Acqua dal sole
eBook - ePub

Acqua dal sole

  1. 232 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Tredici racconti che ci immergono nella Los Angeles degli anni Ottanta. Tredici istantanee di un mondo troppo patinato per essere vero, eppure troppo riconoscibile per essere falso. Figli ricchi e viziati di genitori mai cresciuti, rockstar invasate in tour mondiale, star della televisione effimere e vacue, lettere scritte per non ottenere alcuna risposta, amori impossibili vissuti nei brevi momenti di una gita allo zoo, vampiri che guidano la Porsche, malviventi maldestri e apatici ma non per questo meno crudeli, ragazzi morti in un incidente stradale o ragazze che stanno per morire di cancro. Come in una galleria - in cui il decennio maledetto che ha travolto ogni certezza viene catturato nella sua posa venefica - questi ritratti spettrali, freddi e precisi come un videoclip, ricostruiscono l'iconografia di una umanità assediata dall'indifferenza, tra droghe, sesso e abusi a non finire.
Lo sguardo tagliente di Bret Easton Ellis ci presenta una commedia umana degli orrori che si cristallizza in una rigorosa limpidezza formale, fra dialoghi indimenticabili e una descrizione spietata della disgregazione sociale attorno a cui emerge un'intera generazione, risucchiata dal crollo di tutti i valori.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806184698
eBook ISBN
9788858402870
Argomento
Literatura

1.

Bruce telefona da Mulholland

Bruce telefona da Los Angeles, fatto e abbronzato, e mi dice che gli dispiace. Gli dispiace di non essere qui, al campus, con me. Mi dice che avevo ragione, che quest’estate avrebbe dovuto volare al corso e che gli rincresce di non essere nel New Hampshire, e di non avermi telefonato da una settimana. Io gli chiedo che cosa sta facendo a Los Angeles; non gli ricordo che sono ormai passati due mesi.
Bruce mi dice che le cose sono andate male da quando Robert ha lasciato l’appartamento che condividevano tra la Cinquantaseiesima e Park ed è partito con il suo patrigno per un’escursione in zattera sulle rapide del Colorado, lasciando sola con lui per quattro settimane, nello stesso appartamento, la sua ragazza, Lauren. Non ho mai visto Lauren, ma conosco il tipo di ragazza da cui Robert è attratto, e posso immaginare che aspetto abbia; mi pare di vederla chiaramente. E poi penso alle ragazze che sono attratte da Robert, ragazze carine che fingono di ignorare che lui, a ventidue anni, vale già circa trecento milioni di dollari. Mi immagino questa ragazza, Lauren, distesa sul divano di Robert, la testa gettata all’indietro, mentre Bruce si muove lentamente sopra di lei, con gli occhi ben chiusi.
Bruce mi dice che la faccenda è cominciata una settimana dopo la partenza di Robert. Bruce e Lauren erano andati al Café Central e, dopo aver mandato indietro il cibo, decidendo di limitarsi a bere, avevano convenuto che tra di loro ci sarebbe stato solo sesso. Questo, soltanto perché Robert era partito per il West. Si dissero che a ben vedere non c’era vicendevole attrazione. Poi erano tornati nell’appartamento di Robert e si erano messi a letto. La cosa era continuata, mi dice Bruce, per una settimana, finché Lauren non aveva cominciato a uscire con un importante agente immobiliare di ventitre anni che sembra valga all’incirca due miliardi di dollari.
Bruce mi dice che la cosa non lo ha turbato. Ma era «leggermente seccato» quel fine settimana in cui il fratello di Lauren, Marshall, appena diplomato al Risd, era venuto anche lui a stare nell’appartamento di Robert tra la Cinquantaseiesima e Park. Bruce mi dice che il rapporto tra lui e Marshall è durato più a lungo semplicemente perché Marshall è rimasto di più. Marshall si è fermato una settimana e mezza, poi è tornato dal suo ex amico a Soho quando questi, un giovane mercante d’arte che vale circa due o tre milioni di dollari, gli ha chiesto di dipingere tre colonne senza funzione nel loft che condividevano in Grand Street. Marshall vale circa quattromila dollari e rotti.
