Inverni lontani
Il cuculo non canta piú svolando tra gli alberi: se n’è andato lontano oltre il mare. A farmi compagnia dai boschi piú alti sono scese le cince dal ciuffo, che sulle betulle qui davanti alla finestra becchettano gli insetti, ogni tanto lanciando un richiamo che rallegra il mattino. Le rondini sono volate via con almeno venti giorni d’anticipo rispetto al solito. Anche le latifoglie, specialmente betulle e faggi, stanno cambiando colore prima del tempo.
Sono indicazioni di un inverno precoce o di un turbamento dell’ambiente a causa delle piogge venute da sud-ovest? Quando vado per il bosco con Sirio, un cucciolo di grifone francese vivace e affettuoso, osservo e cerco di capire i segnali della natura: sono comparsi con anticipo i colchici e i funghi novembrini; le bacche dei sorbi e del viburno e i frutti del crespino tardano a prendere colore e forse non matureranno piú, il melo selvatico ha i pomi ancora molto acerbi. I corvi hanno incominciato a radunarsi e le femmine dei caprioli con i loro piccoli a raggrupparsi in branchi. Sono anche questi segnali di un inverno precoce e duro? Sarà ventoso, secco e freddo? O nevoso e lungo? E là nella Serbia e nel Kosovo come se la caveranno? È già dura per loro. Anche la mia gente, nell’inverno nevosissimo del 1916-17, provò simili sofferenze dopo aver abbandonato le sue case alla distruzione della guerra.
Ora, giorno dopo giorno si sta avvicinando l’inverno e avrò tante memorie. Sarà come ritornare bambini, come ascoltare tante voci. Rivedere lumi nella steppa, amici, cari volti femminili. Oggi nell’acqua piovana raccolta sotto le gronde che scendono dal tetto vedo anche tante nevi lontane che il sole ha sciolto e riportato qui.
Ho provato il gelo impietoso nelle stagioni della guerra; e la fame, la miseria, l’indifferenza. Ci furono degli anni nei quali le primavere non c’erano. Non si vedevano, non si sentivano dentro di noi; o i segnali erano cosà tenui e smorti che passavano via lasciando nel cuore una traccia lieve che la neve subito copriva. Come quel marzo del ’43 in Bielorussia. Primo Levi ha scritto che la Medusa non ci aveva impietriti, che l’indignazione ci aveva salvati. Ma furono gli incendi della guerra a preservarci dalla morte per freddo? Nella steppa i villaggi bruciavano: indicavano a chi veniva dietro la strada dov’eravamo passati e che loro dovevano seguire se volevano salvezza.
Sarà per questo che chi è sopravvissuto a quei giorni ama accendere il camino nelle sere d’inverno? Cosà nella memoria ritornano i ricordi e i volti delle persone care. Se nevica ti prende anche una forte malinconia e guardando il bosco che si imbianca rivivi tante esperienze.
Quest’anno, però, abbiamo acceso la stufa anche a maggio. In questo modo ho dovuto intaccare la scorta di legna secca che avevo riposto nella legnaia per l’inverno a venire, perciò ho poi aumentato la riserva di una decina di quintali. Il rifornimento è già accatastato in bell’ordine lungo i muri della casa esposti al sole, al riparo sotto lo sporto del tetto. Questo faggio è stato tagliato in calare di luna e prima che germogliassero le foglie, in un bosco al solivo. La legna è bianca e brucerà bene, dando calore con chiara fiamma.
Quella della legna è una buona usanza che ho ereditato da mio nonno, nato nel tempo in cui qui governava l’Austria. I suoi fornitori erano nostri clienti che vivevano nel paese piú povero dei Sette Comuni. In cambio di farina, formaggio e vino, ci portavano la legna dai loro sassosi boschi, tagliata secondo le buone regole; il nonno in questo era molto esigente. Anche mio padre aveva quasi una mania per il faggio da stufa, e ogni primavera i nipoti, a sacchi, glielo portavano in soffitta, dove il calore estivo lo essiccava odorando la casa. Quando aveva la legna in soffitta era proprio contento.
Quello del faggio è un odore particolare. Se le conifere piú o meno si assomigliano per la resina che le impregna, e il cirmolo ha in sé un profumo che dura negli anni, il faggio essiccando emana un odore simile a quello del creosoto, che è buono e salubre ma non insistente.
Se la legna per darmi calore dentro la casa me la procuro con tanto anticipo, per i frutti da far conserve, per i cavoli da far fermentare in crauti, per il formaggio prodotto con il fiore del pascolo ho ancora un po’ di tempo. Insomma, tenendo conto delle notizie che in questi giorni si leggono sui giornali e che per soggetto hanno diossina, estrogeni, antibiotici e veleni di varie specie, se mi è ancora possibile nutrirmi e nutrire secondo natura, cerco di farlo nel miglior modo. Che poi, alla fin fine, non è piú costoso che comprare nei supermercati. Cosà l’altro giorno, quando la signora Caterina, che fa pascere le sue vacche sui pascoli del Pol-trecche, mi ha detto che aveva acquistato delle vitelle da carne pezzate rosse che venivano dalla Slovenia per poi avere buona e sana carne per tutta la famiglia da dicembre alla primavera inoltrata, le ho chiesto se poteva procurare una vitella anche a me. L’accordo è stato fatto, e una vitella che viene invece dalla Slovacchia sta ora mangiando l’er-ba sul monte della polenta al margine dei boschi dei caprioli e dei cervi.
In queste mattine di settembre cosà luminose, colorate e musicali, tant...