
- 208 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Una stagione selvaggia
Informazioni su questo libro
Hap ha rinunciato da tempo a salvare il mondo: la sua unica preoccupazione è vivere tranquillo, tra chiacchiere oziose e interminabili bevute con l'inseparabile Leonard. Ma il grande sogno degli anni Sessanta gli è rimasto incollato addosso perché non ha mai dimenticato Trudy, la bionda con cui aveva giocato a fare la rivoluzione. Quando Trudy ricompare nella sua vita, chiedendogli di recuperare il bottino di una rapina in banca, accetta l'incarico finendo però a capofitto in una spirale di violenza alla quale potrà sottrarsi soltanto con l'aiuto di Leonard. Quei soldi fanno gola a molti, e c'è chi è disposto a tutto pur di non dover dividere il malloppo...
Lansdale accompagna il lettore tra paludi melmose e palazzi fatiscenti, ormai accerchiati dalla nuova America dei centri commerciali e degli immensi parcheggi di cemento. E già dispensa a piene mani quel misto di umorismo sardonico e sottile nostalgia, di idealismo e disillusione che ha fatto di Hap Collins e Leonard Pine una coppia di detective tra le piú affascinanti e amate degli ultimi anni.
Lansdale accompagna il lettore tra paludi melmose e palazzi fatiscenti, ormai accerchiati dalla nuova America dei centri commerciali e degli immensi parcheggi di cemento. E già dispensa a piene mani quel misto di umorismo sardonico e sottile nostalgia, di idealismo e disillusione che ha fatto di Hap Collins e Leonard Pine una coppia di detective tra le piú affascinanti e amate degli ultimi anni.
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Informazioni
11.
Entrammo in città e trovammo un piccolo ristorante chiamato Bill’s Kettle, il locale che Paco ci aveva raccomandato. Non esisteva quando io ero un ragazzino. Allora al suo posto c’era un negozio di giornali e tabacchi. La signora che lo gestiva mi lasciava sempre prendere i fumetti dallo scaffale e leggerli senza doverli comprare. Ero l’unico a cui lo lasciava fare.
L’edificio in cui era il ristorante, sebbene fosse assai piú recente di quello del negozio di giornali, sembrava molto piú vecchio. Sembrava reggersi unicamente sul fumo e il grasso delle cucine. La grande vetrata era cosí sporca che difficilmente si riusciva a vedere dentro. Qualcuno aveva tentato di pulirla all’esterno ma non si era preoccupato di risciacquare il sapone; ora sembrava reduce da uno scherzo di Halloween.
L’interno non aveva un aspetto migliore. I pavimenti erano rigati e sporchi e i tavoli erano stati puliti male. C’erano due uomini seduti a un tavolo a mangiare. Quando entrammo ci guardarono e ci fecero un cenno di saluto. In fondo, un ragazzo sedeva fissando il vuoto, sorseggiando caffè. Alla cassa c’era una donna bionda e grassa con un paio di pantaloni verdi attillati. Ci diede un’occhiata veloce e tornò al suo caffè e sigaretta, disse qualcosa all’uomo magro e dai capelli unti dietro al bancone. Lui fece una risata come quella di un malato di leucemia che cerca di essere allegro.
Ci sedemmo senza appoggiare le braccia sul tavolo. La cicciona bionda scese giú dallo sgabello e si avvicinò con i menu. Piuttosto strano che il personale si mischiasse cosí con la clientela.
Ordinammo, e quando i piatti arrivarono entrò Paco. Quel giorno aveva dei pantaloni kaki sbiaditi e un cappellino da baseball blu. Il cappello nascondeva un po’ della sua testa disastrata. Nessuno lo fissò; si sforzavano tutti di non farlo, e si vedeva.
Ci vide, sorrise, e aveva un bel sorriso; la sola parte di lui che non fosse rovinata.
Si avvicinò, Leonard gli fece spazio e Paco si sedette accanto a lui. Sparammo un po’ delle solite stronzate di saluto, e la cameriera si trascinò giú dallo sgabello, si avvicinò con la sigaretta in bocca, prese l’ordinazione di Paco, poi se ne andò.
