
- 320 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
La vista da Castle Rock
Informazioni su questo libro
Due filoni apparentemente distinti percorrono questi racconti di Alice Munro: la storia familiare, ricostruita a partire dall'antenato scozzese Will O'Phaup, e la narrazione autobiografica, dall'infanzia all'attuale maturità dell'autrice. Sullo sfondo, la storia collettiva: le difficili condizioni economiche della Scozia del XVIII secolo e il viaggio oltreoceano per raggiungere le terre promesse della Nova Scotia inseguendo un sogno intravisto dalla rocca del castello di Edimburgo. E poi la storia del formarsi del Canada: la conquista di nuova terra, l'edilizia, la ferrovia, le occupazioni pioniere. Su tutto la magia evocativa e creativa della scrittura di Alice Munro, che raccoglie, amalgama, reinventa, e ancora una volta conquista.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La vista da Castle Rock di Alice Munro, Susanna Basso in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Literature e Literature General. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Parte seconda
A casa
Padri
Per tutta la campagna, in primavera, si sentiva un rumore che presto sarebbe scomparso. Anzi, forse sarebbe scomparso di già non fosse stato per la guerra. La guerra comportò che chi aveva i soldi per comprarsi un trattore non riusciva a trovarne uno da comprare, mentre i pochi che il trattore già ce l’avevano non sempre rimediavano il carburante per farlo funzionare. Perciò i contadini uscivano nei campi coi cavalli per l’aratura di stagione, e di quando in quando, piú o meno da lontano, li sentivi gridare ordini che contenevano in varia percentuale incoraggiamento, o impazienza, o minaccia. Le parole esatte non si sentivano, non piú di quanto si sarebbe potuto distinguere che cosa si dicessero i gabbiani in volo sull’entroterra, o seguire i battibecchi dei corvi. Dal tono di voce, in compenso, era di solito possibile individuare le bestemmie.
C’era un uomo che non diceva altro. Poco importavano le espressioni usate. Se anche avesse detto «uova al burro» o «tè coi pasticcini», lo spirito che ne traboccava sarebbe stato quello. Come la schiuma di un bollore su una rabbia e un odio furibondi.
Si chiamava Bunt Newcombe. La sua era la prima cascina sulla comunale che usciva dal paese curvando a sudovest. Bunt probabilmente era un soprannome affibbiatogli ai tempi della scuola perché se ne andava in giro a testa bassa, deciso a farsi largo tra la gente senza badare come. Un nome puerile, un avanzo di ieri, non piú all’altezza delle sue abitudini, né della sua reputazione di uomo adulto.
Certe volte qualcuno domandava con chi ce l’avesse tanto. Povero non era – aveva duecento acri di terra abbastanza buona, piú un granaio strapieno con silo a campanile, e una rimessa per i macchinari, e una solida casa tozza in mattoni rossi. (Anche la casa però, come il padrone, dava l’idea di avere un brutto carattere. C’erano avvolgibili verde scuro tirati fino in fondo, o quasi, sopra le finestre, non una tendina in vista, e una cicatrice lungo la facciata da cui era stato rimosso il portico. L’uscio che un tempo si apriva senz’altro su quel portico risultava ora sospeso su mezzo metro di erbacce o detriti). E lui, troppo attaccato ai soldi, non era né un ubriacone né uno che giocasse d’azzardo. Era un essere meschino e abietto. Maltrattava i cavalli e, come è ovvio, anche la sua famiglia.
D’inverno portava in paese i bidoni del latte a bordo di una slitta a cavalli – anche perché al tempo gli spazzaneve, come i trattori, scarseggiavano. Succedeva a quell’ora del mattino in cui tutti andavano a scuola, e lui non rallentava come facevano gli altri contadini per lasciarti montare dietro alla slitta e prendere un passaggio. Anzi, cacciava fuori la frusta piuttosto.
Mrs Newcombe non era mai con lui, né in slitta né in macchina. In paese ci arrivava a piedi, con vecchie galosce fuori moda anche quando ormai faceva caldo, un cappottone grigio e il foulard in testa. Bofonchiava un saluto senza alzare gli occhi, oppure si voltava dall’altra, e non parlava affatto. Credo che le mancasse qualche dente. Allora era piú normale di adesso, ed era anche piú normale che la gente dimostrasse esplicitamente come la pensava, attraverso quello che diceva, come si vestiva o si muoveva, al punto che tutto scandiva a chiare lettere, So perfettamente come dovrei essere e comportarmi e se non mi adeguo sono affari miei, oppure, Me ne infischio, ormai ho passato la misura, pensatela come vi pare.
Oggi come oggi Mrs Newcombe potrebbe passare per un caso grave, una depressa all’ultimo stadio, mentre il marito, coi suoi modi brutali, sarebbe guardato con preoccupazione e pena. Gente che ha bisogno di aiuto. Allora li si prendeva cosà com’erano e li si lasciava vivere la loro vita senza che a nessuno venisse in mente di intervenire. Erano considerati anzi una fonte di interesse e di divertimento. Magari di lui si diceva – questo sà – che era un uomo inutile, e di lei che doveva fare compassione. Ma c’era l’idea che qualcuno venisse al mondo per tormentare il prossimo e qualcun altro per farsi tormentare. Semplice destino, niente da fare.