Questo è successo nel periodo in cui Lauren stava trasportando tutti i suoi mobili (e alcuni di Robert) nell’abitazione del ricco agente immobiliare alla Trump Tower. È stato sempre durante quel periodo che le due costose lucertole egiziane di Robert, a quanto sembra, avevano mangiato degli scarafaggi avvelenati ed erano state trovate morte, una sotto il divano in soggiorno, priva della coda, l’altra a pancia all’aria sul Betamax di Robert – quella grande era costata cinquemila dollari, quella più piccola era un regalo. Ma siccome Robert è chissà dove nel Grand Canyon, non c’è modo di mettersi in contatto con lui. Bruce mi dice che è per questo che ha lasciato l’appartamento tra la Cinquantaseiesima e Park e si è trasferito in casa di Reynolds, a Los Angeles, in cima a Mulholland. Reynolds invece, che, stando a Bruce, vale solo un paio di falafel per un pasto al PitaHut senza niente da bere, è a Las Cruces.
Accendendosi uno spinello, Bruce mi chiede che cosa sto facendo, come vanno le cose da queste parti, e dice che lui è nuovamente depresso. Gli racconto di letture, di feste, di Sam che è andato a letto con un caporedattore della Paris Review arrivato da New York per la «Settimana dell’editore». Gli dico anche che Madison si è rasata i capelli e che Cloris, credendo stesse sottoponendosi a chemioterapia, ha mandato tutti i suoi racconti ai caporedattori che conosce a «Esquire», al «The New Yorker» e a «Harper’s», e che tutti li hanno trovati molto stupidi. Bruce mi prega di dire a Craig che vuole indietro la custodia della sua chitarra. Mi chiede se vado a East Hampton dai miei genitori. Gli dico che, siccome il corso è quasi finito e settembre è vicino, non vedo perché dovrei farlo.
L’estate scorsa Bruce è stato con me a Camden. Avevamo seguito assieme il corso ed è stata l’estate in cui Bruce ed io volevamo nuotare nel lago Parrin di notte e in cui lui ha scritto i versi per il tema musicale del film Zapped sulla mia porta perché io ridevo ogni qualvolta lui lo cantava, non perché la canzone fosse divertente, ma per il modo con cui la cantava: volto severo ma del tutto inespressivo. È stata l’estate in cui siamo andati a Saratoga e abbiamo visto i Cars e più tardi, in agosto, Bryan Metro. L’estate era fatta di sbronze e uscite notturne, di caldo e di lago. Un’immagine che non ho mai visto: le mie mani fredde che scorrevano sulla schiena liscia e bagnata di Bruce.
Bruce mi ordina di toccarmi, adesso, subito, al telefono. La casa in cui mi trovo è silenziosa. Scaccio una zanzara. – Non posso farlo, – dico. Lentamente mi lascio cadere sul pavimento con il telefono in mano.
– Essere ricchi è bello, – afferma Bruce.
– Bruce, – gli dico. – Bruce.
Mi chiede dell’estate scorsa. Parla di Saratoga, del lago, di una notte che non io ricordo in un bar di Pittsfield. Non dico niente.
– Mi ascolti? – mi sta chiedendo lui.
– Sì, – sussurro.
– Mi senti bene? – chiede.
Sto guardando un disegno: una tazza di cappuccino coronata di schiuma e, sotto, due parole scarabocchiate in nero: il futuro.
– Rilassati, – sospira finalmente Bruce.
Dopo che abbiamo riattaccato, torno in camera mia e mi cambio. Reynolds viene a prendermi alle sette. Andiamo in auto a un piccolo ristorante cinese alla periferia di Camden. Lui abbassa la radio quando gli dico che Bruce ha telefonato e mi chiede: – Gliel’hai detto? – Io non rispondo. Oggi a pranzo ho scoperto che Reynolds ha un filarino con uno di città che si chiama Brandy. Riesco a pensare solo a Robert su una zattera, ancora da qualche parte in Arizona, che guarda una piccola fotografia di Lauren, ma probabilmente no. Reynolds riaccende la radio dopo che ho scosso il capo. Guardo fuori dal finestrino. È la fine dell’estate del 1982.

