Dura madre
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Dura madre

  1. 206 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Dura madre

Informazioni su questo libro

Il cadavere di un uomo, la schiena crivellata da una scarica di proiettili, ritrovato da una volante in un cantiere edile alla periferia di Nuoro, nel cuore duro della Barbagia: è Michele Marongiu, perito chimico, un fratello morto suicida e un altro che continua in qualche modo a tirare avanti. Dura madre si avvia, come ogni noir che si rispetti, con un morto ammazzato. Poi le indagini, affidate alla perizia di due personaggi già noti ai lettori di Fois, il giudice Corona e il maresciallo Pili, piú un nuovo arrivato, il commissario Sanuti, forestiero e spaesato in una realtà isolana avvezza a «pensare per parabole». Ma nel momento in cui l'inchiesta comincia, e il giallo decolla, la storia vera e propria si è già consumata, e la verità, che «si fa vedere a pezzi come una spogliarellista poco esperta, un po' goffa» è sulla bocca di tutti.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806174439
eBook ISBN
9788858403242

1.

(il posto, il cadavere)

Restava il nome: Sa ’e Marongiu. Che stabiliva, a un tempo, il passato prossimo: un appezzamento appena venduto; il passato remoto: una tanca di oliveti; il presente: un attico e due spazi commerciali al piano terra del palazzo appena costruito; il futuro: benessere di affitti.
– Fanno cosí, – spiegò Salvatore Corona al commissario Sanuti, – vendono il terreno in cambio di appartamenti.
Il commissario guardò il cadavere. Con quella posizione di cristo in croce, poteva sembrare uno spaventapasseri che fosse stato sradicato dal suolo e buttato a terra.
– L’hanno rivoltato, – constatò fissando l’infiorescenza marrone a un metro dalla testa del morto e la pozza di sangue marcio e scuro tra l’ascella e il fianco. – Direi che l’hanno colpito alle spalle, poi l’hanno rigirato.
– Troppo sangue per terra e troppo poco sul petto, – corresse il giudice Corona. – Chi gli ha fatto il servizietto non si è preso la briga di rivoltarlo.
Sanuti assentí con convinzione. – Sarà il medico legale a stabilirlo, ma per me tra la morte e lo spostamento del corpo è passata almeno mezz’ora.
Nel frattempo l’attività intorno al cadavere si era fatta febbrile. Un agente, con un rotolo di nastro di quelli che usano gli operai delle autostrade, si fece largo, scusandosi, tra il giudice e il commissario. Altri esaminavano il terreno alla ricerca di elementi significativi.
Il fotografo della Scientifica, un tipo corpulento, già sudato alle nove del mattino, faceva scattare la sua macchina puntando l’obiettivo sulle ferite, sulle mani, sul viso dell’uomo abbandonato al suolo. Poi, chiedendo spazio con un gesto da nuotatore, cercava di inquadrare il corpo per intero.
– Marongiu Michele, – disse il commissario Sanuti incespicando sul cognome, e sembrava che piú che informare il giudice Corona sul nome del morto stesse invitando quest’ultimo a rialzarsi. – Ha le mani sporche di terra, le unghie spezzate, il viso escoriato, – continuò. – Ha cercato di salvarsi arrampicandosi al costone di roccia, – fece notare evidenziando una striscia di sangue che, come la bava di una gigantesca lumaca, partendo dalla macchia scura qualche metro piú in alto, aveva seguito il corpo fino a terra.
Si trovava, infatti, il cadavere, incuneato tra il piano e la parete rocciosa col mento aderente allo sterno.
Ancora sangue si era infilato nelle canalette regolari dello spiazzo straziato dai cingoli delle ruspe. L’area avrebbe presto accolto le fondamenta di un nuovo palazzo.
L’agente, col rotolo di nastro a righe bianche e rosse, servendosi anche di ferri da carpentiere era riuscito a recintare un’area abbastanza ampia.