I Newcombe avevano avuto cinque figlie, e poi un figlio. Le ragazze si chiamavano April, Corinne, Gloria, Susannah e Dahlia. A me quei nomi sembravano fantasiosi e belli e mi sarebbe piaciuto che le ragazze li rappresentassero, come le figlie dell’orco in una fiaba.
April e Corinne erano andate via di casa da un pezzo, perciò non avevo modo di sapere come fossero. Gloria e Susannah abitavano in paese. Gloria si era sposata e, come tutte le ragazze con un marito, era sparita dalla circolazione. Susannah, che lavorava al negozio di ferramenta, era una ragazzona robusta, leggermente strabica, niente affatto graziosa, ma normale (essere strabici era al tempo una possibile variante della normalità e non chissà quale disgrazia, non certo un difetto da correggere, o non piú di quanto si pensasse di correggere un carattere). Non aveva affatto l’aria sottomessa della madre né quella brutale del padre. E Dahlia, che aveva un paio d’anni piú di me, fu la prima a proseguire gli studi. Nemmeno lei era la tipica bellezza tutt’occhi e capelli ondulati come ogni figlia dell’orco che si rispetti, ma era forte e ben fatta, chioma fitta e chiara, spalle larghe, seni sodi e alti. Prendeva voti dignitosi ed era in gamba negli sport, specie la pallacanestro.
Durante i primi mesi di liceo mi capitò di fare con lei un pezzo di tragitto verso la scuola. Per arrivare in paese lei percorreva la comunale e passava dal ponte. Io abitavo al fondo del mezzo miglio di strada parallela, sul lato settentrionale del fiume. Fino a quel momento si può dire che avessimo condotto le nostre esistenze a un tiro di schioppo l’una dall’altra, ma i rispettivi distretti scolastici erano divisi in modo tale che io avevo sempre frequentato un istituto in paese, e i Newcombe, una scuola di campagna piú su, lungo la comunale. I primi due anni, quando Dahlia era al liceo e io ancora alla pubblica, dovevamo aver fatto lo stesso tragitto, ma non saremmo mai andate insieme – non si faceva: gli studenti del liceo non si accompagnavano a quelli della pubblica, punto e basta. Ma adesso che eravamo tutte e due al liceo, di solito ci incontravamo all’angolo, e se una delle due vedeva l’altra arrivare, aspettava.
Andò cosà per tutto il primo trimestre. Il tragitto insieme non significava che fossimo diventate vere e proprie amiche. Semplicemente, sarebbe parso strano camminare ognuna per i fatti suoi, ora che frequentavamo entrambe il liceo e facevamo la stessa strada. Non so di che cosa parlavamo. Ho idea che ci fossero tra noi lunghi silenzi, dovuti alla dignitosa e incontestabile autorevolezza di Dahlia, che escludeva ogni futile conversazione. Ma non ricordo di aver trovato quei silenzi imbarazzanti.
Una mattina Dahlia non si presentò, e io andai da sola. A scuola, nell’atrio mi disse: – D’ora in poi faccio un’altra strada, perché abito in paese, sto a casa di Gloria.
E non ci rivolgemmo quasi piú la parola fino a un giorno di inizio primavera: quel periodo dell’anno di cui dicevo prima, con gli alberi spogli, ma rosseggianti, corvi e gabbiani in pieno fervore e i contadini presi a strillare ordini ai cavalli. Lei mi raggiunse mentre uscivamo da scuola. Disse: – Vai subito a casa? – e io dissi di sÃ, e allora si mise a camminarmi a fianco.
Le chiesi se era tornata ad abitare a casa e lei rispose: – No, no. Sempre da Gloria.
Dopo un breve tratto di strada aggiunse: – Vado solo lassú a vedere un po’ come vanno le cose.
L’aveva detto in modo esplicito, niente affatto confidenziale. Ma io sapevo che lassú doveva voler dire su a casa, e che come vanno le cose non significava nulla di buono.
Nel corso dell’inverno il prestigio di Dahlia nella scuola era aumentato perché era la migliore giocatrice di pallacanestro e la nostra squadra aveva quasi vinto il campionato regionale. Camminare insieme e ricevere da lei qualunque informazione ritenesse di volermi passare mi faceva sentire onorata. Non sono sicura di ricordarmi con esattezza, ma penso che avesse cominciato il liceo trascinandosi appresso tutte le vecchie storie di famiglia. Il paese era abbastanza piccolo, perciò partivamo tutti cosÃ, chi con reputazioni buone di cui mostrarsi all’altezza e chi con certe ombre da dissipare. Ma lei ora aveva ottenuto, grossomodo, il permesso di liberarsene. L’indipendenza di spirito e la sicurezza fisica necessarie per diventare un’atleta le avevano guadagnato rispetto e indotto chiunque avesse intenzione di snobbarla a cambiare idea. Dahlia vestiva anche bene – aveva pochissima roba ma quella poca era piú che dignitosa, a differenza dei soliti vestitoni smessi delle contadine, o dei ricercati completini fatti a mano per me da mia madre. Ricordo la maglia rossa con scollo a V che indossava spesso, e una gonna a pieghe scozzese Royal Stewart. Chissà , forse Gloria e Susannah la reputavano portabandiera e vanto della famiglia, e si erano autotassate per farle il guardaroba.