2.

A un punto morto

– È passato un anno, – dice Raymond. – Esattamente.
Avevo sperato che nessuno lo ricordasse ma sapevo, col trascorrere della serata, che qualcuno avrebbe detto qualcosa. Semplicemente non credevo che sarebbe stato Raymond. Noi quattro siamo da Mario’s, un ristorantino italiano nel Westwood Village ed è un giovedì di fine agosto. Sebbene la scuola non cominci che ai primi di ottobre, tutti si rendono conto che l’estate sta finendo, anzi è proprio finita. C’è ben poco da fare. Un party a Bel Air al quale nessuno si mostra molto interessato. Niente concerti. Nessuno di noi ha una relazione. In realtà, a parte Raymond, non credo che nessuno di noi veda qualcuno. E così noi quattro – Raymond, Graham, Dirk e io – decidiamo di uscire a cena. Non mi rendo conto che è passato «esattamente» un anno finché non mi trovo nel parcheggio accanto al ristorante e per poco non sbatto contro un amaranto che mi rotola davanti troppo svelto. Parcheggio e resto seduto nell’auto, ricordandomi che giorno è. Mi avvio lentamente, molto ansioso, verso la piazza del ristorante; mi fermo un istante prima di entrarci per studiare il menù esposto dietro il vetro. Sono l’ultimo ad arrivare. Nessuno ha molta voglia di parlare. Tento di mantenere viva la conversazione su altri argomenti: il nuovo video dei Fixx, Vanessa Williams, quanto incassa Ghostbusters, a quali corsi ci iscriveremo, progetti per andare a fare surf forse il giorno dopo. Dirk ricorre a stupide battute che tutti conosciamo e che non divertono nessuno. Ordiniamo. Il cameriere si allontana. Raymond inizia a parlare.
– È passato un anno. Esattamente, – esordisce Raymond.
– Da quando? – chiede Dirk senza interesse.
Graham mi lancia un’occhiata, poi abbassa gli occhi.
Nessuno dice niente a lungo, neppure Raymond.
– Lo sai, – aggiunge finalmente.
– No, – replica Dirk. – Non lo so.
– Sì che lo sai, – sbottano contemporaneamente Graham e Raymond.
– No, davvero non lo so, – ripete Dirk.
– Ma dài, Raymond, – dico io.
– No, niente «ma dài, Raymond». Che ne diresti invece di «ma dài, Dirk»? – mormora Raymond fissando Dirk, il quale non sta guardando nessuno di noi. Se ne sta semplicemente seduto lì, a fissare un bicchiere d’acqua pieno di ghiaccio.
– Non fare il rompiballe, – dice, a mezza voce.
Raymond si appoggia allo schienale, con aria tristemente soddisfatta. Graham torna a guardarmi. Io distolgo lo sguardo.
– Non sembrava che fosse passato tanto tempo, – mormora Raymond. – Vero, Tim?
– Ma dài, Raymond, – ripeto.
– Dài che cosa? – esclama Dirk, guardando finalmente Raymond.
– Lo sai, – insiste Raymond. – Lo sai, Dirk.
– No, non lo so, – dice Dirk. – Perché non ce lo dite. Su, avanti.
– Non tocca a me dirlo, – borbotta Raymond.
– Voialtri state dando i numeri, – sbotta Graham, giocherellando con un grissino. Lo offre a Dirk, che lo rifiuta.
– Niente «ma su, Raymond», ­– dice Dirk. – Sei stato tu a tirar fuori questa storia. E adesso dilla, carino.
– Di’ loro che chiudano il becco e basta, – mi intima Graham.
– Lo sai, – dice Raymond con voce fioca.
– Piantala, – sospiro.
– Dillo, Raymond, – arrischia Dirk.