Quando arrivò il medico legale era passata un’ora buona dalla segnalazione. Osvaldo Pintus si piantò a poca distanza dal corpo con uno sguardo da critico d’arte che si appresti a fare un’expertise. Guardò i fori d’uscita che avevano bucato la giacca sul petto del morto, poi sollevando la testa fissò la macchia slabbrata sulla parete rocciosa per ritornare, seguendo la scia sanguinolenta, al punto di partenza.
– Conosci già il commissario Sanuti? Sostituisce Curreli, – gli chiese Salvatore Corona.
Osvaldo Pintus disse di sí senza voltarsi.
– Mi hanno fatto fare un giro completo tutto ieri, – spiegò il nuovo arrivato.
– Benvenuto, – ironizzò il medico legale. – Chi ben comincia...
Salvatore Corona avanzò alle sue spalle. – Crediamo che abbia tentato di scavalcare il costone... – provò a dire condividendo la responsabilità di quell’ipotesi col commissario Sanuti, che si era mantenuto a qualche metro di distanza senza guardare da nessuna parte.
Osvaldo Pintus agitò la mano destra per farlo tacere. – Niente sangue dalla vita in giú, – disse dopo qualche secondo di silenzio, piegandosi verso il corpo. Proseguí, come parlando solo a se stesso, bisbigliandosi nella mente appunti di lavoro: scarica di pallettoni alla schiena, parrebbe; ergo: aorta recisa, polmoni perforati, seste e settime costole polverizzate, un mare di sangue. Questo si aspettava di trovare Osvaldo Pintus.
Che Michele Marongiu avesse cercato scampo tentando di arrampicarsi alla parete rocciosa, alta al massimo tre metri, non c’erano dubbi. Che il corpo fosse “scivolato” a terra, resistendo al contraccolpo negli ultimi secondi di vita, trovandosi col viso a contatto della roccia quando la forza di gravità se lo riprendeva, era chiaro da una serie di elementi. La scarpa sinistra, rimasta attaccata al piede, era sbrecciata in punta come se il poveretto avesse fatto in ginocchio i trenta e passa chilometri del pellegrinaggio francescano da Nuoro a Lula.
La similitudine fece sorridere Osvaldo Pintus: la sua figlia minore, proprio il giorno prima, aveva annunciato l’intenzione di partecipare a quel pellegrinaggio col suo gruppo d’amici. «Ci andate cosí, giusto per fare una gita. Giusto per divertirvi! – si ripeteva come se la figlia fosse ancora lí davanti a lui, con quel suo sorriso pieno d’accondiscendenza. – Se non vi interessa la religione perché non andate a fare una scampagnata da qualche altra parte, dico io!», si ripeteva...
Quando Salvatore Corona gli bussò sulla spalla col dito, Osvaldo Pintus non si voltò nemmeno. Era abituato a passare da un pensiero all’altro senza scomporsi. – Guarda la scarpa, – si limitò a indicare cercando di valutare il grado di rigidità del cadavere.
Il sostituto procuratore guardò la scarpa massacrata sulla punta. – Ha tentato di tenersi in piedi, – provò a concludere.
Il medico legale si voltò: – Ha tentato di scavalcare. Non è morto in questa posizione, questo è chiaro.
– Quante ore fa? – chiese il commissario Sanuti.
Osvaldo Pintus si grattò la testa, proprio dove si diradavano i capelli. – Proviamo? – chiese rivolto a Salvatore Corona.
Lui assentí col capo: – Proviamo.
– Io dico che è morto da dieci ore almeno.
Il commissario Sanuti fece un rapido calcolo guardando il suo orologio: erano le dieci meno un quarto del mattino. – Poco prima della mezzanotte, – annunciò al termine del suo conteggio mentale.
Il medico legale strinse le labbra arcuando le sopracciglia: a sentirla espressa cosí chiaramente, quell’ipotesi, destinata a restare tale fino all’autopsia, sembrava un azzardo. – Piú o meno, – smorzò. – La rigidità è in stato piuttosto avanzato. Chi l’ha trovato? – chiese piú per cambiare discorso che per reale interesse.
– Volante in ricognizione, – rispose Sanuti.
Salvatore Corona strinse le palpebre, per aiutarsi a mettere a fuoco l’intero spazio intorno a lui senza dover ricorrere agli occhiali. – Chi è quello? – chiese indicando un giovanotto che sedeva, la testa fra le mani, sul sedile posteriore di una volante con lo sportello spalancato.
– Il fratello della vittima, – rispose Sanuti.