Eravamo già fuori dal paese quando riprese a parlare.
– Devo tenere d’occhio il mio vecchio, – disse. – Sarà meglio che non metta le mani addosso a Raymond.
Raymond era suo fratello.
– Secondo te potrebbe farlo? – dissi. Sentivo di dover fingere di sapere sul conto della sua famiglia meno di quanto in effetti sapevo – come tutti.
– Eh sÃ, – rispose pensosa. – SÃ. Potrebbe. Una volta Raymond se la passava meglio di noialtre, ma adesso che in casa è rimasto solo lui ho i miei dubbi.
– Te ti picchiava?
Lo dissi in tono disinvolto, sforzandomi di apparire moderatamente curiosa, e per niente scandalizzata.
Sbuffò. – Scherzi? Prima che me ne venissi via, l’ultima volta ha cercato di spaccarmi la testa con una vanga.
E dopo qualche altro passo, aggiunse: – SÃ, e io gli dicevo avanti, fa’ pure. Avanti, vediamo, ammazzami. Fammi vedere, cosà poi ti impiccano. Poi però me ne sono andata, perché ho pensato, brava furba, non avrai neanche la soddisfazione di vedercelo, sulla forca.
E scoppiò a ridere. Le dissi incoraggiante: – Lo odi?
– Sà che lo odio, – fece lei, piú o meno con la stessa emozione con cui avrebbe potuto farmi sapere che odiava la salsiccia. – Se dovessero venire a dirmi che sta annegando nel fiume, mi precipiterei sulla sponda a godermi lo spettacolo.
Impensabile fare commenti. Però chiesi: – E se dovesse prendersela con te?
– Non mi vedrà neanche. Vado solo a spiarlo.
Quando arrivammo alla biforcazione delle nostre strade esclamò quasi con allegria: – Vuoi venire con me? Vuoi vedere come faccio a spiarlo?
Passammo il ponte a testa bassa, serie, gli occhi puntati tra le fessure delle assi, sull’acqua impetuosa. Ero carica d’ansia e di ammirazione.
– Era qui che venivo d’inverno, – disse. – Mi mettevo dietro le finestre della cucina quando era buio. Adesso però è chiaro fino a tardi. Allora pensavo, vedrà le impronte degli scarponi sulla neve e capirà che qualcuno l’ha spiato e diventerà furioso.
Chiesi se suo padre aveva un fucile.
– Ovviamente, – disse lei. – E allora? Se anche dovesse uscire e spararmi? Lui mi spara, lo impiccano e se ne va all’Inferno. Non aver paura... non ci vedrà .
Prima di arrivare in vista di casa Newcombe, ci arrampicammo sul lato opposto della strada su per una spalletta coperta di sommacco fitto che costeggiava un corridoio frangivento piantato ad abete rosso. Vedendo Dahlia accucciarsi e procedere quatta di fronte a me, la imitai. E quando lei si fermò, mi fermai.
Ecco il granaio e il recinto pieno di mucche. Appena cessammo di fare rumore tra i rami, mi resi conto che avevamo agito tra il muggire e lo scalpiccio delle vacche. A differenza di quasi tutte le altre cascine, quella dei Newcombe non si ergeva al fondo di un viottolo. Casa, granaio e cortile affacciavano direttamente sulla strada.
L’erba non bastava per portare le vacche in pastura – la bassa dei pascoli era tuttora perlopiú allagata –, ma le bestie venivano lasciate fuori della stalla a sgranchirsi un po’ prima della mungitura serale. Da dietro lo schermo di sommacco, le guardavamo di là dalla via urtarsi fra loro e vagare qua e là nel letame, protestando inquiete per le mammelle gonfie. Se anche avessimo spezzato un ramo, o parlato a voce normale, c’era troppo baccano perché chiunque potesse sentirci.
Dall’angolo del granaio sbucò Raymond, un ragazzino sui dieci anni. Aveva in mano un bastone, ma lo usava solo per battere piano sui fianchi delle vacche, sospingendole e dicendo loro: «Buona, buona, cosû, con un ritmo pacato che le incoraggiava a dirigersi verso la porta della stalla. La mandria era del tipo misto piú diffuso all’epoca. Una mora, una rossiccia, un bell’esemplare di pelo biondo incrociato probabilmente con una di razza Jersey, e altre pezzate bianche e marroni, bianche e nere e con ogni tipo di combinazione possibile. Avevano ancora le corna all’epoca, il che conferiva loro una dignità e una ferocia che le vacche di oggi hanno perso.
Dalla stalla arrivò la voce di un uomo, quella di Bunt Newcombe.
– Sbrigat...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- La vista da Castle Rock
- Premessa
- Parte prima. Area depressa
- Parte seconda. A casa
- Epilogo
- Il libro
- L’autore
- Copyright