Dello stesso autore nel catalogo Einaudi
Le mille case del sogno e del terrore
L’immagine del ritorno
Pietra di pazienza
Titolo originale Khâkestar-o-khâk
© 2000 P.O.L. éditeur, Paris
© 2002 e 2010 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
In copertina: Foto di Thomas Dworzak/ © Magnum / Contrasto.
Progetto grafico 46xy
Questo e-book contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.
Questo libro elettronico non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale libro elettronico non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.
www.einaudi.it
Ebook ISBN 9788858402214
Terra e cenere
Lui ha un cuore grande
grande quanto il suo dolore.
RAAFAT HOSSAÏNI
– Ho fame!
Prendi una mela dal fagotto rosso ornato di bianchi fiori di melo. Tenti di pulirla con l’orlo del mantello impolverato, ma la mela si sporca di piú. La riponi nel fagotto. Ne prendi un’altra, piú pulita, e la metti nelle mani di tuo nipote Yassín, seduto accanto a te con la testa appoggiata sul tuo braccio stanco. Yassín, con le mani piccole e sporche, prende la mela e la porta alla bocca. Il vuoto lasciato dai suoi incisivi da latte non è stato ancora riempito. Cerca di morderla con i canini. Le guance magre e scavate si mettono in movimento. Gli occhi piccoli e stretti si stringono sempre di piú. La mela è aspra. Yassín arriccia il naso e tira su.
Sei seduto con le spalle rivolte al sole estivo e ti appoggi al parapetto del ponte che lega le due rive di un fiume in secca a nord della città di Polkhomrì. La strada che congiunge il nord dell’Afghanistan a Kabul passa proprio da questo ponte. Comunque, se dopo il ponte giri a sinistra e continui per la strada di Khamèh lungo aride montagne, arrivi alla miniera di carbone di Karkàr...
Il lamento di Yassín ti distoglie dal pensiero della strada per la miniera. Guarda! Tuo nipote non riesce a mordere la mela. Dov’è il coltello? Cerchi nelle tue tasche. Lo trovi. Prendi la mela dalle sue mani, la tagli in due, e ogni pezzo di nuovo in due. Gli ridai tutti i pezzi. Rimetti il coltello in tasca e incroci le braccia sul petto.
È da tempo che non sciogli il naswar sotto la lingua, dov’è finita la scatola? Cerchi di nuovo nelle tue tasche. Finalmente la trovi. Ne metti un pezzo in bocca. Prima di riporre la scatola in tasca, ti dài un’occhiata al viso nello specchietto all’interno del coperchio. I tuoi occhi stretti sono rintanati nelle orbite. Il passaggio del tempo ha lasciato il segno: un’impronta di linee sinuose, come vermi brulicanti all’apertura di due gallerie. Vermi affamati, vermi in agguato...
In testa porti un grande turbante, sgualcito e mezzo disfatto. Il suo peso ti ha incassato la testa tra le spalle. È impolverato. Forse è la polvere che lo ha appesantito. Il colore originale è un mistero. Il sole o la polvere l’hanno reso grigio...
Metti la scatola in tasca! Pensa a qualcos’altro! Guarda qualcos’altro!
Rimetti la scatola in tasca. Ti accarezzi la barba grigia abbracciandoti le ginocchia. Fissi la tua ombra stanca sovrapposta all’ombra ordinata delle sbarre del ponte.
Un camion militare con la portiera ornata di una stella rossa attraversa il ponte. Indispettisce e disturba il pesante sonno della terra. La polvere si alza nell’aria, conquista il ponte, e poi pian piano si riabbassa. Scende ovunque, su ogni cosa: sulla mela, sul turbante, sulle sopracciglia... Copri con la mano la mela di Yassín per impedirle di impolverarsi.
– Lasciami stare!
Tuo nipote urla. La tua mano gli impedisce di mangiare.
– Preferisci mangiare la polvere?!
– Lasciami stare!
Lascialo tranquillo. Occupati del tuo dolore! La polvere t’invade la bocca e le narici. Sputi per terra il naswar vicino ad altre cinque macchie verdi. Con un lembo del turbante ti copri la bocca e il naso. Volgi lo sguardo all’inizio del ponte, verso la strada della miniera e verso la piccola guardiola di legno tinta di nero, dove vigila il guardiano della strada. Da una finestrella esce un filo di fumo. Dopo qualche attimo di esitazione, con una mano ti aggrappi forte alle sbarre arrugginite del ponte e con l’altra prendi il tuo fagotto rosso. Ti alzi da terra e ti avvii tutto curvo verso la guardiola. Chiami Yassín. Anche lui si alza e attaccandosi all’orlo del tuo vestito ti accompagna nel cammino. Arrivate vicino alla baracca. Avvicini la testa alla finestrella piccola senza vetro. Dentro, la guardiola è piena di fumo. L’odore del carbone esce all’esterno insieme alle vampate di calore. Il guardiano, cosí come lo avevi visto qualche minuto prima, è seduto appoggiato alla parete di legno. Gli occhi sono ancora chiusi. Probabilmente il suo cappello è sceso un po’. Nient’altro! Altrimenti tutte le cose sono identiche a com’erano, perfino la sigaretta mezza consumata tra le sue labbra screpolate...
Allora, dài un colpo di tosse!
Il rumore non è arrivato nemmeno alle tue orecchie, figuriamoci a quelle del guardiano! Un altro colpo di tosse, piú forte! Ma lui non sente ancora. Non sarà rimasto intossicato dai fumi del carbone!? Lo chiami.
– Fratello!
– Cosa c’è ancora, baba jan?
Grazie al cielo, parla. È vivo. Ma sempre immobile, con gli occhi chiusi sotto il berretto... La tua lingua si prepara a dire qualcosa. Non interrompere le sue parole!
– ...Mi hai sfinito! Ti ho già detto quaranta volte che appena vedo arrivare un mezzo, mi butto sulla strada e lo supplico che ti porti alla miniera!! Cos’altro vuoi?! Hai visto arrivare qualcosa finora? No! Ti serve un testimone?!
– Mio caro fratello, non mi permetterei! Capisco che finora non è passato nessuno, però, non vorrei che per caso ti dimenticassi di noi.
– Perché dovrei dimenticarmi, baba jan? Se vuoi, ti ripeto tutta la storia che mi hai raccontato quaranta volte, in ogni particolare. Ho capito che tuo figlio lavora nella miniera e tu sei venuto a trovarlo insieme a suo figlio.
– In nome di Dio, ti ricordi tutto. Ma sono io che ho perso la memoria e ho l’impressione di non avertelo detto. A volte penso che anche gli altri si dimentichino, come me. Ti chiedo scusa. Ti ho importunato...
In realtà sei triste. È da tempo che nessuno, né un amico né uno sconosciuto, ha dato ascolto al tuo cuore. È da tempo che nessuna parola, né nella tua lingua né in una lingua straniera, ha dato calore al tuo cuore. Hai voglia di dire qualcosa e ascoltare qualcosa. Allora parla! Ma non sentirai nulla. Il guardiano non ascolterà le tue parole. Lui è chiuso in se stesso, è solo con i suoi pensieri. Sta bene nella sua solitudine. Lascialo tranquillo!
Sempre in silenzio, rimani di fronte alla guardiola. Il tuo sguardo si allontana dalla baracca e vaga lungo le curve sinuose della vallata. La valle è arida, tranquilla e piena di rovi. In fondo alla valle c’è Moràd, tuo figlio.
Distogli lo sguardo dalla valle, scruti di nuovo all’interno della guardiola. Vorresti dire al guardiano che se stai aspettando un mezzo di trasporto, è solamente per ...