2.

(ancora qualche informazione sul posto)

Avanzi di calce per intonaco parevano mucchietti di farina accumulati negli angoli del cortile cementato. Il maestrale aveva spazzato di fresco quella piattaforma di un grigio luminescente.
– Brutto vento la notte scorsa... – commentò il commissario Sanuti. – Mi mette a disagio il vento, – confessò, – non sono riuscito a chiudere occhio.
Il giudice Corona alzò lo sguardo verso il cielo. L’aria era ancora fine, ma già primaverile: il cappotto cominciava a pesargli sulle spalle, allentò la cravatta impercettibilmente. – A me il vento fa dormire come un bambino, – disse all’improvviso. – Ma capisco che per chi non è abituato... La prima notte in Sardegna...
L’altro lo guardò trattenendo uno sbadiglio. – Solo la parola dormire mi butta a terra. Comunque non è la prima volta che vengo in Sardegna, ci sono stato cinque o sei anni fa, in vacanza al mare... Che razza di posto... – commentò entrando nell’androne rustico di un palazzo, – è abitato? – chiese piano, superando la scritta CANTIERE IN CORSO VIETATO L’INGRESSO AI NON ADDETTI AI LAVORI e constatando che qualche appartamento era già occupato. Poi tentò di reggersi a una specie di passamano provvisorio, fatto di tavole inchiodate, per affrontare le scale in cemento grezzo, senza rivestimenti.
Il giudice accennò col capo. – Hanno fretta di abitare in una casa loro, – spiegò. – Non hanno voglia di aspettare che sia finito tutto il palazzo. E tantomeno che sia finito l’intero quartiere.
Sanuti allargò la bocca in un sorriso franco. Forse d’imbarazzo. Aveva un che d’infantile in quel modo di sorridere. E di adolescenziale nel modo di portarsi dietro l’orecchio destro una ciocca di capelli. – Abusivi... – pronunciò a metà fra una riflessione e una domanda.
Il giudice Corona strinse la bocca. – Abusivi? – si domandò. – Non tecnicamente, – si rispose. – Semplicemente impazienti, – ribadí. – Sono i primi compratori, gli unici ad abitarci, per ora. Poi arriveranno gli altri... I padroni del terreno invece hanno diritto a due appartamenti nel palazzo. O, a seconda degli accordi, a un appartamento a scelta piú i locali per gli esercizi commerciali al piano terra. Ma non verranno ad abitarci. Non ne hanno bisogno. Affitteranno. È cosí che succede da queste parti.
– È cosí che succede dappertutto, dottore, – puntualizzò il commissario. – Solo mi stupisce che delle persone decidano di installarsi in una casa non finita. In un quartiere senza illuminazione, con il cantiere ancora in attività. Non hanno nemmeno le ringhiere ai balconi.
– Vedrà che gli appartamenti abitati, all’interno, sono perfettamente rifiniti. Non lo sapeva che noi produciamo il trenta per cento dei muratori italiani? Magari mancheranno le porte e non avranno completato l’impianto di riscaldamento, ma vedrà che salotti e che bagni e che cucine rustiche...
L’ultima rampa di scale, prima della porticina in ferro che conduceva al terrazzo, era, se possibile, ancora meno finita del resto. I gradini avevano la qualità di cialde fragranti spolverate di zucchero a velo. Non c’era il passamano a quell’altezza. L’ultima cialda li portò su un pianerottolo angusto dal quale era possibile contemplare la scandalosa nudità della tromba delle scale e degli interni.
Un sole lieve, imbarazzato, aveva intiepidito la superficie metallica della porta che conduceva al terrazzo. Il commissario Sanuti armeggiò con una chiusura in fil di ferro e la spalancò. Facendosi da parte dopo aver dato un’occhiata al terrazzo, cedette il passo al giudice Corona.
– Prego, prego... – disse l’altro distrattamente.
– Si figuri, – insistette il commissario senza muoversi.
Salvatore Corona scosse il capo. Abbassandosi un poco s’incuneò nella luce del terrazzo.