– Non si è neanche degnata di darti un menu, – disse Leonard.
– Prendo sempre la stessa cosa, – disse Paco. – Frittelle. Me lo chiede solo per abitudine.
Sorpresa. Il cibo era buonissimo. Stavo tirando su i resti delle mie uova con un pezzo di toast quando Paco mi sorrise e disse: – Il posto sembra un cesso, ma quello che esce dalle cucine potrebbe passare per ambrosia. Là dietro c’è qualcuno che s’intende di fornelli.
Quando il piatto di Paco arrivò e lui ebbe finito di mangiare, dissi: – Di cosa vivete, tu e i ragazzi? Trudy è l’unica che lavora?
– Con questa faccia non trovo molti lavori da commesso, – disse Paco. – Nessuno in un negozio vuole avermi davanti agli occhi per tutto il giorno. Faccio dei lavoretti qua e là. Mi sposto e faccio un sacco di cose diverse. Lavoro soprattutto nei campi e come giardiniere. A volte lavori illegali o non del tutto legali. In questo momento direi che sono in pausa.
Trudy lavora al Dairy Palace a est della città. Serve hamburger. Ve lo dico subito. Non andateci a mangiare. Il cibo è merdoso.
Howard lavora in una stazione di servizio. Fa il benzinaio, cambia le gomme, ripara quelle bucate, gestisce il servizio di carro attrezzi. Sta lisciando il proprietario perché glielo lasci usare. Ha detto al tipo che cosí sua moglie – Trudy passa per sua moglie – non deve passare a prenderlo. Pensa che presto gli lasceranno prendere il carro attrezzi e che potremo usarlo per tirare a riva la barca uno di questi giorni.
– Ammesso che ci sia una barca, – disse Leonard.
– Io cerco di pensare che ci sia, – disse Paco. – C’è una barca.
– Il tuo impegno è pari a quello di Trudy, – dissi.
– Non so se lei ci creda davvero, – disse Paco. – Vorrebbe, ma non so se è davvero cosí. Non la conosco come la conosce Howard, o magari come la conosci tu, ma ho presente il tipo. L’ho sentita parlare di voi due, e ho sentito parlare Howard, e capisco quanto tu sia scottato, Hap, e devo trarne delle conclusioni. Secondo me è una che molla. Le piace ammucchiare i rametti per il fuoco, le piace accenderlo, ma non vuole esserci quando comincia a fare troppo fumo e troppo caldo. A quel punto se ne va, a raccogliere altri ramoscelli, ad accendere nuovi fuochi, sempre andandosene prima che brucino bene. Lascia che sia qualcun altro a occuparsi delle fiamme, a beccarsi il caldo e il fumo e a bruciarsi. Ha la capacità di scegliere uomini che si flagellino per lei, che pensano che lei tornerà indietro a bruciare insieme a loro.
– Sono anni che cerco di dirlo a questo buffone, – disse Leonard. – Riconosco un povero succube quando lo vedo.
– E tu, Paco? – chiesi. – Che ci racconti? Ti dedichi alla loro causa e basta, o cosa?
– Io non mi dedico a niente. Tranne che a me stesso. Cerco solo di portare a casa tutto quello che posso.
– Ok, – disse Leonard. – Ma che ci fai con questi idioti?
– Anch’io sono un idiota. O lo sono stato. Solo che non mi dedico piú a niente. Sono come un grosso camion senza freni a tutta velocità, con il cambio rotto in mano, che va giú per una collina lungo una ripida discesa. Voglio fermarmi ma non ci riesco. Devo andare avanti. O esco di strada o arrivo in fondo alla discesa sano e salvo, senza distruggere la macchina.
– E Chub? – chiesi.
