesso è solo una parola, come «casa», «terra», «paese», «sé». Forse tutto quello che abbiamo vissuto erano solo parole.
– Registrazione, – sussurro rivolta all’aria attorno a me nella stanza. Come un tempo si sussurrava una preghiera.
– Audiovisualsensoriale? – Una voce che assomiglia vagamente a quella di mia madre. «Madre»: un’altra parola, un’altra idea che va svanendo dalla memoria.
– Sí, – rispondo. Vibra l’intera stanza, prende vita, si attiva per registrare ogni movimento, ogni rumore che faccio.
Voglio concedermi due regali di compleanno prima di essere costretta a lasciare questa esistenza per diventare polvere ed energia. Il primo è registrare una storia. Oh, lo so, ci sono buone possibilità che essa non attiri la strabiliante attenzione che agogno. D’altro canto spettacoli anche piú piccoli di questo hanno turbato intere epoche. E in ogni caso sono in preda all’assillante, umanissimo impulso di raccontare ciò che è accaduto.
Il secondo regalo è una lezione nel senso stretto del termine. Sono un’esperta di innesti cutanei, la nostra nuova forma di narrazione. Voglio tramandare la ricchezza della mia esperienza e della mia maestria. E l’ultimo dei miei innesti voglio che sia un capolavoro.
Infine mi spando sulla pelle gli astringenti. La carne mi diventa rosa e grida la sua piccola contrarietà. Aggiusto lo specchio a figura intera che ho davanti; lo inclino affinché mi rifletta da capo a piedi. La canzone continua a risuonarmi nella testa e ogni tanto mi trilla nella cassa toracica.
Sono priva di genere sessuale, o quasi. Ho la testa bianca, sembra di cera. Niente sopracciglia né ciglia né labbra piú o meno carnose, niente di tutto questo ma ossa sporgenti, zigomi, spalle, clavicole, e punti accesso dati, cioè quei punti del nostro corpo in cui possiamo interagire con la tecnologia. C’è un leggero rialzo lí dove un tempo cominciava il mio seno, e una specie di monticello dove dovrei avere l’osso pubico, ma finisce qui. Di femminile non mi è rimasto altro. Mi schiarisco la voce e comincio: – Quanto segue è una storia registrata da me, Christine Pizan, seconda figlia di Raphael e Risolda Pizan –. Penso per un attimo ai miei genitori morti, a mio marito morto, ai miei amici e vicini di casa morti, e a tutta la gente che popolò la mia infanzia laggiú sulla Terra. Poi penso alla massa di latte cagliato che siamo diventati, vivendo quassú, a bordo di CIEL. Per un attimo avrei voglia di vomitare o di piangere.
Ho la pelle… siberiana. È gelida e duole. L’astringente provoca un leggero bruciore che mi ricorda di possedere ancora delle terminazioni nervose. L’odore acre nelle narici mi ricorda che ancora percepisco le stimolazioni sensoriali, e i dati che mi viaggiano nel cervello mi ricordano che ho le sinapsi ancora attive. Sono ancora un essere umano, suppongo.
La felce e io ci scambiamo degli sguardi. Che coppia: una intellettuale che ha visto troppe cose e una pianta clonata troppe volte. Che sterile sopravvivenza. Ma finalmente, dopo tutti questi anni, ho trovato la mia raison d’être. Devo estrarre una storia dall’interno della cosiddetta Storia. E per farlo devo usare il mio corpo e la mia arte. Devo coltivare parole, coltivare esistenze. E resuscitare la scena di un’uccisione.
I capezzoli mi s’inturgidiscono in questa stanza fredda e poco illuminata. Davanti a me, sul tavolo, i miei strumenti di lavoro, gli attrezzi per l’innestatura, che ronzano prendendo vita. Sul mio petto la verginale distesa è punteggiata dalla pelle d’oca. La piccola, squisita bellezza di tale reazione. Smetterà mai di venirci la pelle d’oca?
Fisso lo specchio, mi guardo negli occhi, e inizio la mia lezione.
– Qualsiasi disegno tu ti prefigga di realizzare, non usare mai uno strumento da marchiatura piú grande di una chiave inglese. È importante tenere conto del tipo di pelle; ma altrettanto importanti sono la profondità dell’incisione, e il trattamento a cui vengono sottoposte le ferite mentre rimarginano. Le cicatrici, a mano a mano che si formano, tendono ad allargarsi. Cosí l’elettrocauterizzazione in linea di massima è di gran lunga preferibile alla marchiatura a fuoco.
Intendo insegnare la mia arte.
Avvicino una torcia tascabile alla testa di un piccolo ferro da marchiatura.
– Se intendi realizzare solo un simbolo, il genere di figurazione piú semplice, la multimarchiatura a fuoco è da preferire alla monomarchiatura; è un mezzo piú flessibile che ti consentirà di mostrare almeno un accenno di uno stile. Per esempio, per ottenere una forma a V è preferibile usare due linee distinte anziché un unico pezzo di metallo a forma di V. Ma se ciò che vuoi realizzare prevede un disegno intricato, delle forme ornate, dei tratti che si curvano e che digradano, se vuoi creare un disegno che abbia una sua sintassi e un suo accento, allora ovviamente l’elettrocauterizzazione è la scelta migliore –. Prendo l’apparecchio per l’elettrocauterizzazione. – Assomiglia tanto a quella che un tempo era una penna… – sussurro. – Solo possiede una maggiore intensità –. Alzo le braccia e mostro i diversi innesti di simboli che mi adornano: simboli ebraici, nativo-americani, arabi, sanscriti, asiatici, matematici e scientifici.
– Vedi? Questo è il pi greco.
Le mie belle ali di farfalla, arabescate, immaginifiche. L’autoinnestatura l’ho riservata alle parti nascoste del mio corpo. Fino a ora.
Faccio i primi marchi. – L’epidermide bruciata esala un odore simile a quello del carbone –. Mi fermo un istante, guardo il mio riflesso. Anche se ci siamo tutti abituati al nostro nuovo aspetto, diciamolo chiaro e tondo: siamo una gran manica di cessi, noi che viviamo su CIEL. Prima arrivò la glabrescenza, poi la perdita della pigmentazione. CIEL ha regalato un nuovo corpo agli esseri umani: siamo una schiera di statue bianco marmo. Ma non ci avviciniamo nemmeno lontanamente alla bellezza di quelle dell’antichità. Forse è stata la geocatastrofe a farci diventare cosí o forse è colpa di uno...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il libro di Joan
  4. Libro primo
  5. Libro secondo
  6. Libro terzo
  7. Ringraziamenti
  8. Nota bibliografica
  9. Il libro
  10. L’autrice
  11. Copyright