Angelo Sanuti posò il piede sul piano gommoso dei fogli di catrame che erano stati appiccicati al cemento con profusione di fiamme ossidriche. Un leggero odore di nafta gli ricordò che non aveva ancora fatto colazione. Da quella visuale l’accozzaglia di case dei cosiddetti “quartieri residenziali” sembrava indecifrabile. Come se architetti impazziti avessero gareggiato a stupirsi. Il commissario si espresse proprio in questi termini.
Il giudice fece la prima risata della giornata. – Quali architetti? – disse. – Quella che vede è la cartella clinica del male piú diffuso da queste parti: il male del mattone. Qui sono tutti architetti, basta solo aspettare un po’ di tempo. Gli architetti, quelli veri, lavorano solo sulla costa, caro mio. La montagna è il regno dei capimastri. Eroi del merletto, della finestra decorata. Appassionati via via del Medioevo o dello stile tirolese, – disse indicando una villetta poco lontana con il tetto spiovente e i balconi di legno traforato. – Nel migliore dei casi, – continuò, – evitano di usare colori troppo squillanti.
Un alito di vento, quello stesso che aveva fustigato la notte appena trascorsa, si mise a scherzare con i capelli del commissario tanto per chiarire che non era il caso di cantare vittoria. Che sarebbe tornato, forse entro qualche ora, forse proprio al momento di andare a dormire. Questo pensiero lo fece muovere con stizza mentre tentava per l’ennesima volta di spostarsi il ciuffo dal viso.
– Comunque non le ho chiesto di accompagnarmi quassú per parlare d’urbanistica, – si affrettò a dire il giudice interpretando come impazienza il disagio del commissario. Quest’ultimo lo guardò vagamente sorpreso dal cambiamento di tono. – Volevo che si rendesse conto, – riprese. – Lei è nuovo qui e io ho qualche esperienza di questa città. Pensavo che se avesse potuto vederla cosí come la vediamo da quassú le sarebbe stato piú facile capire le cose. Mi spiego?
Il commissario replicò il suo sorriso adolescente.
– Trent’anni di progresso, – riprese il giudice constatando che il commissario si limitava a inarcare le sopracciglia, – trent’anni di denaro arrivato da tutte le parti, quando il barile sembrava senza fondo. Il problema è che quando il denaro finisce si fa fatica a rinunciarci.
– È la storia di tutti, dottore, – ripeté Sanuti imprimendo un che di tragicamente comico nella frase appena pronunciata.
Il giudice non riuscí a trattenere una risata. – È vero, ha ragione di nuovo: è la storia di tutti –. Per qualche secondo stettero muti a contemplare il paesaggio sotto di loro. C’erano elementi tutt’altro che disprezzabili: la catena montuosa all’orizzonte, per esempio, sembrava una riproduzione in scala ridotta delle Dolomiti. E tutto quell’ammucchiarsi di toni su toni: verde su verde, giallo su giallo, terra su terra. E quel cielo di un azzurro pittorico smaltato dalla notte di vento. E quell’abbozzo di città vecchia, i campanili gemelli della Cattedrale, la massa scura dell’Ortobene. Tutto disposto perfettamente come nella stanza buona della casa, quella per gli ospiti.
– La cosa buffa, – ricominciò il giudice seguendo una logica tutta sua, – è che non si riesce a stabilire un filo, non si capisce come gente cosí attaccata al proprio passato abbia potuto ridurre la propria città, la propria casa, in questo modo.
– Forse perché il passato non era migliore del presente, – azzardò Sanuti.
– Certo che non era migliore, – assentí con foga il giudice Corona. – Il passato è un esercizio per eruditi, ma le case senza servizi non piacciono a nessuno, agli eruditi per primi. E questa città ha prodotto piú eruditi che politici capaci. Mi spiego? Comunque l’avverto che io sono un pessimista cronico, ormai.
– Già, l’avevo sospettato –. Il commissario la buttò sullo scherzo. – Ma forse si tratta solo del fatto che gli eruditi, come li chiama lei, facevano la vita comoda anche in passato.