– È nato con i soldi. Andava in giro con un gruppo di scazzati. Ne è venuto fuori un club. Crede di avere ancora diciotto o vent’anni. Non va mai fino in fondo, crede solo di farlo. È sempre stato un ribelle del fine settimana, ma è partito in quarta all’idea di prendere questi soldi. Vuole usarli per combattere qualche ingiustizia. Comunque, i suoi genitori a Houston l’hanno diseredato, ma non prima di avergli dato un malloppo che pensavano avrebbe usato per diventare medico. Negli anni ne ha speso gran parte per delle buone cause, mettendone un po’ in banca per mantenersi. Ha diplomi in abbondanza. Conosce la medicina, anche se non è mai diventato medico. Non è andato fino in fondo perché pensava che significasse diventare parte del sistema. L’idealismo per lui è come la religione o Star Trek per i nerd.
– Non ho ancora capito qual è il tuo posto in tutto questo, – dissi.
– Forse quando vedrò quei soldi non farò quello che loro si aspettano. Ma non voglio dire gatto prima di averlo nel sacco. Se lavoriamo insieme potremmo portare a galla quei soldi. Se sospettano che io abbia altri piani, potrebbero tagliarmi fuori. Non è che posso andare alla polizia e lamentarmi di essere stato truffato. Inoltre, anche se potessi, non lo farei. Ho già dei problemi in quel ramo.
– Immagino che ce ne parlerai, – disse Leonard.
– Violeremo la legge insieme, quindi perché no? – Paco tirò fuori una sigaretta e l’accese con un accendino. Si guardò intorno. La cameriera cicciona bionda era sparita dal bancone – da qualche parte nel retro, credo. Il tipo alla cassa ci si era appoggiato sopra, e guardava fuori dal vetro sudicio. Eravamo i soli clienti rimasti.
Paco disse: – Ho dei precedenti. Colpa degli anni Sessanta. Beh, mia e degli anni Sessanta, ma non è divertente accusare se stessi anche se si è colpevoli. Quindi dirò che è colpa degli anni Sessanta, e adesso sentite un po’.
Nel ’68 mi sono diplomato e sono andato alla University of Texas, e le cose erano calde al punto giusto, con la guerra e tutto. Allora avevo una faccia. Non ero un dio greco né niente, ma non ero male. Adesso spavento i corvi a cento metri di distanza. Ma la faccia era a posto, e credo che anch’io fossi a posto. Pieno di balle sulla vita eccetera, come tutti noi a quei tempi. Ma cominciai a capire delle cose. Giunsi alla conclusione che quello che ci era stato detto sul mondo, sulla vita, erano solo parole. Uno agisce in un certo modo per ottenere una certa cosa, e questo è tutto. Adesso lo so, ma allora ero tutto pace, amore e abbasso la guerra, diritti civili e diritti delle donne. Pensai che avrei potuto mostrare a tutti queste cose e che gli avrei fatto capire come doveva essere, che sarebbero rimasti colpiti come da un fulmine. Ho la sensazione che tu capisca cosa sto dicendo, Hap, riconosco un orfano degli anni Sessanta quando lo vedo.
– L’hai inquadrato bene, – disse Leonard.
– Silenzio in piccionaia, – dissi.
– Comunque, sono all’università, e sono Mister Pezzo Grosso. Farò grandi cose. So come funziona il mondo e gli strapperò via il coperchio, lascerò che tutti guardino dentro e vedano gli ingranaggi, e una volta che lo avranno fatto andrà tutto liscio. Ci metteremo un po’ d’olio, ma una volta che il meccanismo di una cosa è stato capito, il mistero svanisce. Tutti possono vivere insieme e amarsi, senza sforzo.
Ma quando finalmente tolsi il coperchio, e guardai dentro, vidi che il meccanismo era molto piú complicato di quello che avevo pensato all’inizio. Non bastava dargli un’occhiata veloce per capire come funzionava. Dovetti scendere dentro la macchina e studiarla, diventare un meccanico. Cambiare qualcosa qua e là per renderla piú semplice. Pensavo di esserne capace. Pensavo che quando sarei uscito fuori, la macchina sarebbe stata liscia e ben oliata e avrebbe funzionato a dovere. Senza pregiudizi e guerre e sessismo. La gente avrebbe protetto gli animali, prestato i suoi attrezzi, e le serrature sarebbero cascate giú dalle porte.