– Da quando Jamie... – la voce di Raymond si spezza. Stringe i denti e batte un pugno sul tavolo; quindi si volta dall’altra parte.
– Da quando Jamie cosa? – chiede Dirk alzando la voce. Poi, aggiunge quasi urlando: – Da quando Jamie cosa, Raymond?
– Voialtri state dando i numeri, – ripete Graham ridendo. – Perché non chiudete semplicemente il becco e basta?
Raymond sussurra qualcosa che nessuno di noi ode.
– Cosa? – chiede Dirk. – Che cosa hai detto?
– Da quando Jamie è morto, – ammette finalmente Raymond, in un borbottio.
Per qualche motivo questo mette a tacere Dirk che si appoggia allo schienale, sorridendo, mentre il cameriere posa i piatti sul tavolo. Non mi piacciono i borlotti nell’insalata e l’ho detto al cameriere quando abbiamo ordinato, ma ora sembra fuori luogo dire qualcosa. Il cameriere mette un piatto di mozzarella alla marinara di fronte a Raymond che continua a guardare il tavolo. Il cameriere se ne va. Torna con le nostre bevande. Raymond continua a fissare la sua mozzarella alla marinara. Il cameriere chiede se va tutto bene. Graham è l’unico di noi che fa un cenno d’assenso.
– Lui ordinava sempre questo, – dice Raymond.
– Per l’amor del cielo, piantala, – esclama Dirk. – Allora prendi qualcos’altro. Ordina dell’abalone.
– L’abalone è molto buono, – assicura il cameriere prima di andarsene. – E anche l’uva.
– Mi sembra impossibile che tu ti comporti così, – mormora Raymond.
– Così come? Che io non mi comporti come te? – Dirk prende la forchetta poi la ripone per la terza volta.
Dice Raymond: – Che a te sembra che non te ne importi un cazzo.
– Forse è così. Jamie era un rompiballe. Un tipo simpatico ma anche un rompiballe, giusto? – dice Dirk. – E adesso è finita. Piantiamola con questa storia.
– Era uno dei tuoi migliori amici, – esclama Raymond con tono accusatorio.
– Era un rompiballe e non era uno dei miei migliori amici, – replica Dirk sorridendo.
– Tu eri il suo migliore amico, Dirk, – esclama Raymond. – E non dire di no.
– Mi ha ricordato in una pagina del suo annuario. Grandioso! – Dirk alza le spalle. – Questo è tutto –. Pausa. – Era un piccolo rompiballe.
– Non te ne importa.
– Che è morto? – chiede Dirk. – È morto da un anno, Raymond.
– Non posso credere che non te ne importi un cazzo, ecco tutto.
– Se importarsene significa starsene seduti qui a piangerci sopra come checche... – Dirk sospira, quindi aggiunge: – Senti, Raymond. È trascorso molto tempo.
– È passato solo un anno, – sussurra Raymond.
Cose che ricordo di Jamie: farmi con lui a un concerto degli Oingo Boingo quand’eravamo al liceo. Sbronzi sulla spiaggia di Malibu a un party in casa di un compagno di scuola iraniano. Un brutto scherzo che ha giocato a certi ragazzi della Usc a un party a Palm Springs che ha causato un incidente piuttosto grave a Tad Williams. Rammento solo alcune scene: Raymond, Jamie e io che camminavamo a passo incerto per un corridoio dello Hilton Riviera, tutti e tre fatti, decorazioni natalizie, qualcuno che ci ha rimesso un occhio, un carro dei pompieri arrivato troppo tardi, un cartello su un uscio che diceva vietato entrare. Poi, su uno yacht, a farmi di cocaina con lui la notte della promozione mentre mi diceva che ero probabilmente il suo migliore amico. Mentre ci facevamo un’altra pista su un tavolo nero, ho chiesto di Dirk, di Graham, di Raymond, di un paio di stelle cinematografiche. Jamie diceva che gli piacevano Dirk e Graham mentre Raymond non gli andava molto. – È un fasullo, – sono state le sue parole esatte. Dopo un’altra pista, ha detto che mi capiva o qualcosa del genere; allora io ne ho preparata un’altra e gli ho creduto perché è più facile darsi da fare che non stare con le mani in mano.