– Non è troppo giovane per tutta questa saggezza? – provocò il giudice attenuando fino all’affetto il tono di voce.
– Sono meno giovane di quanto sembro, dottore. Forse è meglio che scendiamo, ora –. La voce del commissario non era meno pacata.
– Mi interessava sapere cosa ne pensa, – chiese Salvatore Corona sporgendosi per fissare lo sguardo sullo spiazzo sottostante, dove ancora gli agenti della Mobile e della Scientifica si agitavano attorno al cadavere.
Il commissario acchiappò al volo la domanda: – Regolamento di conti? – propose.
Il giudice alzò le spalle. – Una persona che conosco, un mio amico, avrebbe risposto: «Almeno fosse!» Ma credo di poter dichiarare ufficialmente chiuso il periodo delle certezze.
Il commissario ragliò una risatina. – Avrebbe detto «Almeno fosse?» – domandò.
– Avrebbe detto cosí, – confermò il giudice. – È un nostalgico, uno che preferisce il passato, quando si capiva con quale nemico si aveva a che fare.
– Tutto farebbe supporre che la vittima sia stata inseguita fino a quel costone di roccia e finita quando tentava di scavalcarlo... ma... – rifletté il commissario.
– Ma?
– Ma non ci sono tracce di inseguimento: niente segni di pneumatici, niente orme... Il terreno intorno al morto è pulito, se si escludono i segni dei cingolati. Sono arrivato tra i primi stamattina, l’ho fatto fotografare immediatamente, prima che ci camminassero gli agenti, l’ho fatto battere palmo a palmo...
– Il vento, – propose il giudice Corona. – È stato furioso la notte scorsa. Se l’omicidio è avvenuto poco prima della mezzanotte, come presume il medico legale, c’era tutto il tempo per una bella spazzolata: addio orme superficiali o segni di pneumatici.
– È una possibilità,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. 0. (quello che il bruco chiama morte...)
  5. 1. (il posto, il cadavere)
  6. 2. (ancora qualche informazione sul posto)
  7. 3. (dubbi)
  8. 4. (Marongiu Raffaele, ed Ettore, e Michele)
  9. 5. (questi sono i tre campioni)
  10. 6. (tutto dà da pensare, se ci si pensa)
  11. 7. (domani che rientra)
  12. 8. (nel frattempo)
  13. 9. (il cane di Fronteddu)
  14. 10. (le pulci alle parabole)
  15. 11. (Costantino)
  16. 12. (quello che sappiamo da sempre)
  17. 13. (messaggi)
  18. 14. (sentiamola questa storia)
  19. 15. (la vita degli altri)
  20. 16. (figlia e serva)
  21. 17. (ci sono nemici e nemici)
  22. 18. (partiamo dal posto)
  23. 19. (mortu s’omine)
  24. 20. (nuvole basse)
  25. 21. (quello che sappiamo da sempre)
  26. 22. (cenere)
  27. 23. (Cosmo Good)
  28. 24. (morti e feriti)
  29. 25. (le regole)
  30. 26. (come aveva voluto lei)
  31. 27. (la morte lava tutto)
  32. 28. (sangue di porco)
  33. 29. (... insomma...)
  34. 30. (quello che appare)
  35. 31. (il piú crudele dei mesi)
  36. 32. (qualcosa di molto grave)
  37. 33. (se ne sta andando)
  38. 34. (fuochi fatui)
  39. 35. (il pozzo)
  40. 36. (ha un nome)
  41. 37. (il principe che si accompagna col porcaro)
  42. 38. (capire qualcosa di questo morto)
  43. 39. (alla fine del giorno)
  44. 40. (Angelo, Alma, Ettore)
  45. 41. (Da lí inizia tutto)
  46. 42. (connessioni)
  47. 43. (guardava davanti a sé)
  48. 44. (poniamo che)
  49. 45. (screzi)
  50. 46. (quello che sappiamo da sempre)
  51. 47. (parli al microfono)
  52. 48. (una certa idea...)
  53. 49. (il generale secondo Ettore)
  54. 50. (quella faccia)
  55. 51. (quello che non dice)
  56. 52. (il luogo segreto)
  57. 53. (parlano e non parlano)
  58. 54. (documenti)
  59. 55. (da un fratello all’altro)
  60. 56. (il nano di Carlo Alberto)
  61. 57. (nani, giganti)
  62. 58. (com’è, ora)
  63. 59. (per quello)
  64. 60. (parla il vento)
  65. 61. (compieta)
  66. 62. (quello che sappiamo da sempre)
  67. Indice