Annuii. – Pace, fratello.
– Proprio cosí. Quindi decisi di collaborare con questi altri meccanici. Gente che aveva le idee giuste, sapete, che voleva scendere nel meccanismo con me, a lavorarci. Questa analogia del meccanismo era loro, e cominciarono a chiamarsi i Mechanics. Per un motivo o l’altro non se ne sente parlare molto, ma si davano da fare come formiche.
– Io ne ho sentito parlare, – dissi. – Cominciarono a lavorare perché la gente si registrasse per il voto. Promuovevano idee democratiche, poi si divisero. Quelli che continuarono a chiamarsi i Mechanics erano diciamo il ramo radicale, si divisero dagli Students for a Democratic Society e si fecero chiamare i Weathermen.
– Esatto. Gli scissionisti sparirono tutti rapidamente senza il loro leader iniziale. Era un tipo piuttosto carismatico. Era entrato nel gruppo come uno degli Indians, ma era subito diventato il capo. Alcuni degli Indians se ne andarono, cercarono di formare le loro tribú, ma quelli piú tenaci rimasero con lui. E fu grazie a lui che restarono uniti, che i Mechanics restarono in corsa.
Cosí i Mechanics presero le loro chiavi inglesi e si misero al lavoro. Dissero al diavolo con questa merda di società democratica, le risposte sono nelle strade. Certe cose devi smantellarle per poterle ricostruire in modo diverso. Sparimmo dalla circolazione. Ci armammo, cominciammo a colpire dovunque non si rispettassero i diritti umani o si sostenesse la guerra in Vietnam. C’erano molti bersagli. Bombardammo un po’ di centri di reclutamento in tutto lo stato. Ci spostammo in altri stati. Viaggiammo dappertutto e non ci presero mai. Eravamo un tipo di criminali diversi da quelli con cui l’FBI aveva avuto a che fare fino ad allora. Gente sveglia con un leader sveglio. Avevamo una causa, e nessuno è piú pericoloso di un fanatico, e noi lo eravamo, eccome.
– Quanti eravate? – chiese Leonard.
– All’inizio dodici. Poi ne arrivarono altri da varie università. Li reclutavamo di nascosto. Eravamo stati studenti, quindi sapevamo dove andare per parlare con la gente giusta – gente con idee politiche simili. Li agganciavamo e li imbottivamo di radicalismo. Il leader dei Mechanics era particolarmente bravo a parlare di quelle stronzate. Pensava di essere uno dei poeti della vita, un figlio di puttana illuminato. E non guastava il fatto che allora ogni studente universitario volesse essere Che Guevara.
Eravamo bravi in quello che facevamo. Sapevamo falsificare documenti, creare nuove identità. Prendevamo i lavori che capitavano, spendevamo molto poco, ci spostavamo spesso. Perlopiú stavamo vicini ai campus universitari; in quelli piú grandi si poteva avere un sacco di roba gratis. Se te la giochi a dovere e vivi in modo semplice, puoi vivere bene sfruttando gli altri. E questo ci sembrava giusto. Eravamo convinti di derubare la società capitalistica.
Ero rimasto seduto a cercare di ricordare un nome, e all’improvviso mi venne in mente. – Gabriel Lane, – dissi. – Ecco chi era il capo dei Mechanics. Porca puttana! Sei tu, Paco, vero?
– Molto tempo fa. Ora sono Paco, e Paco sarò fino a che non mi troveranno morto in uno squallido motel e mi butteranno in una fossa comune.
– Secondo me voi ragazzi eravate dei rincoglioniti, – disse Leonard. – Per fare quello che facevate.
– I nostri cuori erano al posto giusto, ma la situazione ci prese la mano, e dopo un po’ i nostri cuori cambiarono direzione. Un passante innocente muore mentre facciamo saltare una banca capitalista, un centro di reclutamento: ragazzi che disastro, un vero schifo, ma sapete, succede. Il fine giustifica i mezzi. Vi avremmo fatto saltare in aria in nome della pace e dell’amore.