Una sera, alla fine di agosto del 1983, mentre Jamie si recava a Palm Springs, tentando di accendere uno spino, ha perduto il controllo dell’auto. Forse andava forte oppure gli è scoppiata una gomma; la BMW è finita fuori strada e lui è rimasto ucciso sul colpo. Dirk lo stava seguendo. Andavano a trascorrere il fine settimana precedente la festa del 10 maggio in casa dei genitori di Jeffrey a Rancho Mirage. Erano usciti da un party a Studio City al quale eravamo andati tutti; è stato Dirk a tirare fuori dall’auto il corpo maciullato, insanguinato di Jamie e a fermare un tale che andava a Las Vegas per costruire un campo da tennis. È stato quel tale a recarsi all’ospedale più vicino; l’ambulanza è arrivata settanta minuti dopo. Dirk era rimasto lì, nel deserto, a guardare il corpo morto. Dirk non ne ha mai parlato molto, solo piccoli particolari che ha fornito una settimana dopo l’accaduto: come la BMW ha capottato, rotolando sulla sabbia, un cactus schiacciato, la parte superiore del corpo di Jamie proiettata attraverso il parabrezza. Dirk lo ha tirato fuori, lo ha disteso, ha frugato in tasca di Jamie in cerca di un altro spinello. Più volte sono stato tentato di andare sul luogo dell’incidente a dare un’occhiata, ma non vado a Palm Springs perché ogniqualvolta ci passo mi sento terribilmente a terra ed è un tormento.
– Non posso proprio credere che a voialtri non importi niente, – sta dicendo Raymond.
– Raymond, – sbottiamo Dirk e io all’unisono.
– È semplicemente che non possiamo farci niente, – finisco io.
– Già –. Dirk alza le spalle. – Cosa possiamo fare?
– Hanno ragione, Raymond, – dice Graham. – La vita è un vero schifo.
– Infatti io mi sento nella merda, – assicura Dirk.
Lancio un’occhiata a Raymond e poi torno a guardare Dirk.
– Jamie è proprio morto ma questo non significa che non fosse un rompiballe, – dice Dirk allontanando il suo piatto.
– Non era un rompiballe, Dirk, – gli dico, all’improvviso, ridendo. – Dirk rompiballe, Dirk rompiballe.
– Che cosa vuoi dire, Tim? – chiede Dirk guardandomi fisso. – Dopo quel casino che ha combinato con Carol Banks!
– Oh, Cristo, – esclama Graham.
– Che casino ha combinato con Carol Banks? – chiedo dopo un momento di silenzio. Carol e io ci siamo frequentati a lungo, quando andavamo alle medie inferiori e superiori. Lei è andata a Camden una settimana prima che Jamie morisse. Non ho parlato con lei per un anno. Non credo che sia tornata neanche quest’estate.
– Lui se la chiavava alle tue spalle, – spiega Dirk, e dirmelo gli dà piacere.
– L’ha scopata dieci, dodici volte, Dirk, – dice Graham. – Non farla sembrare una cosa seria o qualcosa del genere.
A me Carol Banks non era mai piaciuta davvero. Avevo perso la verginità con lei un anno prima che cominciassimo a uscire assieme. Carina, bionda, capoclasse, con una buona media negli es...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. 1. Bruce telefona da Mulholland
  5. 2. A un punto morto
  6. 3. La scala mobile
  7. 4. Sulle isole
  8. 5. Starsene immobili
  9. 6. Acqua dal sole
  10. 7. Scoprendo il Giappone
  11. 8. Lettere da Los Angeles
  12. 9. Un’altra zona grigia
  13. 10. I segreti dell’estate
  14. 11. La ruota di scorta
  15. 12. Sulla spiaggia
  16. 13. Allo zoo con Bruce
  17. Indice