– L’opinione generale è che sei morto, – dissi. – Si pensa che tu sia rimasto ucciso in un’esplosione, se non sbaglio.
– Avrò anche l’aspetto di uno che è saltato in aria, – disse Paco, – ma eccomi qui. Parlo e fumo e vado in culo alla vita.
– Anch’io vado in culo, – disse Leonard, – ma non proprio alla vita.
– In culo? – disse Paco. – Ho capito bene?
– Mi scopo gli uomini, – disse Leonard. – Ora ti è piú chiaro?
– Certo che sí.
– Hai detto che è morta della gente per colpa vostra? – dissi.
– Esatto, – disse Paco. – Verso la fine abbiamo perso alcuni dei nostri. I poliziotti – o i porci, come venivano chiamati allora – intrappolarono quattro Mechanics in una casa a Chicago. Io ero via. Per un commercio di armi. Con due del gruppo. Avevo dimenticato cosa stavano facendo gli altri. Ma il punto è che i poliziotti fiutarono dove ci trovavamo, irruppero nella casa e uccisero quattro dei nostri. Tra loro c’era Bobbie Remart. Era la piú radicale, allora. Sulla lista dell’FBI era subito dopo di me. Era il mio luogotenente, per cosí dire. E anche la mia amante. Dopo questo, le cose da politiche diventarono personali.
– Ti sentirai uno schifo, – disse Leonard. – Voglio dire, in Vietnam ho ucciso dei musi gialli, e dovevo farlo. Pensavo di combattere per il mio Paese, di fare ciò che era necessario. E lo penso ancora. Ma odio averlo dovuto fare. Però voi ragazzi… non so.
– Non mi sembri uno che è stato capace di fare quel genere di cose, – dissi.
– Vorrai scherzare, – disse Paco. – Sembro un cadavere ambulante… ma so cosa vuoi dire. Senti qua. Tu ne hai viste tante, dovresti avere piú buonsenso. Non puoi giudicare le cose da come le vedi. Osserva una cosa abbastanza a lungo, e comincerà a sembrarti qualcos’altro. Guardami per un po’, e potresti vedere qualcosa che adesso non vedi. In ogni caso, non ci sarà niente del vecchio me da vedere. Te lo garantisco. A quei tempi, credevo che quello che facevamo fosse giusto. Come tu pensavi di fare la cosa giusta in Vietnam, Leonard. Ci sentivamo dei patrioti. Almeno fino alla storia di Bobbie. Dopo, iniziai a sentirmi come imbalsamato. Giusto e sbagliato erano solo parole. Non riuscivo piú a vedere la linea di confine, non sapevo se la stessi superando o no. Per me, quella linea è sparita da tempo e niente la riporterà indietro.
Comunque, successe che ce ne stavamo nascosti in questa casa a Chicago, e io feci costruire ai Mechanics una bomba per far saltare in aria non ricordo cosa, e stavo sorvegliando il lavoro. Ero stato io a insegnargli come si fabbrica una bomba, capito, e volevo essere sicuro che sapessero che ero ancora io il papà. In realtà era Sasha che ci stava lavorando, e il resto del gruppo le andava dietro. Il modo in cui la trattavano m’ingelosiva un po’. Sasha aveva una gran forza d’animo ed era arrivata da poco tra di noi, e i Mechanics non si rivolgevano piú a me cosí spesso come prima. Mi stava scavalcando. Volevo assicurarmi che sapesse qual era il suo posto. Guardai sopra le sue spalle, e stava facendo un buon lavoro, sicuro, ma come ho detto, dovevo fare il capo, e le dissi qualcosa sul fatto che avrebbe dovuto lavorare con piú calma, e non la prese bene. Era l’unica a conoscermi veramente. Sapeva del mio ego. Sapeva quanto mi aveva sconvolto la morte di Bobbie. Aveva fatto un piano per prendere il comando. Lo sapevo. Avrebbe anche potuto riuscirci. Credeva ancora nella causa. Sapeva che i miei giorni da leader erano contati, che mi ero bruciato, che ero lí solo per abitudine. Non accettava ordini da me. Si girò e cominciò a urlare dove potevo ficcarmi i miei consigli, si distrasse da quello che stava facendo. Forse lasciò che due fili sbagliati facessero contatto. L’ultima cosa che ricordo fu che il mondo si fece luminoso e caldo, pieno di pietre e vetri, e che stavo rotolando tra le macerie. Il mio ego e l’esplosione mi avevano preso a calci in culo.
Mi svegliai all’aperto, in una buca, i resti della casa intorno a me, le orecchie che mi fischiavano, l’aria fresca in faccia. Chissà come lo scoppio aveva tirato giú tutta la casa, e per un fottuto miracolo, forse perché Sasha si era trovata di fronte a me, l’esplosione mi aveva scagliato lontano, avevo preso fuoco, ma non ero bruciato o saltato per aria.
Mi accorsi che riuscivo a camminare. Mi allontanai, rimasi sotto una veranda per tre o quattro giorni, e gli abitanti della casa non si accorsero di me. Quando le mie orecchie smisero di fischiare, cominciai a sentirli entrare e uscire, cominciai a sentire la televisione. Un cane mi raggiunse e dormí con me. Ecco cosa feci per la maggior parte del tempo. Dormii. E soffrii. Soffrii in modo atroce. Faceva freddo, era inverno, non come qui oggi, ma comunque freddo. Lo scoppio mi aveva ustionato cosí gravemente che il freddo da una parte mi faceva bene e dall’altra mi faceva tremare e star male. Forse è stato proprio il freddo a salvarmi, non saprei.
Quando mi sentii abbastanza in forze, uscii di lí di notte, barcollai fino a una cabina telefonica, ruppi la scatola del telefono e lo feci funzionare senza gettoni. Datemi una forcina e posso mettere in moto un jet. Telefonai a un nostro sostenitore, e lui venne a prendermi. Quando mi vide ebbe un conato e vomitò.
Di certo non dovevo essere un bello spettacolo. Pelle bruciata che si staccava, la testa spaccata in cima. Ero ricoperto di sporcizia. Un orecchio era andato. Sembravo un pezzo di carne macinata ambulante. Da come reagí il tipo quando mi vide, desiderai che la bomba mi avesse ucciso. Lo vorrei anche adesso.
Per farla breve, lui mi tirò fuori di lí e mi portò da Chub. Chub non aveva l’occorrente per curare un caso come il mio. Con noi prima si era soprattutto occupato di ferite d’arma da fuoco, e di quelle non gravi, ma io ero lí con la testa aperta e gran parte del corpo ustionato, e lui con gli strumenti di base e basta. Fece del suo meglio, questo glielo concedo. Mi tenne con sé finché non migliorai. Credo che dovrei sentirmi in debito con lui. Ma non è cosí. Quel ciccione scemo non mi piace neanche. Mi ha sistemato, e io gli ho dato una causa. Se...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Colophon
- Capitolo primo
- Capitolo secondo
- Capitolo terzo
- Capitolo quarto
- Capitolo quinto
- Capitolo sesto
- Capitolo settimo
- Capitolo ottavo
- Capitolo nono
- Capitolo decimo
- Capitolo undicesimo
- Capitolo dodicesimo
- Capitolo tredicesimo
- Capitolo quattordicesimo
- Capitolo quindicesimo
- Capitolo sedicesimo
- Capitolo diciassettesimo
- Capitolo diciottesimo
- Capitolo diciannovesimo
- Capitolo ventesimo
- Capitolo ventunesimo
- Capitolo ventiduesimo
- Capitolo ventitreesimo
- Capitolo ventiquattresimo
- Capitolo venticinquesimo
- Capitolo ventiseiesimo
- Capitolo ventisettesimo
- Capitolo ventottesimo
- Capitolo ventinovesimo
- Capitolo trentesimo
- Il libro
- Indice